Interpretazione delle Scritture Ebraiche

noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Certo che concordiamo, anche se probabilmente abbiamo avuto approcci diversi a questa questione, sopratutto perché nella mia parte su questa discussione ho omesso quanto è trattato a riguardo nel Nuovo Testamento .
Riguardo alle traduzioni i se e i quando cambiano di poco il senso oggettivo del testo , ma rimangono preda della interpretazione confessionale che traghetta il testo dove è più opportuno per il credente.
La sovrascrittura di un pensiero deviato da quello che era nel testo sorgente che nel viaggio verso il testo di destinazione si appesantisce e si carica di fronzoli deludendo il segno originale.
Vorrei concludere con l’esortazione: “
Attenzione a non pensare quello che non è pensato

Noiman
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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

:-)
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Qualcuno aveva scritto per poi cancellare il suo intervento, nonostante non sia più visibile nella cartella, riporto quanto fu scritto e la risposta successiva:

Mi scuso per il disturbo.

Gentilmente chiedo: non potrebbe effettivamente trattarsi di un periodo ipotetico ("se.....allora", 'case law' in inglese), con un protasi cosituita dai primi 3 versi ed una apodosi che è l'espressione reggente ed è il verso 4?

Il Comando è ovviamente nella apodosi, il verso 4. Il Comando a me pare essere solo per il primo marito di non risposare la ex moglie che si è sposata una seconda volta: la motivazione è di evitare la contaminazione del Paese di Israele, che sarebbe un'abominazione. Questo sembra a me essere il messaggio fondamentale di Dt 24:1-4.

Io non credo che questo passo regolamenti il divorzio, ma a me appare piu' che altro come un Comando specifico per una situazione specifica.

Qual e' la motivazione per cui il primo marito non puo' riprendere la moglie? Sembra proprio il fatto che lei e' stata contaminata (sembra essere qui presente una forma verbale riflessiva passiva).

Quando e' avvenuta la contaminazione, con quel 'qualcosa di indecente' o con il secondo matrimonio?
E se la contaminazione fosse avvenuta con il secondo matrimonio, in quanto lo scioglimento del primo per 'qualcosa di indecente' non e' giusta causa? Altrimenti perche ' menzionare la contaminazione al verso 4 dopo il secondo matrimonio e divorzio e non gia' al verso 1 dopo che qualcosa di indecente e' stato scoperto?

interessante come la donna non possa essere ripresa in moglie neppure se il secondo marito muore.
Inoltre non si fa menzione della eventuale o meno giusta causa dei motivi del secondo divorzio, che apparentemente non hanno rilevanza nella intera questione.

In sintesi, tutto Dt 24:1-4 non potrebbe essere semplicemente visto come un modo per evitare che il marito mandi via la propria moglie per 'qualcosa di indecente' (=motivo insufficiente per un divorzio legittimo), in quanto cio' sarebbe potenzialmente causa di una serie di effetti successivi che potrebbero generare una abominazione e scaturire nella contaminazione del Paese?
In sostanza una tutela della moglie e della santita' del Paese.

Grazie ed un cordiale saluto.
Massimo –W- la bibbia.


Protasi e apodosi servono per sviluppare un concetto che è il tema o contenuto di un pensiero, ma questo è sicuramente valido per l’indoeuropeo dove le regole riflettono un pensiero lineare che riflette la conoscenza del significato del testo
ma questo non è automatico nell’ebraico che gestisce diversamente lo sviluppo del segno , il gruppo indeuropeo ha privilegiato da molto tempo la subordinazione grammaticale nelle apposite definizioni trova senza grossa difficoltà le regole di applicazione, esempio le congiunzioni subordinative che si possono definire nel loro uso come causali ( siccome, perché, poiché), condizionali ( se, poiché, qualora), consecutive (sicchè, al punto), temporali (quando, mentre, durante , appena) avversative ( mentre, laddove) .
Nell’ebraico è un po’ diverso……
In definitiva abbiamo esaminando un esempio di testualità che sfida la lettura monologica, lo scritto è apparentemente semplice ma richiede il massimo impegno, per comprendere il pensiero originale attraverso l’espressione della lingua cui fu scritto, questa è stata la prima grossa difficoltà, poi abbiamo assistito alle difficoltà di interpretazione del “fruitore” , sollecitato dal traduttore che nella sua esuberanza ideologica sottolinea la traduzione più affine alla sua linea etica e religiosa.

La punteggiatura, le virgole e le pause poste dai traduttori non riproducono il respiro naturale del testo originale ma quello della lingua di destinazione, i traduttori hanno trasformato il “suono” in letteratura, i profumi si mischiano con gli odori, lo stesso NOME di D-o , nella risposta data a Moshè (Shmot 3/14) è un indovinello teologico e interpretativo, il segno che limita il segno, il concetto di esistere attraverso la banalizzazione di un verbo che viene interpretato secondo la nostra prospettiva del futuro come divenire e non quello della temporalità dell’azione nel divenire ebraico, rimane lo sforzo di pretendere di mettere a fuoco una parola e una espressione comprensibile nella razionalità del nostro pensiero.

Noiman
leone
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da leone »

da noiman » lunedì 2 luglio 2018, 14:28
Questo è stato tratto da uno studio da Noiman:
seconda parte.
Concludendo il primo testo fu inciso (chaqiqah), il secondo testo fu scritto (ketivah).

Nelle prime tavole le lettere incise non oscuravano la base come farebbe un inchiostro, le lettere emanavano una luce interiore, questo lo capiamo quando leggiamo :“tavole scritte dai due lati, sull’una e sull’altra faccia erano scritte” i caratteri divini emanavano una luce molto intensa che si distingueva da una luce più lieve emessa dalle tavole.

Volevo raccontare una visione che ebbi 5 mesi fà.
In questa visione, vidi uomini con un colore di pelle olivastra. Avevano tra le mani un libro molto prezioso e con una copertina rigida e tanto lavorata. Io aprii questo libro, e nella prima pagina c'era un simbolo che emanava luce ed era in soprarilievo. Una voce mi ha detto è la tav. Ma io non conoscevo questo simbolo. Poi, iniziai a girare le altre pagine, e vidi molti altri simboli tutti che emanavano una luce allo stesso modo come la tav. Io chiesi a questi uomini cosa fosse, mi dissero: è la gloria di D-o.
Quando mi svegliai , sono andato a vedere quale fosse il significato di quel simbolo: ho compreso che è l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico. Ma la cosa che non capivo come mai l'ultima lettera è stata messa all'inizio del libro.
Qualcuno potrebbe darmi qualche notizia in + riguardo alla tav?

Che D-o vi benedica.
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Ciao Leone
L’ordine delle lettere di un alfabeto, se ritenessimo di dargli una relativa importanza dovrebbe seguire un percorso secondo un senso compiuto per noi rappresenta a una forma di logica consequenziale ma assolutamente convenzionale, nella matematica è diverso, i numeri iniziano con l’uno, ogni numero è una singolarità, i numeri primi esprimono la singolarità nella loro “singolarità”, ogni numero per quanto grande sia possiede il suo nome, significante e significato in una unica espressione.
Di fatto ogni alfabeto ha le sue regole , simile a una poesia può essere recitato memonicamente, questo vale anche per l’ebraico che possiede 22 lettere e ciascuna ha un valore numerico assegnato.
La lettera א “alef” è la prima lettera dell’alfabeto e non possiede un suo suono autonomo, nel suo divenire necessità come in uno strumento a fiato una interpretazione.
Il suo valore numerico è 1, la madre di tutti i numeri, ci sarebbe aspettati che la “alef” fosse la prima lettera che apre il ciclo della Torah , invece essa inizia con la lettera ב “beth” che invece possiede un suo suono, il più semplice che possiamo in tutte le lingue pronunciare, il semplice balbettio che può riprodurre la nostra bocca anche in assenza di emissione di fiato e uso della lingua.
La “beth” ha valore numerico 2, l’inizio della pluralità che esprime la dualità.
Su questo puoi trovare molto materiale di discussione su internet.
Riguardo la ת “tau” è l’inizio della parola תורה, “Torah” parola già impegnativa nel suo definirsi.
Shalom
Noiman
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Gianni
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Gianni »

Di certo è molto affascinante vedere nelle lettere ebraiche disegni particolari da cui trarre immagini che richiamano altre immagini e attribuire loro dei significati. È anche affascinante avvalersi dell’attribuzione di valori numerici alle singole lettere (pratica che vale anche per altre lingue, come il greco e il latino!), valori da cui ricavare per similitudine altri significati.
Personalmente, se pure affascinato, rimango perplesso di fronte a tali speculazioni, quasi le lettere ebraiche fossero cadute dal cielo così come le troviamo oggi! Esse sono invece frutto della normale evoluzione linguistica che tutte le lingue del mondo hanno subito.

Forse sarà una sorpresa per molti apprendere che il termine “lingua ebraica” non è mai usato nelle Scritture Ebraiche. Non ci si faccia ingannare dalle traduzioni. In 2Re 18:26, ad esempio, si legge: “Non parlarci in ebraico” (ND), ma il testo biblico ha יְהוּדִית (yehudyìt), “giudaico”. L’ebraico era chiamato nella Bibbia “lingua di Canaan” (Is 19:18) e “lingua giudaica” (Is 36:13). È in tarda epoca che si menziona l’“ebraico”, e ciò si trova non nella Bibbia ma nell’apocrifo Siracide (Ecclesiastico), in 1:1, in cui compare la parola greca εβραιστὶ (ebraistì), “ebraico”.

L’ebraico, biblicamente inteso, fu la lingua parlata degli ebrei dalla conquista della Terra Promessa (l’ebraico è la continuazione della lingua cananea) fino al primo secolo prima della nostra èra. È in questa lingua che sono stati redatti i libri sacri che compongono le Scritture Ebraiche, eccezion fatta per alcune brevi sezioni in aramaico, che si trovano in Esdra 4:8–6:18;7:12-26; Geremia 10:11 e Daniele 2:4b–7:28.

Come si sa, l’alfabeto fu inventato dai fenici. Il fenicio è una lingua semitica. L’alfabeto fenicio si deve al proto-cananeo. Dal fenicio si evolse l’alfabeto aramaico (divenuto la scrittura ufficiale dell’impero persiano). A quanto pare, è dall’alfabeto aramaico che discendono tutti gli alfabeti moderni. Inizialmente le lettere dell’alfabeto rappresentavano il suono iniziale di una parola. Ad esempio, nel proto-cananeo la parola “ruota” si diceva tet; il suono iniziale “t” era perciò rappresentato da un segno che disegnava la ruota (simile alla nostra O con dentro il segno x, simboleggiante i raggi della ruota); è facile comprendere la somiglianza della lettera ebraica tet (ט) e della lettera greca theta (Θ) con quel segno.

Quanto al tau/tav, nell’aramaico arcaico era simile ad una croce, e così anche nel cananaico; in greco e in latino assunse la forma T. È nell’aramaico qumranico e nell’ebraico che divenne come l’attuale tav (ת) ebraico.
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bgaluppi
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da bgaluppi »

Ciao Gianni, la Stele di Mesha infatti è scritta in lingua moabita, che era una lingua semitica derivante dal fenicio e piuttosto simile all'ebraico. È impressionante riscontrare come la stele sia una testimonianza archeologica della veridicità degli accadimenti biblici descritti nel Primo e nel Secondo Libro dei Re. Persino certi luoghi geografici corrispondono, come ad esempio Nebo e Gad...
noiman
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da noiman »

Ho letto con attenzione quanto ha scritto Antonio riguardo al Nome di D-o e ho trovato anche molto interessante il link indicato da Stella sul sito “ Sguardo a Sion “.
Commento anche la perenne affermazione di Michele “Colui che è” con qualche perplessità e distinguo.

Antonio ci ha scritto:
Non è scritto qui לֹא הוֹדַעְתִּי, "ma il Mio Nome YHWH non l'ho fatto conoscere loro", ma לֹא נוֹדַעְתִּי, "Non sono diventato conosciuto." [Ie,] Non sono stato riconosciuto da loro con il Mio attributo di mantenere fede, a forza di cui il mio nome è chiamato YHWH, [che significa che sono] fedele a verificare le mie parole, perché ho fatto promesse a loro, ma non ho adempiuto [loro mentre erano vivi].”

"Dunque ecco risolto l’arcano. Non è che i padri non conoscessero il nome. Questo versetto spiega che Dio non si fece conoscere loro secondo il significato che il nome esprime: “io sono colui che sono”, o “sarò colui che sarò”, ossia “io sono fedele e realizzo ciò che prometto”. Da ciò impariamo una volta in più quanto in certi casi la traduzione non basti e quanto sia necessario capire bene il senso che il testo ebraico esprime." Bgaluppi.

Provo a fare qualche considerazione riguardo Shmot 3/14 e anche sul Nome di D-o, cercando di non divagare troppo.

כי אהיה עמך “ Io sarò con te”(Shmot 3/1) è la prima affermazione da parte di D-o che leggiamo nel libro di esodo, parole che riguardano la liberazione di Israel dalla schiavitù in Egitto, nel libro di Bereshit abbiamo letto le avvenimenti di grandi uomini , assistito alle guerre di pastori, tribù , re , vacche grasse e magre, il libro di Shmòt inizia menzionando ancora una volta i nomi dei figli di Israel, la ripetizione è apparentemente superflua e ancora una volta vengono menzionati i loro nomi, 70 è il numero dei discendenti di Jacov , questo è l’inizio del libro di Shmot, i nomi .

Tutto questo è simile a quando si viene invitati a una festa, è uso che il padrone di casa faccia le presentazioni annunciando gli ospiti , in genere viene fatto menzionando il loro nome , cognome , citando i loro titoli in una sorta di assegnazione di rango e distinzione, è anche consuetudine che il padrone di casa si presenti a ogni invitato, soprattutto quando questa persona gli è sconosciuta.
Scriveva Sforno riguardo al nome: ”Il Nome è indice della forma (zurah), della costituzione della figura, del ritratto personale , la “forma” è la causa essenziale dell’attività specifica di quella data persona. Nome sarebbe, secondo un Midràsh antico, sinonimo di potenza (‘ozem ghvurathò). “Ti ho lasciato vivere” disse Moshè al Faraone per incarico di D-o, per farti vedere la mia potenza, e perché sia divulgato il mio Nome in tutta la terra.
(Dante Lattes -Nuovo commento alla Torah)

E Moshè chiese al Signore: “Ecco quando mi presenterò ai figli di Israel, e annunzierò loro:Il Signore dei vostri padri mi manda a voi”, se essi mi chiederanno qual è il nome di Lui che cosa dovrò rispondere ?” (Shmòt 3/13) (esodo).

Questa domanda ha da sempre incuriosito studiosi ebrei e cristiani e aperto la strada per nuove esperienze sul significato del Nome nella letteratura biblica e in particolare nel Tanach.
Nel pensiero ebraico biblico il nome non è una semplice attribuzione di identità o distinzione semantica, un semplice marcatore senza un particolare significato, noi siamo abituati da sempre a collegare il nome a una immagine , troviamo difficoltà con i nomi di persone che non mostrano somiglianza a nessuna immagine, suoni umani senza un significato, da qui inizia la nostra difficoltà di comprendere una mentalità irrazionale che trova la sua ragionevolezza in una prelogica arcaica che attribuisce significati a simboli e aspetti di identificazione oggi non compresi , banalizziamo il naturale collegamento del mondo antico dello spirito che insieme alla carne si congiungono nel nome , importante e grande in rinomanza quando riteniamo che lo spirito si sia fatto carne.
L’uomo antico comprendeva meglio di noi l’esiguità della vita umana e si confrontava con un paesaggio di una fisicità maestosa, la rigogliosa manifestazione della natura e il confronto con la sua “non conoscenza” era alla ricerca di spiegazioni razionali per attribuire un significato supplementare alla singolarità e miseria terrestre dell’individuo, il tentativo di cogliere la sua essenza e poi di distinguere una copia da un originale.
Valgono bene le parole
ברוך אתה יי המבדיל בין קדש לקדש
Benedetto sei Tu o Signore che distingui una santità dall’altra
Il Nome doveva seguire il titolo del rango sociale e definire assolutamente l’origine del casato , natura e l’essenza dell’ individuo , una sorta di stratificazione e integrante del valore della persona, questo non escludendo il rapporto con il divino.

La domanda che pone Moshè è di conoscere la sua natura, cioè di rivelarsi, la stessa richiesta contenuta nel capitolo 33/13 del libro di Shmot risulta più comprensibile se consideriamo con occhi diversi e meno occidentali questa parte di medio oriente dominata da popolazioni che credevano a tante deità, vive o morte , dedicate al bene o al male, fatte di pietra o di legno, quasi come noi oggi crediamo allo Spirito Santo e alla resurrezione, in definitiva la richiesta di Moshè era una garanzia supplementare per distinguere il D-o degli schiavi discendenti di Avrahàm dagli dei che l’Egitto adorava.

Alberto Somekh in un commento pone la domanda: “ che se facevano gli ebrei del nome di D-o? Il suono di questo nome sarebbe stato sconosciuto.
Aggiunge Somekh “La richiesta di Moshè era un’altra:”insegnaci a pregare” o piuttosto “dacci la password affinché la nostra Teffilàh sia ascoltata”

Da qui la celebre risposta di D-o :
ויאמר אלהים אל משה אהיה אשר אהיה “ “Vaiomèr Helohìm al Moshè hejè asher hejè” Shmot 3/14, traducibile come: “E disse Il Signore a Moshè, sarò quel che sarò” , altri ancora traducono “ io sono quello che sono”( Volgata ) , la Settanta traduce “Io sono Colui che è ”, in ogni caso le varie versioni non si spingono oltre l’aspetto grammaticale nell’azione del verbo, riportando al futuro o al presente secondo le preferenze interpretative del traduttore , il denominatore comune è la visione estetica e filosofica che non riflette il significato originale di “essere, omettendo i significati incompresi della affermazione e trascurando la profonda differenza strutturale, di fatto limitandosi alla sola “esistenza statica contemplabile”, escludendo la mobilità del divenire nel senso relazionale come invece appare evidente nelle parole in Shmot 3/14.
Nella traduzioni dei testi biblici in ebraico le suddivisioni per versetto, le virgole e la punteggiatura modificano la cantica iniziale, il respiro naturale del testo viene ingessato favorendo sempre la lingua di destinazione, trasformando il “suono originale” in letteratura, i profumi si sono mischiati con gli odori, il passo di Shmot 3/14 è stato trasformato in un indovinello teologico , l’affermazione della esistenza divina viene ridotta attraverso la banalizzazione del verbo “essere” privilegiando il nostro concetto del divenire secondo la nostra prospettiva del futuro , ignorando la temporalità dell’azione nel” divenire” ebraico.

Rambam afferma che il mistero di questa affermazione è contenuta nella ripetizione del verbo essere in forma di proposizione evolutiva e scrive: ”Colui che richiede che si menzioni la proposizione relativa legata ad esso, perché è un termine manchevole, che ha bisogno di un legame…[….] E’ come si spiegasse che l’oggetto dell’attribuzione e l’attributo coincidono; e questo spiega che Egli esiste, ma non mediante l’esistenza”
(Maimonide- La Guida dei Perplessi 106/20).

L’ebraico non utilizza il verbo” essere” come “copula” e riduce al minimo il significato di “ essere”, il verbo è movimento, mobile nel “divenire” e statico nell’essere stato” , linguisticamente considera due condizioni verbali che definiscono “perfetto e imperfetto”, nel caso dell’Essere come potenzialità teosofica si carica di mobilità e dinamismo supplementare
L’insegnamento che possiamo trarre è che “essere” è movimento, la mutabilità dell’azione è il Nome nel suo divenire, significato e significante sono mobili , D-o si manifesterà nel modo con cui ritiene di rivelarsi attraverso il NOME e gli attributi che riterrà opportuni.
D-o ha destinato il suo nome al manifestarsi nella dimensione fisica e quella temporale.
Luzzato suggeriva: ”Sarò quello che sarò, vale a dire farò per voi quello che non feci finora”
אהיה שלחני אליכם dovrai dire “ Io sarò mi manda a voi”(Shmot 3/13) (esodo), non è forse una dimensione nel divenire?



Fine prima parte.
Noiman
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Michele
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da Michele »

E quindi cosa dovrei scrivere al posto di COLUI CHE E'?
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bgaluppi
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Re: Interpretazione delle Scritture Ebraiche

Messaggio da bgaluppi »

Michele, in italiano lo chiamiamo col termine Dio... :-) Oppure chiamalo HaShem, che significa "il Nome".
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