Gn 1:26-27 e 3:5. Considerazioni
Inviato: venerdì 8 maggio 2015, 2:24
Mi farebbe piacere condividere i miei pensieri su questi due cruciali versetti di Genesi e conoscere le vostre opinioni a riguardo.
Vediamo come il testo greco della LXX traduce Genesi 1:26 e 1:27:
και είπεν ο Θεός· ποιήσωμεν άνθρωπον κατ ‘ εικόνα ημετέραν και καθ ‘ ομοίωσιν
e Dio disse: facciamo l'essere umano a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza
και εποίησεν ο Θεός τον άνθρωπον, κατ ‘ εικόνα Θεού εποίησεν αυτόν
e Dio fece l'essere umano. Lo fece a immagine di Dio
In ambedue i versetti, la LXX usa εικόνα (eiko'na) e ὁμοίωσις (omo'iosis), che significano rispettivamente immagine e somiglianza, e traducono l'ebraico צֶ֫לֶם (tseh'-lem, immagine) e דְּמוּת (dem-ooth', somiglianza).
Ora vediamo il versetto 3:5:
ήδει γαρ ο Θεός, ότι ή αν ημέρα φάγητε απ‘ αυτού, διανοιχθήσονται υμών οι οφθαλμοί και έσεσθε ως θεοί, γινώσκοντες καλόν και πονηρόν
infatti Dio sa che il giorno in cui mangiaste di questo [il frutto], i vostri occhi verranno aperti e sarete come dei [o Dio], conoscenti bene e male
Osserviamo ora come traduce la CEI:
"Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male"
Il testo greco non dice "come Dio", ma "come dei", infatti θεοί (theo'i) e' plurale ed ha lettera minuscola. Traduce l'ebraico אֱלֹהִים (elohim), plurale di eloah, che a quanto ne so puo' significare sia Dio (plurale intensivo) che esseri divini, angeli o dei e anche giudici. La mia conoscenza dell'ebraico e' nulla, quindi non posso stabilire con certezza di cosa si stia parlando in questo versetto. Pero', le possibilita' sono due: o dice "come Dio" o "come dei" (giudici e' certamente da scartare), e purtroppo le traduzioni rendono ambedue i significati.
Di fatto, qui sta dicendo una cosa diversa rispetto a 1:26-27: l'uomo, gia' fatto a immagine e somiglianza di Dio, quindi simile a Dio ma non come Dio (della stessa Sua sostanza, infatti e' fatto di terra), diviene come Dio (o dei) se mangia il frutto dell'albero. A prescindere da quale sia la giusta traduzione di elohim, c'e' da considerare il fatto che in 3:5 e' il serpente a parlare, non Dio. Dio ha detto la verita' all'uomo: se mangia del frutto, certamente morira', e infatti Adamo, per la sua disubbidienza, subisce la condanna a morte, sia in senso fisico che spirituale.
Il serpente, invece, mente, poiche' dice all'uomo che non morira' ma diverra' come Dio o come un dio. Invece, l'uomo muore e non diviene come Dio. Il serpente mente ma, in parte, dice anche la verita', poiche' l'uomo non diventera' Dio ma diverra' "come Dio", si conformera' a Lui, come succede a Yeshua molto tempo dopo e come succedera' a chi seguira' i passi di Yeshua (e in questo senso, torna meglio la traduzione "Dio" che "dei"). Quindi, l'inganno del serpente sembra avere un ruolo preciso, ma c'e' anche da chiedersi se il serpente sia pienamente consapevole di questo.
Sia che elohim qui si traduca con Dio o con dei, la sostanza del discorso ruota quindi intorno all'inganno del serpente, e qui, secondo me, vuole andare a parare il redattore. L'uomo e' ingenuo, poiche' non conosce il bene e il male: il serpente tenta la sua curiosita' e la sua voglia di divenire migliore, inducendolo a disubbidire e facendo leva sulla sua ignoranza dovuta all'innocenza. Sia che il serpente dica Dio o dei, l'uomo cade nel suo tranello. Quindi, alla fin fine, l'uomo sceglie si di disubbidire, e sceglie apparentemente male poiche' non si fida di Dio ma di una creatura, ma e' colpevole solo a meta', in quanto il vero colpevole e' il serpente, che fa leva sull'innocenza e sulla curiosita' dell'uomo per indurlo a disubbidire al Creatore. Ma l'inganno del serpente, toglie l'uomo dall'innocenza, e questo consente all'uomo di "evolversi".
Il problema centrale non e' tanto se il testo dica Dio o dei, quanto la disubbidienza dell'uomo; ma il suo disubbidire e' fortemente influenzato dalla sua innocenza e dalla scaltrezza del serpente. Alla fine, il vero colpevole e' il serpente. Ma il serpente fa parte della creazione, e Dio, nella sua onniscenza, sapeva che avrebbe ingannato l'uomo, come sapeva che l'uomo, nella sua innocenza, si sarebbe lasciato ingannare.
Dio non puo' creare se stesso, ma crea un essere a sua somiglianza che, una volta completato il suo percorso di comprensione, diverra' partecipe di Dio. In questo senso, Dio sta "replicando" se stesso. Perche' faccia questo non e' dato sapere.
Sembra, quindi, che tutto avvenga secondo il disegno di Dio, cosicche' la Sua creatura prediletta, fatta a Sua somiglianza, divenga partecipe di Lui: se l'uomo non avesse disubbidito, non avrebbe potuto comprendere pienamente cosa significhi bene e male (vita o morte), e non avrebbe disubbidito se non fosse stato tentato dal serpente, la cui esistenza assume quindi una funzione specifica al fine della piena evoluzione dell'uomo. La vita terrena, e la inevitabile morte, sono un percorso di sviluppo: l'uomo riceve il giusto insegnamento da Dio, che gli indica la strada da percorrere per arrivare alla meta.
Vediamo come il testo greco della LXX traduce Genesi 1:26 e 1:27:
και είπεν ο Θεός· ποιήσωμεν άνθρωπον κατ ‘ εικόνα ημετέραν και καθ ‘ ομοίωσιν
e Dio disse: facciamo l'essere umano a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza
και εποίησεν ο Θεός τον άνθρωπον, κατ ‘ εικόνα Θεού εποίησεν αυτόν
e Dio fece l'essere umano. Lo fece a immagine di Dio
In ambedue i versetti, la LXX usa εικόνα (eiko'na) e ὁμοίωσις (omo'iosis), che significano rispettivamente immagine e somiglianza, e traducono l'ebraico צֶ֫לֶם (tseh'-lem, immagine) e דְּמוּת (dem-ooth', somiglianza).
Ora vediamo il versetto 3:5:
ήδει γαρ ο Θεός, ότι ή αν ημέρα φάγητε απ‘ αυτού, διανοιχθήσονται υμών οι οφθαλμοί και έσεσθε ως θεοί, γινώσκοντες καλόν και πονηρόν
infatti Dio sa che il giorno in cui mangiaste di questo [il frutto], i vostri occhi verranno aperti e sarete come dei [o Dio], conoscenti bene e male
Osserviamo ora come traduce la CEI:
"Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male"
Il testo greco non dice "come Dio", ma "come dei", infatti θεοί (theo'i) e' plurale ed ha lettera minuscola. Traduce l'ebraico אֱלֹהִים (elohim), plurale di eloah, che a quanto ne so puo' significare sia Dio (plurale intensivo) che esseri divini, angeli o dei e anche giudici. La mia conoscenza dell'ebraico e' nulla, quindi non posso stabilire con certezza di cosa si stia parlando in questo versetto. Pero', le possibilita' sono due: o dice "come Dio" o "come dei" (giudici e' certamente da scartare), e purtroppo le traduzioni rendono ambedue i significati.
Di fatto, qui sta dicendo una cosa diversa rispetto a 1:26-27: l'uomo, gia' fatto a immagine e somiglianza di Dio, quindi simile a Dio ma non come Dio (della stessa Sua sostanza, infatti e' fatto di terra), diviene come Dio (o dei) se mangia il frutto dell'albero. A prescindere da quale sia la giusta traduzione di elohim, c'e' da considerare il fatto che in 3:5 e' il serpente a parlare, non Dio. Dio ha detto la verita' all'uomo: se mangia del frutto, certamente morira', e infatti Adamo, per la sua disubbidienza, subisce la condanna a morte, sia in senso fisico che spirituale.
Il serpente, invece, mente, poiche' dice all'uomo che non morira' ma diverra' come Dio o come un dio. Invece, l'uomo muore e non diviene come Dio. Il serpente mente ma, in parte, dice anche la verita', poiche' l'uomo non diventera' Dio ma diverra' "come Dio", si conformera' a Lui, come succede a Yeshua molto tempo dopo e come succedera' a chi seguira' i passi di Yeshua (e in questo senso, torna meglio la traduzione "Dio" che "dei"). Quindi, l'inganno del serpente sembra avere un ruolo preciso, ma c'e' anche da chiedersi se il serpente sia pienamente consapevole di questo.
Sia che elohim qui si traduca con Dio o con dei, la sostanza del discorso ruota quindi intorno all'inganno del serpente, e qui, secondo me, vuole andare a parare il redattore. L'uomo e' ingenuo, poiche' non conosce il bene e il male: il serpente tenta la sua curiosita' e la sua voglia di divenire migliore, inducendolo a disubbidire e facendo leva sulla sua ignoranza dovuta all'innocenza. Sia che il serpente dica Dio o dei, l'uomo cade nel suo tranello. Quindi, alla fin fine, l'uomo sceglie si di disubbidire, e sceglie apparentemente male poiche' non si fida di Dio ma di una creatura, ma e' colpevole solo a meta', in quanto il vero colpevole e' il serpente, che fa leva sull'innocenza e sulla curiosita' dell'uomo per indurlo a disubbidire al Creatore. Ma l'inganno del serpente, toglie l'uomo dall'innocenza, e questo consente all'uomo di "evolversi".
Il problema centrale non e' tanto se il testo dica Dio o dei, quanto la disubbidienza dell'uomo; ma il suo disubbidire e' fortemente influenzato dalla sua innocenza e dalla scaltrezza del serpente. Alla fine, il vero colpevole e' il serpente. Ma il serpente fa parte della creazione, e Dio, nella sua onniscenza, sapeva che avrebbe ingannato l'uomo, come sapeva che l'uomo, nella sua innocenza, si sarebbe lasciato ingannare.
Dio non puo' creare se stesso, ma crea un essere a sua somiglianza che, una volta completato il suo percorso di comprensione, diverra' partecipe di Dio. In questo senso, Dio sta "replicando" se stesso. Perche' faccia questo non e' dato sapere.
Sembra, quindi, che tutto avvenga secondo il disegno di Dio, cosicche' la Sua creatura prediletta, fatta a Sua somiglianza, divenga partecipe di Lui: se l'uomo non avesse disubbidito, non avrebbe potuto comprendere pienamente cosa significhi bene e male (vita o morte), e non avrebbe disubbidito se non fosse stato tentato dal serpente, la cui esistenza assume quindi una funzione specifica al fine della piena evoluzione dell'uomo. La vita terrena, e la inevitabile morte, sono un percorso di sviluppo: l'uomo riceve il giusto insegnamento da Dio, che gli indica la strada da percorrere per arrivare alla meta.