Interpretazione delle Scritture Ebraiche

noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Sentiamo parlare di anomalie testuali e di errori di copia nelle traduzioni greche del Vangelo e anche nel Tanach, questo è comprensibile,i copisti non avevano tutti lo stessa capacità nel copiare integralmente il testo commissionato, soprattutto in epoca cristiana, molti di loro copiavano i segni come un fosse un ideogramma.

Copisti, da non confondere con i traduttori che aprirebbe un discorso a parte.

Scribi e schiavi istruiti avevano l’incarico di ricopiare il testo originale per un committente, spesso chi ricopiava sapeva comporre i segni , aveva una buona manualità , ma non sapeva leggere. Copiare senza saper leggere comportava commettere degli errori anche gravi, Scriveva Marziale:
Se in questi epigrammi troverai, o lettore, delle espressioni troppo oscure o non schiettamente latine, non dare colpa a me; me li ha guastati lo scrivano nella fretta di copiarli per te. Se poi crederai che la colpa sia mai e non dello scrivano, allora penserò che non hai un briciolo dell’intelligenza.”Ma questi epigrammi sono brutti”. Come se io negassi una cosa evidente! Si, sono brutti, ma tu non ne fai di migliori”(Marziale, Epigrammi).

Ovviamente le regole ebraiche che considerano il segno sacro hanno consentito di ottenere nelle copie un risultato migliore , questo è merito della Masorà che dall’inizio del 3° secolo d.e.v fino a crca l’8° secolo ha fatto da garante che il testo scritto fosse copiato inalterato, l’ebraico ha certamente facilitato il compito del copista ebreo perché l’ebraico di fatto dispone di un segno quadrato e non consente scripto continua che è facilitato dalla forma del segno greco dove sono incluse anche le vocali, Baa’lè Masoret, erano scribi eruditi che sorvegliavano ogni lettera e registravano ogni fenomeno grammaticale e variazione delle forme e di ogni segno, quando trovavano una particolare eccezione che poteva essere fonte di un errore, non correggevano il testo ma si limitavano a segnalare la variazione con una nota a lato che costituisce un commento , In TB- Nedarim 37b, sono elencate alcune caratteristiche del testo biblico che sono Halachà Le- Moshè mi- Sinai’. Una regola data a Moshè sul Sinai” tra cui il Mikrà Soferim, ossia il modo preciso in cui va letto il testo, ciò che è scritto ma non si legge e ciò che non è scritto che si legge”

La scrupolosità con cui i maestri lavoravano pur di mantenere intatto il testo secondo le norme della tradizione, talvolta non permise loro nemmeno di correggerlo come avrebbero dovuto, bisogna tenere conto che i masoreti erano eruditi con una personalità critica ma erano onesti sul piano intellettuale che impediva loro di piegare il testo.

I segni sono rimasti immutati e le anomalie sono state trasmesse come vuole la tradizione e ciò è dimostrato dal contesto della Bibbia stessa, lettere più grandi della forma ordinaria (Esodo 34/7), (Deuteronomio 6/4),( Salmo 80/19), oppure più piccole (Genesi 23,2), ( Proverbi 28/14).
Alcune consonanti si elevano al di sopra delle altre (Giudici 13/80), (Salmi 86/14), in Numeri 10/35 la consonante nun è scritta all’inverso, in Numeri 25/12 l’asta della vav è interrotta, in Esodo 32/25 l’asta della qof è completamente attaccata; In Isaia 9/6, nel mezzo della parola si vede una mem nella forma “sofit”, mentre in Nehemyàh (9/8) e Giobbe (38/1) abbiamo a fine parola una nun nella forma che questa ha nel principio o nel mezzo della parola e cosi via. (Nello Pavoncello-Introduzione allo studio della Bibbia).

La lettura del testo originale consente di rilevare degli insegnamenti supplementari che nelle traduzioni non sono visibili .
Esempio questo è il caso del il libro di Echà, (Lamentazioni) , la terza delle Meghillot
Questo testo è acrostico, cioè il primo verso inizia con "alef” il secondo verso con “bet” e di seguito fino alla “tav”, l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico.
Tuttavia c’è una eccezione il verso che inizia con la lettera “pe” precede quello che inizia con la lettera “ain”, contrario all’alfabeto ebraico dove la “ain” precede la “pe” e tutto questo ha una sua spiegazione, il midrash commenta che “pe” significa anche “ bocca” e Ain” significa “occhio”
Forse una critica agli esploratori inviati da Moshè nella terra di Cana’an che fecero precedere la bocca agli occhi, denigrando Erez Israel ancora prima di averla vista, questo è l’inizio del pregiudizio e ogni posizione precostituita.( Rav Roberto della Rocca).

Anche altre anomalie testuali sono rivelatrici e suggeritori di significati, esempio il libro di vaikrà inizia ”Il Signore chiamò Moshè dalla tenda del convegno e gli disse: ”Parla ai figli di Israele” realtà il testo ebraico omette il soggetto , la traduzione letterale “E chiamò Moshè parlò il Signore a lui dalla tenda del convegno,sarebbe stato più logico ritrovare il tetragramma nella posizione a inizio del verso a distinguere il chiamato dal chiamante, non è questa la sola anomalia, anche la lettera alef di ויקרא appare scritta in piccolo, sulla presenza di queste anomalie testuali la tradizione offre la sua interpretazione, la dimensione della lettera è un segno a ricordare che Moshè e Aronne a seguito della deriva idolatrica di Israele escono da questa esperienze indeboliti, altri vogliono sottolineare la modestia di Moshè.
Un capolavoro di queste sottolineature al testo tramite il segno è la Meghillà di Ester dove alcune ripetizioni e la presenza di alcune strane lettere nell’elenco dei figli di Haman conduce a una suggestione che piace ai lettori di fantascienza, credo che sia rimasto il commento nel forum nella cartella che riguarda Ester.

Noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Vi scrivo ormai quasi tutti i giorni per offrirvi in queste giornate difficili un po’ di compagnia , e ne fate anche a me che vi leggo, compreso il buon Luigi che mi ha dipinto come l’anticristo :YMHUG: , ma non importa ……..siamo tutti doppiamente prigionieri, le nostre paure riguardo la “malattia” , l’ansia per il nostro futuro e soprattutto per i nostri figli.
E’ da molto tempo che non trovavo tanto spazio da dedicare alla lettura e riordinare gli appunti di tanti anni, riguardo a scrivere non vorrei tediarvi troppo, scrivo come semplice commentatore delle scritture ebraiche , credo di non essere il solo , anche se molti sono silenti molti ci leggono

Il tema iniziale era attinente alla affermazione di mymimatio , subito dopo ho iniziato a scrivere nella cartella “interpretazione delle scritture ebraiche” dando il titolo a un documento “si poteva scrivere una storia migliore” .
Ponendomi la domanda “se uno voleva scrivere un libro come la Bibbia con gli stessi contenuti di una narrazione storica, evitando tutte le contraddizioni teocratiche e la sovrascrittura del testo che compaiono nella Bibbia e disponendo in modo logico gli avvenimenti evitando gli svarioni storici “ ci sarebbe riuscito?

Certamente si ! C’è qualcuno che ci è giunto molto vicino.

Ovviamente disponendo di una buona dose di informazioni , documentazioni storiche e etnografiche un buon scrittore poteva scrivere una storia migliore, Frazer è un esempio, 1800 scrisse Il Ramo d’Oro senza aver mai visitato il luogo dove il mito che da il titolo all’opera è nato, in Italia .
L’opera è imponente è incredibile, il perfetto mixer tra la componente immaginativa e una parte di assoluta realtà, un ibrido tra un dipinto fiammingo, archeologia e l’etnologia genera un’opera letteraria che è diventata nel tempo un opera relativistica , ancora oggi è riconosciuta a livello mondiale e considerato il primo bestseller, anche la critica non ha mai smesso di giudicarlo come un erudito da salotto, Frazer ha scritto tutta la sua opera senza uscire dal suo studio, un giallista erudito.
Se Frazer avesse voluto avrebbe riscritto La Bibbia e sarebbe stata un’opera perfetta coerente con leggende e i miti dell’antico oriente , in linea con i ritrovamenti archeologi , compatibile con un modello preconfezionato , ma le cose non sono andate così e quindi ci ritroviamo da capo e per procedere è necessario rivedere il modo e il metodo di studio delle scritture bibliche per ottenere qualche cosa di più ,senza cadere nel solito giudizio dei minimalisti storici e di quelli che riducono la Bibbia come un fenomeno culturale e banalizzano il testo.

Nel bene e nel male quello che chiamiamo Bibbia è come un quadro, conta solo l’originale e abbiamo solo quello!

Lo scopo è allora quello di fornirvi del materiale per mostrarvi (e non dimostrarvi), che all’interno del testo biblico sono celati molti elementi eccezionali che distinguono questa opera da un comune un testo epico o fenomeno culturale ,
un’opera multiforme che cela all’interno ulteriori elementi complessi non casuali, che appartengono a uno schema intenzionale, una costruzione, un progetto e una volontà ben precisa di percorrerlo.
Nessuna lettura può considerarsi definitiva e sigillata, la verità non ha esclusivisti.


Allora bisogna riparlare dei “segni”

Quello che viene chiamato il testo masoretico non solo l’aggiunta delle vocali sotto i segni consonantici, ma anche la distribuzione degli spazi bianchi e dei margini, questi segni sono raccolti attraverso la parola TaN’T, un acrostico di “ taggìm” corone sopra le lettere “ nekudòt” , i segni posti sotto le lettere, infine i “te’amim” che sono accenti, da non confondere con le vocali.
Nei testo originali paiono ornamenti grafici, sette lettere memorizzabili tramite una sigla גץ שעטנז
Moshè Ben Nachman scriveva nel suo commento alla Torah riguardo al libro di Bereshit “Tutto quello che al nostro maestro Moshè fu detto alle soglie dell’intellezione, tutto è stato scritto nella Torah, esplicitamente o per allusione, in parole o numeri o nella forma di lettere, come si conviene o in forma mutata …. O negli apici delle lettere o nelle loro corone.
Anche il talmud offre il suo commento“Disse Rabbì Jeoshùa ben Levi: ”Nell’ora in cui Sali Moshè nell’eccelso trovò il Santo Benedetto Egli Sia che legava delle corone alle lettere, disse il Nome Benedetto a Moshè:”Non c’è Pace nella tua città?”Disse dinnanzi a lui:” C’è forse un servo che da pace al suo padrone?”( TB Shabbat 89a).



Questi segni consentono al testo di respirare, attraverso le pause viene modulato il ritmo nella lettura e la rendono gradevole anche nella percezione acustica, questa parola deriva dalla radice טעם “tà’am” “gusto”.
Questi sono i segni danno significato e musicalità al testo, qualche cosa di simile allo spartito musicale, indicatori che come i segnali stradali invitano a rallentare, fermarsi o solamente prestare attenzione, i te’amim sono presenti quasi ovunque, nel testo di Shmòt e Devarim troviamo anche delle particolarità , nelle parti dove vengono promulgati i dieci comandamenti i segni appaiono doppiati, sopra le lettere sono ta’am eliòn, sotto le lettere ta’am tachton , non esistono altre parti nella Torah dove appaiano in contemporanea, il motivo di questa doppia serie è soggetta a diverse interpretazione tratte dalla speculazione del midrash .
E per comprenderlo occorre fare un passo indietro.
וכל העם ראים את הקולת ואת הלפידם ואת קןל השפר ואת ההר עשו...
Tutto il popolo vide le voci, le torce, la voce dello shofar, la montagna fumante”.Shmòt 20/18.(esodo).
“Che vide le voci, vide il suono dello shofar,”c’è differenza tra sentire e vedere?

E’ scritto “ che tutti videro”, anche i ciechi videro e i sordi sentirono , caricano il senso per sottolineare che tutti videro la parola di D-o, una condizione eccezionale dove la parola non è solo una percezione acustica ma visiva, nel linguaggio biblico vedere le voci unisce anche la vista, , una sensazione sensoriale completa “Non avete visto nessuna immagine, solo una voce..” (Devarim. 4/12), Rambam commenta: ”Quando avete ascoltato la voce; e sta scritto:voi ascoltate il suono delle parole, ma voi non vedete una forma, solo la voce, ma non sta scritto :”voi ascoltate parole”, ed ogni volta che si tratta dell’ascolto del discorso, si intende l’ascolto della voce, mentre solo Mosè è quello che ascolta il discorso vero e proprio e lo riferisce a loro”(Maimonide-La guida ai Perplessi parte II, capitolo XXXIII).

Il midrash interpreta suggerisce che la doppia serie di te’ amim rappresentano la divisione tra quello che D-o disse a Moshè e quello che poté udire il popolo, Moshè dovette ridurre l’esperienza sensoriale del popolo con le parole secondo la capacità di comprensione di ciascuno.
I tea’mim nel loro aspetto più pratico trasformano la lettura in una cantillazione , anticipo del canto moderno come i segni di uno spartito offrono alle parole la possibilità di accedere alla sonorità, un esempio è la cantica di Moshè , la “shirà”, alcuni segni rari e altri comuni , esempio il segno “shalshelet” compare solo quattro volte nella Torah e sette volte nel resto delle scritture , tre volte nel libro di Bereshit , la prima quando leggiamo che Lot viene salvato da Sodoma e fornisce una lettura supplementare della parola ויתמהמה “waytamamàh “ egli esitò, (Bereshit –Wairà 19/16) (genesi), la seconda volta o ritroviamo quando Eliezer il servo di Avrahàm prega di fare un buon incontro per trovare la sposa di Izchàk, il segno appare sulla parola ויאמר “wayomer”” e disse” , la terza quando la moglie di Potifar cerca di sedurre Josef, anche in questo caso il segno compare sulla parola וימאן “ egli rifiutò “(Bereshit Va-Jèshev 39/8) (genesi). Quale è l’insegnamento, forse che in tutti i casi è in gioco il senso della responsabilità?

Il consonantismo della lingua viene reso leggibile dalle vocali sottintese e dai “te’amim”, il gusto della scrittura può essere percepito solo da chi lo riconosce e lo separa parola per parola dalla sequenza infinità, questo ricorda il DNA di cui se ne parla ogni giorno di questi giorni che deve essere separato e isolato per trovarvi una logica.
Scriveva Henri Meschonnic “il testo biblico ebraico lavora nel continuo-sintasi-prosodia secondo una semantica seriale.. E tale che non conosce l’opposizione che ci è familiare fra versi e la prosa, inoltre non ha la nozione di quello che noi chiamiamo “poesia”. Senza sapere che noi non sappiamo, il più delle volte, ciò che intendiamo con questa parola”.
Noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Innanzitutto voglio fare gli auguri a tutti vuoi, in particolare al fondatore del sito di biblistica. eu , Gianni e poi alla cara Stella , anche Antonio che risulta da molto tempo il più presente sul forum , tutti gli altri che ci leggono e qualche volta ci scrivono.

In questo inizio settimana siamo ancora più sequestrati e congelati nelle nostre dimore , penso che a qualcuno faccia piacere riprendere questa discussione.
Prima di addentrarci in qualche riflessione sui significati testuali poco conosciuti voglio fare una premessa, poche righe perché non ho avuto tempo per rielaborare quello che avevo già in parte scritto , l’inizio di Pesàch e poi Shabbat .

La Torah è come un dispositivo semeiotico attivo , “capace di specificare all’interno le istruzioni per il proprio uso”, questo lo scrive Ugo Volli , questa specificazione apre le porte alla interpretazione che apre diverse possibilità, iniziando da quella che coinvolge la capacità umana in genere come la conoscenza biblica , poi quella resa possibile tramite un aiutino da parte dei cieli.

Rimane ancora da porsi la domanda connessa , il testo biblico è di origine celeste o solamente ispirato , nella seconda ipotesi si tratterebbe di un compromesso accomodante.
In questo caso si aggiunge la figura dell’agiografo.
Allora bisogna nella prima ipotesi comprendere se l’agiografo ha scritto il testo sotto dettatura divina o attraverso l’ispirazione , nel secondo caso va considerata una manifestazione della volontà divina che ha comunque necessità di rivelarsi attraverso una forma letteraria , compresi gli errori di ortografia e di grammatica, secondo il cristianesimo questo è stato possibile attraverso la presenza dello Spirito Santo , detto questo abbiamo solamente spostato la domanda e non ancora risolto il problema, come lo Spirito Santo agirebbe sull’agiografo?
Quanto della sapienza divina verrebbe consegnata all’uomo ispirato da D-o?

Una situazione ben diversa dalla prima ipotesi , se D-o ha dettato la scrittura a un uomo solo, per l’ebraismo l’agiografo è solo Moshè che la ricevette sul Sinai in forma completa, una la Torah del segno e una Torah orale trasmessa attraverso la parola non scritta.
Secondo il pensiero giudaico ogni parola è stata pronunciata e direttamente scritta da Moshè nei quaranta giorni che rimase al cospetto di D-o, questo costituisce una sorta di miracolo e di sfida alla nostra praticità che percepisce un Moshè immaginario che scende dal monte carico di due pesanti lukot con sopra incisa la legge , ci viene spontanea la domanda, dove sono le altre parole , oltre seicentomila lettere con cui è scritta la Torah terrestre?
Se nella seconda ipotesi l’agiografo è lo strumento, ma nel primo caso D-o è uno scalpellino, nel secondo caso è l’agiografo con calamaio e pergamena ad esprimere quello che i cieli vorrebbero rendere terrestre.
Il risultato sarebbe proporzionale alle qualità dell’agiografo stesso che condiziona la qualità del testo secondo le sue capacità nel linguaggio e la ricchezza del suo vocabolario , compresa sintassi e grammatica, quanto vale la sua ispirazione in percentuale?

Rimane poi la domanda, se D-o doveva utilizzare la favella dei suoi comunicatori avrebbe dovuto, perché no! scegliere il meglio?
Si è dovuto accontentare ?
Nella prima ipotesi, un testo dettato da D-o necessita che la sua forma essendo divina sia assolutamente perfetta, ma sappiamo che non è vero.
In entrambi le condizioni il testo appare claudicante, allora direbbe Suor Sandra “necessita la presenza di un insegnante di supporto” , per il cristiani è lo Spirito Santo , per gli ebrei la scintilla divina che è presente in ciascuno di noi.

La verità biblica indipendentemente che provenga dalla prima ipotesi o della seconda è argomento di fede, notevoli le differenze tra i fruitori del Libro.
Non importa, !
Ebrei e cristiani hanno in comune una sorta di piano di salvezza.
Sarà interessante comprendere anche questo.
Shalom

Noiman
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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

Grazie per il tuo pensiero, Noiman. :-)
stella
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da stella »

GRAZIE NOIMAN ...mi commuove la sua gentilezza ,affetto per noi tutti , :YMHUG: ''siamo davvero una famiglia ''

SI perche' credo che stati d'animo, sentimenti, tristezza riflessioni ci accomunano ...ma anche gioia ,...gioia di sapere che ci siamo ''ancora'' ...
SHALOM pace e bene a tutti ...
l,anima mia. ha sete del Dio vivente
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Se lo Spirito Santo è sceso sulla terra per ispirare gli agiografi che scrissero le scritture non sappiamo se scese anche per ispirare il consiglio di Nicea nelle sue decisioni, separare i testi canonici da quelli considerati apocrifi , successivamente diventarono effettivamente “nascosti” come significato della parola apocrifo, rimane da porsi la domanda , che fine ha fatto l’ispirazione dei loro autori definiti in seguito definiti dei falsari ?

Nel consiglio di Nicea nel 325 E.V. venne stabilito quali libri erano da considerarsi ispirati e quali no,i candidati da selezionare erano molti, una abbondante presenza di altri possibili Vangeli, il consiglio di Nicea fece le sue scelte e considerò “ispirati” solo quelli che in qualche modo erano in odore di santità e scritti da apostoli , documenti privi di quelle ambiguità e difformità in contrasto con prime linee guida della nascente dottrina e soprattutto non in evidenti troppe contraddizioni tra loro.
Ci si stupisce allora come si sia salvato il Vangelo di Giacomo !

Ne rimasero 4, numero è in sintonia con le quattro regioni del mondo, Voltaire ironicamente scrisse che i quattro vangeli canonici erano quelli che non erano caduti dal tavolo al Concilio di Nicea”.
In definitiva quando ha scelta ultimata gli altri diventati scomodi caddero nell’oblio e alcuni furono letteralmente eliminati.
Ma tutto questo lo potete leggere su Wikipedia :-?


Molto tempo prima venne tradotta la Settanta, possiamo ritenere che i traduttori ebrei fossero anche loro ispirati ?
La leggenda narra che 70 saggi vennero tenuti separati per tutto il tempo che impiegarono per la traduzione , la leggenda vuole anche che tutte settanta versioni risultassero praticamente identiche per sostenere che era intervenuta l’ispirazione divina, quel giorno fu paragonato dagli ebrei un giorno di lutto al pari del 9 di Av .

Una considerazione , se i 70 saggi erano in grado di tradurre il testo dall’ebraico al greco, per buona ragione dovevano possedere una perfetta conoscenza della grammatica e soprattutto in grado di comprendere le architetture di due pensieri lontanissimi, in più comprendere a pieno le differenze lessicali indispensabili per trasferire i significati in una lingua di destinazione diversissima nell'ambito culturale, non dovevano essere semplici traduttori ma veri e propri ermeneuti che dovevano trasferire non solo il testo , ma soprattutto il pensiero “sorgente” nella destinazione finale greca.
Difficilissimo trasferire un pensiero essenzialmente pratico e essenziale in una cultura che per la sua filosofia e la sua natura considerava l’estetica al primo posto, in contraddizione con il pensiero ebraico diametralmente opposto, Ernest Renàn diceva “Per i greci ciò che è bello è buono, per gli ebrei ciò che buono è bello” ma non abbiamo risposto alla domanda, i traduttori della LXX erano ispirati?

Ma se questi eruditi comprendevano la lingua greca al punto di riuscire a trasferire i significati originali in greco non è detto che lo volessero fare, ma immaginiamo che forse erano costretti, allora la scappatoia fu di rendere la LXX una versione addomesticata, nel senso che doveva piacere ai committenti che la avevano ordinata, Eli’ezer Zwifel in Shalom ‘ Al Israel scriveva: “Guai a me se lo trascrivo, guai a me se non lo trascrivo”. :-O
Noiman
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bgaluppi
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da bgaluppi »

Eccellente, Noiman. Interessante la considerazione su come avrebbero potuto tradurre in greco ciò che esprime l'ebraico, nella sua caratteristica polisemantica. Impossibile.
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Grazie Antonio, un saluto a Stella :YMHUG:
Proseguo quanto ho scritto ieri sera.

La scrittura utilizza gli elementi necessari per la narrazione o impiega altro?
Il narratore è anche il regista ? esistono le comparse?
E più importante il risultato finale , il testo , oppure il processo in cui è stato realizzato?
Esiste una intenzione progettuale unica o la somma di intenzioni stratificate di soggetti diversi?

E’ evidente che I significati si caricano attraverso le sovrapposizioni temporali
E’ difficile comprendere se la trama supera l’ordito o viceversa.
Lo sfondo nella narrazione è importante quanto i primi piani, noi facciamo fatica a separare le due cose e siamo abituati a cercare le risposte soprattutto all’esterno senza considerare che testo stesso attraverso le sue diverse densità è in grado di fornire più letture che consentono allo studioso ermeneuta di immagazzinare mucchi e mucchi di significati, ma per ottenere risultati importanti non si deve porre come semplice osservatore ma respirare il testo stesso.

Lo studio delle scritture può essere bidimensionale o tridimensionale, la differenza prospettica è fondamentale , bidimensionale significa interpretarlo attraverso il filtro del traduttore che non ha voluto o saputo trasmettere il messaggio originale.

Voglio spiegare cosa intendo per densità testuale , densa è una narrazione che sfugge la temporalità,molto parsimoniosa nel fornire particolari , i personaggi sono nello stesso tempo simboli e antropomorfismi, questa è la parte che privilegiamo nella nostra visione , gli elementi fondamentali della narrazione sfuggono alle regole del racconto secondo i nostri schemi, le incredibili ripetizioni di dettagli apparentemente superflui , sequenze di avvenimenti senza logica alterano la temporalità della narrazione e rendono discontinua la progressione del racconto,tutti questi elementi li identifichiamo in particolare nei libri di Bereshit e di Shmòt.

Qualche esempio:
D-o cessa la sua creazione il sesto giorno, annuncia il settimo giorno alla fine del primo capitolo, ma Bereshit 2 inizia con una seconda prospettiva della creazione dell’uomo, scardinando una temporalità che ci sembrava acquisita, tutto avviene nel crepuscolo del sesto giorno, nello spazio temporale tra le “due sere” la coppia viene messa alla prova, un attimo prima del inizio del settimo giorno D-o li pone sulla terra, fuori dal Gan dell’Eden.
Shabbat inizia senza l'uomo, forse anche D-o si è sentito solo.

Un altro esempio di grande difficoltà è il dialogo tra la donna e il serpente , prima abbiamo assistito a un monologo di D-o e non abbiamo letto un dialogo tra la donna e il con il compagno, la progressione del vero dialogo avviene tra il serpente e la donna che appare denso e fornisce molte suggestioni interpretative e il primo insegnamento pedagogico con il concetto di “vero o falso” e di conseguenza il principio giuridico della falsa testimonianza , le parole pronunciate da serpente e le risposte della donna anche in traduzione mostrano una finezza testuale stratificata .
Forse la prima parte Bereshit vuole rivelare la relazione erotica tra l’anima e il suo servo, il “satan”, il serpente la figura chiave che rappresenta una relazione complessa tra anima e intelletto, un terzo elemento è la gelosia , la figura del serpente rappresenta il “desiderio”.


Il primo divieto che viene dato alla prima coppia è sessuale ma ci è stato presentato come divieto alimentare, la prima coppia vive nel giardino, l’adulterio e incesto non erano possibili, gli era stato ordinato di “moltiplicarsi” (Bereshit 1/28) .non esiste forse la contraddizione tra “essere fecondi e riempire la terra”?
Essi non vivevano ancora sulla terra , il Gan nell’Eden erano due luoghi virtuali
Per adempiere il comandamento di popolare la terra divenne necessario trasgredire .
Trasgredire vuole anche concepire un piano di ritorno, un “paracadute “ personalizzato adottato da tutte le forme religiose sul pianeta, magari seguendo il percorso opposto e ritornare in senso cronologico indietro, prima nel Eden e poi in Gan ?
Noiman
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Un esempio di interpretazione di Bereshit 3/8.

Il libro di Bereshit non fornisce uno spazio temporale specifico in cui collocare la trasgressione della prima coppia, come vi avevo già scritto questo libro è estremamente denso e sfugge alla logica del racconto come noi intendiamo e questo ci crea delle grosse difficoltà, recentemente nelle discussioni che ho letto e sopratutto nelle ultime cartelle mi sono reso conto che il modo utilizzato per interrogare il testo rimane sempre lo stesso, a parte alcune eccezioni e i soliti sostenitori che vogliono ad ogni costo a piegare il testo per sostenere le loro tesi fideistiche per la necessità salvifica personale e adempiere a un obbligo religioso, tutti gli altri non riescono a superare la lettura lineare e appiattiscono il racconto trascurando quello che rivela attraverso le sue pieghe e credetemi, anche se non si conosce l’ebraico biblico le traduzioni sono in grado di essere importanti suggeritori di una ermeneutica che può superar gli stereotipi acquisiti del lettore secondo solo una logica, quella più semplice.

Leggendo alcuni commenti mi chiedo se qualcuno ha provato a riflettere su quanto ho scritto in questi anni riguardo l’interpretazione delle scritture ebraiche , qualche volta ho la sensazione di aver perso tempo inutilmente, anche Gianni grande esperto delle scritture mi sembra che abbia la stessa sensazione, poi ogni volta che nasce una nuova discussione bisogna ripartire da capo e perdersi in ripetizioni di quello che è stato già scritto e nessuno si è preoccupato di cercare le risposte e gli studi già fatti e anche spesso conclusi, vedi il caso della”costola” di Adamo.
Qualcuno sostiene che è costretto a dipendere dalle traduzioni che non ritiene affidabili, riguardo al Chumàsh nonostante quanto si dica a sfavore delle sue versioni tradotte in linea di massima riescono abbastanza bene a trasmettere il significato letterale del testo originale, nonostante che in alcuni casi la traduzione nella lingua di destinazione è stato addomesticato per questioni dottrinali , la LXX è un esempio, altre imprecisioni sono rilevabili nei casi dove non esistevano le possibilità di ricondurre il significato originale per la inadeguatezza delle possibilità semantiche comuni tra greco e l’ebraico , possiamo poi ritrovare altri casi in cui la traduzione addomesticata è omissiva per non complicare troppo la vita del lettore, infine esistono moltissimi casi dove il testo volutamente occulta alcuni significati attraverso le doti polisemiche naturali dell’ebraico, queste possibilità interpretative sono argomento forte della mistica ebraica , argomento sfiorato nelle recenti cartelle, è un argomento molto complesso che può sviare il lettore sprovveduto e confonde quello troppo indirizzato dalla fede, sono anni che mi occupo di questo aspetto , qualche volta ne ho fatto qualche esempio nella cartella in cui prediligo scrivere .

Osservo con piacere che alcuni di voi stanno facendo un notevole sforzo per ricercare nuove letture alternative che vanno oltre la narrazione tradizionale, questo tendenza è un fenomeno nuovo e non solo in Italia ma in tutto il mondo, un atto audace e il segnale di una nuova epoca che apre nuovi confini all’ermeneutica biblica anche se non sempre trova l’approvazione di alcuni studiosi e maestri di Torah.
Bi –sh’at ha-mekhannesin, pazzér; bi-sh’at ha-mefazzerin, kannès” “in epoca di eccessiva chiusura diffondi, in epoche di eccessiva diffusione, chiudi” (Berakhot 63a).

Lo scopo del proseguo è di proporre una interpretazione di una parte molto breve del libro di Bereshit utilizzando principalmente il testo nella versione tradotta e scovare alcuni elementi per approfondire la sequenza temporale del racconto .

Quando la prima coppia ha trasgredito?

Il primo indizio possiamo identificarlo nelle ultime parole che concludono il primo capitolo di Bereshit.
Dio vide che tutto quello che aveva fatto era molto buono” (Bereshit 1/31), “molto buono, molto” è la traduzione letterale, con queste parole si conclude il sesto giorno della creazione , l’espressione di totale soddisfazione divina esclude che l’uomo già creato potesse avere trasgredito l’unica regola del giardino, subito dopo inizia il settimo giorno, ma attenzione ! :-O Per noi queste parole sono di una logica acquisita per cui le confondiamo come una semplice approvazione divina, l’affermazione in ebraico ha altri significati che non possiamo approfondire in questo spazio.
Il capitolo 2 di Bereshit nelle sue prime parole ci induce a considerare che il sesto giorno è ormai concluso, la divisione testuale tra genesi 1 e genesi 2 consolida questa idea in modo ingannevole e soddisfa il nostro senso di temporalità consequenziale, l’inizio del capitolo 2, ”Il cielo e la terra e tutto il loro esercito erano ormai completi” , e l’affermazione “Nel settimo giorno Dio aveva completato l’opera sua che aveva fatto, così nel settimo giorno cessò da tutta la sua opera che aveva compiuto”, consolidano la nostra sensazione.

Il settimo giorno inizia al crepuscolo del sesto giorno, spero che non vi siate dimenticati la lunga discussione del buon Joab “tra le due sere “ che ci impegnati per decine di cartelle #:-S , “tra le sere” è il momento che segna il confine tra i giorni.
Lo spazio precedente appartiene alla fine del sesto giorno , lo capiamo dalle parole
melactò asher asah vaisbòt ba’yom hashivìt micol melachtò asher asàh”

D-o benedice il settimo giorno, in cui aveva terminato la sua opera, l’azione compiuta è posta alla fine del sesto giorno, ma sappiamo che esiste ancora un piccolo frammento temporale per concludere il passaggio al settimo giorno, lo shabbat.

Ma noi abbiamo anche letto che non c’era ancora nessun arbusto sulla terra e nessuna erba nel campo perché D-o non aveva fatto ancora piovere , l’espressione “non germogliava” è importante come la successiva “non c’era nessun uomo che la lavorasse “ scritto “ve adam”, il terricolo, “L’umido che saliva alla terra e bagnò tutta la faccia della terra” è acqua che giunge dalle acque inferiori , umidità con cui il vasaio formerà con la polvere del suolo l’uomo, siamo ancora alla fine del sesto giorno.
Ora bisogna saltare alla parte che è inerente alla discussione.

וישמעו את-קול יהוה אלהים מתהלך בגן לרוח היום
E sentirono il suono del Signore Dio camminante nel giardino nel soffio del giorno
(Bereshit 3/8)
Una traduzione meno letterale :”E udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno” oppure “sul far della sera” , la difficoltà del traduttore era di collocare una espressione ebraica difficile in un contesto comprensibile, la scelta fu la più semplice e assolutamente antropomorfica possibile e si fece forzando il testo originale, in entrambe le versioni D-o passeggia nel giardino nelle ore più fresche, :-? una seconda difficoltà è tradurre קול , kol una radice di doppia profondità semantica , " voce, suono " i principali significati, l’agiografo che scrisse questa parte del racconto scelse volutamente più parole che consentono la doppia interpretazione, direi addirittura tripla se consideriamo quella del lettore occidentale che fatica a comprendere concetti che gli sono estranei.

In tutto il racconto le immagini sfuggono, il verbo più utilizzato è vedere e nel racconto è un dispositivo semiotico fondamentale, la riduzione dell’immagine consente al pensiero ebraico di porsi nella condizione di ascoltare la Voce (maiuscolo) di D-o con significati estesi ben oltre la comune percezione sensoriale, Israele sotto il Sinai non vide l’immagine di D-o ma vide le qolòt, le voci, una apparente contraddizione che trova spiegazione attraverso la tradizione , Israele vide con l’anima interiore , l’esperienza sensoriale unisce tutti i sensi in una unica immagine simile a una visione, ciascuno vide attraverso la sua anima e secondo la sua possibilità.
Ovviamente il testo di Bereshit è connesso con il resto del chumàsh, ma non è di questo che vogliamo parlare, ritengo invece interessante approfondire l’espressione "le- ruàch iom letteralmente “il vento del giorno”, o anche leggersi “il respiro” del giorno, se qualcuno è stato in Erez Israel in piena estate , non nell’afa di Tel Aviv o altre zone costiere, ma molto a est di Gerusalemme , scoprirete il deserto della Giudea, chiamato anche Yeshimon, terre calde, caldissime ma con delle sorgenti sotterranee chiamate wadi che cambiano il paesaggio e sprizzano di freschezza e vegetazione, dopo giornate veramente calde verso l’imbrunire l’aria magicamente si muove e la terra rovente scambia il calore creando la brezza della sera, è in questo spazio che possiamo collocare questa parte del racconto.

Forse la coppia trasgredì mangiando il frutto dell’albero nel tardo pomeriggio del sesto giorno, la vigilia dello shabbat , non attese il settimo giorno, la “colpa “della prima coppia fu di non aver saputo attendere che il divieto cessasse”, questo aspetto sfugge al nostro pensiero veloce che ha reso il divieto di cibarsi dell’albero una suggestione per giustificare la redenzione.
Adamàh fu creato alla fine del sesto giorno, alla vigilia dello shabbat dove ci sarebbe stato il kiddùsh per la sua santificazione , il vino è il frutto della vite.
Se la prima copia avesse santificato lo shabbat forse il divieto sarebbe cessato.
Siamo immersi nella mistica ebraica fino al collo ed è bello sognare.
Certamente la Torah dovette essere riscritta, ciò che sembrava immobile si rimise in movimento, il pendolo della creazione fermo alla fine del sesto giorno iniziò a muoversi scandendo un tempo diverso.
Shavua tov
Noiman
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matteo97
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da matteo97 »

noiman, in merito ai passi che hai elencato sarebbe meglio se il traduttore mantenesse l'originale ebraico in quei termini che sono difficilmente traducibili da una lingua all'altra. Tu confermerai che è difficile trasporre un significato concettuale da una lingua ad un'altra, soprattutto a distanza di millenni. Prendiamo alcuni esempi tratti da Genesi (Bereshit)
es. וַיַּרְאאֱלֹהִיםאֶת-כׇּל-אֲשֶרעָשָׂהוְהִנֵּה-טוֹבמְאֹדוַיְהִי-עֶרֶבוַיְהִי-בֹקֶריוֹםהַשִּשִּי׃
Vayar E lohim et-chol-'asher asah vehineh-tov me'od vayhi-'erev vayhi-voker yom hashishi
E Elohim vide ogni cosa che aveva fatto e, ecco, era molto buono. E la sera e la mattina erano yom hashishi ("6 °giorno").

וְהָאָ֗רֶץ הָיְתָ֥ה תֹ֙הוּ֙ וָבֹ֔הוּ וְחֹ֖שֶׁךְ עַל־פְּנֵ֣י תְה֑וֹםוְר֣וּחַאֱלֹהִ֔ים מְרַחֶ֖פֶת עַל־פְּנֵ֥י הַמָּֽיִם׃
Veha'aretz, haitah tohu vavohu , vechoshech al-penei Tehom ; ve R uach E lohim, merachefet al-penei hamayim.
La terra era senza forma e vuota; e l'oscurità era sulla faccia del profondo. E lo Spirito di Elohim si librava sopra la superficie delle acque.
ha eretz era privo di forma e vuoto: cioè una terra ridotta al caos e alla mancanza di forma. Rappresenta il caos, la confusione e il disordine, tutte cose che si oppongono all'organizzazione, alla direzione e all'ordine che Elohim ha dimostrato. Non è la creazione dal nulla secondo il concetto occidentale.

e così via...
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