עקדת יצחק

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Israel75
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da Israel75 »

Interessante :-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
noiman
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Rav. Mendel di Haràch afferma :"che la prova non era intesa a determinare se Izchàk sarebbe stato pronto a dare la sua vita per D-o, la prova era all’opposto per determinare se Avrahàm avrebbe percepito l’incoerenza nella volontà annunciata di D-o in completo contrasto con la promessa delle prime parole “ Perchè nelle tue progenie prenderà il nome da Izchàk “ e ora mi dici: “prendi tuo figlio e conducilo come sacrificio”.
Una domanda che possiamo farci: Avrahàm ebbe il dubbio che il patto fosse annullato e di conseguenza questo ordine fosse il segno del cambiamento ?
Ma è anche stato scritto “ Io (D-o) non ho cambiato
Avrahàm sapeva e fece forza su se stesso. Non c’era scelta; egli fece quello che D-o ordinava senza dubbio e timore.
Questa conoscenza di D-o è la stessa dell’angelo che si rivela con le parole : “ Poiché ora Io so che tu temi D-o”
Una ultima interpretazione è quella di Dante Lattes che scrive: “ …. Tanto D-o quanto Avrahàm, erano a priori convinti che il risultato della prova e della vicenda sarebbe stato il più lieto e il più felice, poiché se ha D-o nulla è ignoto, Egli sapeva che Avrahàm avrebbe obbedito, e Avrahàm dal canto suo era persuaso che D-o buono e giusto, avendogli promesso che Izchàk avrebbe perpetuato il suo nome e la sua missione, non poteva permettere che il sogno e la promessa avessero così triste tramonto. Avrahàm è sempre anche con questa persuasione il protagonista del dramma e lo vive con trepido cuore e con paterna ansia.” ( Nuovo commento alla Torah).
Se Izchàk è consenziente e chiede al padre di essere legato, perché farsi legare? Se uno è consenziente che necessità c’è di farsi legare?
Oggi risponderemmo “per evitare un riflesso condizionato” ! ma quando fu scritto il racconto con queste parole si voleva fornire un insegnamento diverso. Izchak rappresenta il korban , il sacrificio che deve essere perfetto, integro da qualunque difetto , una ferita lo avrebbe reso inadatto al sacrificio. Per giungere a questo occorre l’annullamento completo dell’Io e la sottomissione totale.
L’episodio finale è quanto mai curioso, l’angelo di D-o interviene lo chiama per nome , ma lo deve fare due volte.
Nel testo leggiamo: “Avrahàm, Avrahàm” (Bereshit- va-jerà 22/11)(genesi), non conosciamo quanto è lo spazio temporale tra le due chiamate, sappiamo solo che egli rispose di nuovo come alla prima chiamata diretta di D-o “innenj” eccomi, tutte le traduzioni riportano “sono qui” , quasi a sottolineare l’ansia di chi voleva essere trovato subito prima dell’irreparabile, ma se uno vuole essere trovato perché l’angelo dovette chiamarlo due volte?
Avrahàm era convinto della necessità del sacrificio di suo figlio, condizionato da una auto persuasione , quasi dispiaciuto di non potere dimostrare con i fatti di che era pronto a uccidere suo figlio.
Paradossalmente la grandezza dell’episodio della “legatura di Izchak” sta proprio nel fatto che Avrahàm si accontenta di offrire un montone e rinuncia ad offrire Izchàk. Può sembrare assurdo ma per Avrahàm che aveva accettato completamente il giogo del regno del Cielo, non gli fu facile rinunciare a un precetto.( da Commento alla Paraschat Hukat-Balak 5759 di J. Pacifici)
E’ interessante notare che all’inizio della chiamata, il Signore si annuncia come אלהים Elohim e chiama Avrahàm una sola volta, alla fine quando l’angelo viene inviato esso viene nel nome del tetragramma: ויקרא אליו מלאך יהוה מן השמים “E chiamo lui malach יהוה dai cieli “(Bereshit- vajerà 22/11).(genesi).
I maestri ci fanno notare che quando D-o ferma Avrahàm tramite il suo angelo lo fa con il nome della misericordia e della liberazione, mentre all’inizio della chiamata egli è il D-o del rigore.
Rabbi Hiija ha insegnato :
è una espressione di amore, è una espressione di esortazione. Rabbi Eli’ézer disse lo chiama due volte, una per lui e una per le generazioni- non ci sarà generazione in cui non ci sarà uno come Avrahàm, non c’è generazione in cui non ci sia uno come Jacov, non generazione in cui non ci sarà uno come Mosè, non c’è generazione in cui non ci sarà uno come Samuele”.

Una tradizione tratta dal midrash racconta che “ tre lacrime sgorgarono dagli occhi degli angeli che erano al servizio divino e danneggiarono il coltello, Avrahàm disse a D-o: (visto che il coltello e danneggiato), lo devo soffocare?. Gli rispose “Non lanciare la mano verso il ragazzo”. Gli disse:” posso fargli uscire almeno una goccia di sangue? Gli rispose “ Non fargli nulla, neanche un piccolo difetto”.
E’ anche curioso che l’angelo del Signore in questo episodio compare due volte, la prima per fermare la mano di Avrahàm , la seconda volta, sempre con una chiamata dal cielo per fare una strana affermazione: “Giuro per Me stesso- parola del Signore”
Questa formula è alquanto rara, la ritroviamo in Shemot 32/13
Il resto dell’episodio è conosciuto da tutti al posto del Izchàk viene sacrificato un montone איל che in gematria ha lo stesso valore di 41 come אם “hem”, madre”.
Questo simboleggia la misericordia associata alla figura materna, sempre pronta a immolarsi al posto del figlio.
Questo animale compare nel testo come una visione, “Avraham alzò gli occhi e scorse un montone, che rimase poi impigliato per le corna in un cespuglio”.
Il senso di questa affermazione è distribuita su due temporalità: la prima egli scorge un montone che il testo ci suggerisce che era già li presente, poi nella seconda parte l’animale rimane impigliato per le corna, infine esso viene designato come sacrificio al posto di Izchàk.
Tutta la frase vuole insegnarci che questo animale non è inserito nel racconto in modo casuale, ma era presente fin dal principio essendo partecipe al piano divino. Le due diverse temporalità sottolineano che se Avrahàm avesse sacrificato veramente suo figlio il montone comunque apparteneva alla scena e si impigliò solo quando D-o fu certo che egli aveva superato la prova.
E’ la prima volta che viene introdotto il concetto del sacrificio vicario, il sacrificio che sostituisce un altro sacrificio. Questo sarà la base del cristianesimo qualche millennio dopo.
Il midrash commenta: “povero montone, D-o mette alla provagli uomini, ed è lui a essere ucciso. E’ ingiusto. Non ha fatto niente, lui. Rabbi Yoshua dice. Dal sesto giorno della creazione, questo montone viveva in paradiso, aspettando di essere chiamato; era stato destinato fin dall’inizio a sostituire Isacco sull’altare. Montone speciale, dal destino unico, di cui Rabbi Hanina ben Dossa dice: Niente di questo sacrificio andò perduto. Le ceneri furono disperse sul santuario del Tempio; i tendini, David li usò come corde per la sua arpa; la pelle, la prese il profeta Elia, per vestirsene; quanto ai due corni, il più piccolo chiamò il popolo perché si riunisse ai piedi del Sinai, e il più grande risuonerà un giorno per annunciare la venuta del Messia.
Celebri le parole di Moshè Halbertal:

“Quando Abramo mostrò la volontà di offrire qualche cosa che non poteva essere contraccambiato, Dio rinunciò al suo desiderio di effettuazione del dono”.

L’episodio si conclude con le parole fanno da epigrafe a questo avvenimento:
ויקרא אברהם שם המקום ההוא יהוה יראה אשר יאמר היום בהר יהוה יראה “ Avrahàm chiamò quel luogo Adonai-yireh,” il Signore vedrà.

Se tutto questo fosse avvenuto in un’ altra cultura ,esempio quella meso-americana, lo stesso episodio si sarebbe concluso con il sacrificio e l’elevazione dell’anima di Izchàk nel panteon degli dei , Avrahàm come grande cerimoniere, tutto questo probabilmente sarebbe avvenuto ma lo spirito del sacrificio era culturalmente diverso e riconducibile nei suoi scopi; il sangue era il calcestruzzo dell’antica civiltà Maya.
Niente di simile nella storia della Akedàt di Izchàk.
Se così fosse avvenuto la storia avrebbe dovuta essere riscritta, ma noi sappiamo che il pittore ha voluto rappresentare il suo quadro in questo modo.
Per concludere voglio riportare quello che insegna il Midrash, tratto Pirqè de Rabbi Eliezer:
Quando Abrahàm discese dal monte Moriah, il Satan si accese d’ira perché si rese conto di non essere riuscito a vanificare il sacrificio del nostro padre Avrahàm.
Che cosa fece allora? Andò e disse a Sarah: Non hai sentito che cosa è successo in questo mondo? Lei disse : No! E lui: Tuo marito, il vecchio ha preso il giovane Izchàk e lo ho sacrificato come olocausto sull’altare e il giovane piangeva e gridava forte perché non poteva salvarsi. Immediatamente Sarah si mise a piangere e a gridare. Gridò tre volte come le tre teqioth e tre volte come le jevavoth [ i due suoni dello shofar ], poi la sua anima si involò ed ella morì.
Il nostro padre Avrahàm tornò e la trovo morta, come è detto”E Avrahàm venne a far le esequie a Sarah e a piangerla
(Bereshit 23/2) (Genesi) .
Da dove venne ? dal Monte Moriah.
La Torah che è sempre misurata nelle parole, afferma che la vita di Sarah fu di “ cento, venti anni e sette anni” Perché non scrivere centoventisette anni?

Nella Akedat di Izchak nasce una nuovo pensiero molto più vicino all’intelletto.

Sono dieci gli animali che io ti ho concesso, avrebbe detto Iddio a Israele, secondo rav, Jehudà ben Shimon- tre dei quali vivono con te, sotto la tua podestà e sette non. I primi sono: il bue, l’agnello e la capra. Gli altri sette sfuggono al tuo dominio e sono: il cervo, il capriolo, il daino, lo stambecco, l’antilope e la giraffa e il leone. Io non ho voluto importi nessuna fatica . Non vi ho detto di salire le montagne, di avventurarvi nei boschi per portarmi in sacrificio qualcuno di questi animali che non vivono presso di te, nei tuoi campi e nei tuoi cortili, ma ti ho chiesto soltanto quelli che tu allevi nella tua aia…. …. Il bue è perseguitato dal leone , l’agnello dal lupo, la capra dalla tigre. Iddio Benedetto ti dice : “non mi offrire quelli che perseguitano, ma quelli che sono perseguitati”. Io Amo fra gli animali quelli più umili, i mansueti, gli oppressi, i perseguitati……..
Il sacrificio quindi non richiede la qualità e la quantità come elemento di garanzia e di merito, se non c’è una agnella o una capretta , va bene due tortore o due piccioni, se non c’è neanche questo si arriva a un decimo di “efàh” di farina e null’altro.
Ultima modifica di noiman il martedì 18 aprile 2017, 0:37, modificato 2 volte in totale.
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Gianni
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da Gianni »

Carissimo Noiman, meriti un grazie particolare e particolarmente sentito per tutto l'impegno che metti nell'aiutarci a comprendere la Scrittura. Grazie, Noiman. :-) Il Signore ti benedica grandemente.
AKRAGAS
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da AKRAGAS »

Shalom Noiman.
Chiedi se a qualcuno interessa l'argomento?
Mi metto dietro il banco e ascolto molto volentieri.
Grazie
Che non manchino verso di te le benedizioni del Santo anche per il tempo che dedichi a noi.
Shalom
noiman
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Una vecchia leggenda: ….. c’era una povera vedova con due orfanelle, la quale possedeva un campo. Giunta la stagione dell’aratura, Mosè le vietò di arare il campo attaccando l’aratro a un bue e un asino (deut. 22/10); venuto il momento di seminare Mosè le proibì di farlo con semi di specie diversa. (lev .19/19), giunta la stagione del raccolto, Mosè le ordinò di lasciare intatto un angolo del campo e di non raccogliere le spighe cadute, abbandonandole ai poveri. Poi chiese le primizie per i sacerdoti e la decima per i leviti. La povera vedova , sopraffatta da così pesanti imposizioni, si decise a vendere il campo, sperando di liberarsi dai molteplici obblighi e tributi e comprò due agnellette per poterne adoperare la lana e vestirsi. Appena ebbero partorito, comparve Aronne per prendere i primi nati che gli aspettavano in base alla legge (deut. 15/10). All’epoca della tosatura ecco presentarsi nuovamente il sacerdote per averne la primizia (deut. 23/4) e così avanti senza un momento di tregua di fronte alle esigenze del fisco e dell’altare, tanto che la tormentata vedova dovette decidersi a scannare gli animali per mangiarseli. Ma il sacerdote anche di quelli la sua parte. La donna credendo di liberarsi di ogni angheria li votò a D-o; ma allora “disse Aronne” , sono tutti miei perché appartengono al sacerdote, ogni cosa su cui è stato pronunciato l’interdetto (num 18/14). Alla povera donna non rimase che assistere alla confisca delle agnellette, col pianto agli occhi e colle due orfanelle più povere di prima. (da Nuovo commento alla Torah di rav. Dante Lattes).

I maestri hanno rilevato che quando si parla di sacrificio tramite l’offerta della farina “minchà” si chiama “nefèsh” “anima” la persona che la offre, a differenza di tutti gli altri sacrifici più cospicui.
Questo costituisce l’insegnamento che D-o accetta l’offerta del vero povero come avesse offerto la propria anima.
La Torah conclude l’episodi narrando che i servitori e Abrahàm ritornano indietro, di Izchàk non viene detto nulla, non si sa che fine abbia fatto e dove si sia andato dopo l’episodio. La tradizione riferisce che Izchàk fu realmente sacrificato sul Monte Moriah, fu lui il korban e le sue ceneri bagnate dalla rugiada lo fecero risorgere.
Un altro midrash suggerisce che egli è andato a studiare Torah in una yeshivà lontana.
Il libro di Bereshit nel capitolo 22 è stato letto e commentato da milioni di persone, le chiavi di lettura sono molteplici. Alcuni hanno basato la loro interpretazione secondo la psicologia. Altri hanno ragionato tramite la psichiatria, si sono poi aggiunti gli storici e i filosofi.

Tutti hanno letto e interpretato tramite la conoscenza che disponevano, secondo la propria fede, gli ebrei con la loro, i cristiani attraverso le proprie suddivisioni, cattolici, protestanti, evangelici , testimoni di Geova e altri ancora.
Ciascuno di queste anime ha tratto da questo racconto i significati che meglio si adattavano alla propria esperienza, al particolarismo della propria fede.
Per tutti questo racconto ha fornito un insegnamento, i rigoristi hanno avuto conferma che D-o è giustizia, i moralisti D-o è misericordioso, i gnostici hanno concluso che D-o è un essere capriccioso ma alla fine “buono”, gli atei hanno pensato che è stata una bella storia.
Il pensiero moderno ha aggiunto altre speculazioni , qualcuno si è lanciato nell’ipotesi che nulla di tutto questo si sia avvenuto, un sogno di Avrahàm che si è trasformato in un incubo.
Infine qualcuno ha concluso che questo è stato un grande equivoco al seguito della cattiva comprensione di Avrahàm dell’ordine “ fai salire tuo figlio” e interpretato dal patriarca come l’ordine di sacrificarlo.
Rashi stesso nel suo commento al libro di Bereshit offre un appiglio a questa possibilità quando scrive:” Fallo salire là in olocausto” Dio non gli disse: “immolalo”. Infatti il Santo, benedetto Egli sia, non voleva che Abramo immolasse Isacco, ma solamente che lo facesse salire sul monte, per prepararlo come un olocausto. E dopo che egli lo ebbe fatto salire, Dio gli disse di farlo scendere”

Queste parole sono in parte condivise da alcune frange del giudaismo , forse un tentativo del rabbinismo di sciogliere in qualche modo questa ansia teologica e raddolcire il D-o di Israele .
Kant che era un filosofo introduce una altra questione: "Era sicuro Avrahàm che fu veramente D-o ha ordinare il sacrificio di suo figlio?. Secondo Kant il patriarca avrebbe dovuto rispondere alla richiesta:” Sono sicuro che non devo uccidere mio figlio, ma non sono sicuro che tu che mi appari in questo momento sei veramente Dio”.
Balmary interpreta la legatura di Izchàk come il primo esperimento di psicanalisi, dove D-o sale in cattedra per guarire il malato Avrahàm dalla compressione errata del divino.
Questo racconto contiene l’insegnamento che D-o non gradisce i sacrifici umani e in questa storia intuiamo che è imminente la creazione del popolo di Israel tramite la discendenza di Jacov .
L’akedah di Izchàk è l’insegnamento che sostituisce il sacrificio umano con l’animale, suonano ora chiare le parole di Ezechiele dove scrive:” Diedi loro perfino delle leggi non buone e dei precetti per i quali non potevano vivere” (20/25).

Ho citato che in Bereshit 12/1 e in 22/ compare il verbo “ra’ha””vedere”, che ritroviamo anche in Bereshit 12/1 , questa radice genera anche il nome del monte Moriah su cui sarà costruito il tempio, questo luogo è citato quasi ad anticipare l’ufficialità del luogo dove Israele potrà praticare i sacrifici graditi a D-o.
Anche se sfugge alla visione comune la definizione di questo luogo assume un aspetto nuovo , da quel giorno i sacrifici di Israele saranno amministrati sotto l’egida di D-o e il luogo dove saranno graditi a D-o è un solo un luogo, quello del Miskan, il tempio sul monte Moriah a Gerusalemme.
Tutto il racconto potrebbe essere una visione del patriarca con lo scopo di insegnarci questa nuova regola, l ’Aqedah di Izchàk è un sacrificio incompiuto, una frazione di secondo che separa l’intento dall’azione. Questo è stato per secoli argomento di confronto all’interno del giudaismo e ancora oggi questo pensiero non è sopito.
L’incompiuto rappresenta per il pensiero ebraico un passaggio dal passato al presente, dal collettivo all’individuale, una domanda che chiunque si può fare anche oggi: “cosa avrei fatto io ?”
La stessa domanda se la sono fatta i lettori del libro di Genesi da quando questo libro è stato scritto, generazione dopo generazione i significati e le interpretazioni sono state affrontate secondo la regola che il commento si regge sul commento, sicuramente i pensieri dei contemporanei sono diversi dai nostri.
Solo in epoca recente l’interpretazione si è cristallizzata nella forma attuale, l’antico pensiero ne ha generato uno moderno.
Detto questo rimane ancora da fare una ultima considerazione riguardo al messaggio teologico che il testo esprime; tutto il racconto non è scritto fine a se stesso, non è un racconto di cronaca, ma fin dalle prime parole il suo aspetto pragmatico sembra suggerire che esso è stato scritto con il preciso scopo di consegnare un insegnamento proiettato nel futuro, in questa storia sono contenuti gli ingredienti base di questa rivelazione; concetti come “nissàh” la prova , il “korban” il capro espiatorio , questi simboli ricevono attraverso il racconto un significato che è lo spirito stesso del racconto
Scrive Rosenzweig in una lettera:
[….] “Voi avete scambiato Abramo per Agamennone, il quale sacrificò ciò che aveva per amore di un’altra cosa che egli voleva, o, se preferite , che era suo dovere di volere; anzi, non compì neppure da se stesso il sacrificio, semplicemente lo consegnò e se ne stette in piedi con il capo velato, Abramo invece non sacrificò qualcosa, non sacrificò un figlio, ben l’unico” figlio, di più sacrificò il figlio della promessa e lo sacrificò al Dio di quella promessa [….] il figlio viene restituito: ora egli è ancora il figlio della promessa. Nient’altro accade, soltanto la promessa resta confermata [….]Agamennone sacrifica qualcosa, “ciò che egli ha” , Abramo tutto ciò quello che potrebbe essere”
(Rothschild- Il Cristianesimo secondo gli ebrei).

Tutto il racconto della Akedàh di Izchàk trova importanti collegamenti con un altro racconto celebre “Il sacrificio della figlia di Iefte” raccontato in Giudici 11. Questo racconto assomiglia al racconto di Bereshit in versione femminile.
In entrambi i racconti le vittime sono figli unici, il verbo “vedere” è ricorrente, Avrahàm dice a suo figlio che “D-o vedrà”, Jefte nella sua sfortuna “vede sua figlia” che in seguito alla promessa diviene la “vittima del sacrificio”. Una differenza sostanziale è l’esito del racconto, Izchàk sopravvive e assicurerà la discendenza con Jacov e poi Israele, la figlia di Iefte invece non conoscerà uomo.. D-o nel libro di Giudici non compare direttamente nella storia, Iefte è in guerra e per favorirne le sorti pronuncia un voto, molto simile a “pur” della meghillàh di Ester
Il racconto del sacrificio della figlia di Iefte è un insegnamento all’incontrario, D-o non interviene e accetta il sacrificio rendendo vano l’insegnamento di Avrahàm.
In realtà l’insegnamento non è così negativo, possiamo trarre da questa storia che D-o non è sovrano sull’uomo e non può sempre intervenire sugli uomini che sono i veri responsabili delle loro azioni. Il padre di Iefte ha fatto un voto e D-o non ha chiesto nessun sacrificio.

Ma dove è finito Izchàk ?
Nel testo non si parla di lui e del suo ritorno, la Torah si è dimenticata di lui, oppure nel gran finale possiamo interpretare questo come un segno, una specie di segnalibro destinato a darci un ulteriore insegnamento.
Era quasi scontato che il racconto trovasse la sua conclusione con un abbraccio del padre con figlio e i servitori festanti per lo scampato pericolo, tutto condito da un coro di angeli , questo ci sarebbe piaciuto molto e noi lettori avremmo tirato un sospiro di sollievo e chiuso il libro certi di aver letto una bella storia.
Ma questa non era l’intenzione.
Certamente da questo momento inizia la vera storia ebraica Avrahàm e il primo “ivrit”, l’uomo che passo oltre alla morte, che superò anche il sacrificio.
Il padre di Israele fu scelto da D-o, suo figlio divenne il capostipite di un pensiero nuovo nella nuova discendenza, niente limiti e compromessi con il passato.
Insegnano i maestri che il nome di D-o non compare mai associato con una persona ancora in vita, le espressioni: il D-o di Avrahàm , il D-o di Jacov compaiono nel testo solo dopo la loro morte. L’unica eccezione è Izchàk, della quale viene detto “Iddio di Izchàk mentre questi era ancora in vita, questo lo rende speciale e unico.
Il suo merito è quello di aver saputo annullare se stesso e accettando che sarebbe stato ucciso dal proprio padre.
Nei tre giorni del viaggio verso il monte Moriah un uomo di 37 anni ha subito un cambiamento , nato e risorto tre volte.
Certamente la presenza di Avrahàm sembra fare impallidire quello del figlio Itzchàk, noi discendenti consideriamo primario da sempre il ruolo del padre e secondario quello del figlio.
Quando il Santo gli parla: “ Io sono il D-o di Avrahàm tuo padre, non temere perché Io sono con te e ti benedirò per merito di Avrahàm mio servo” con queste parole viene sancito il vero distacco dalla figura paterna.
Scrive molto bene Jonathan Pacifici a riguardo:
Itzchàk vive nella misura del timore, Iddio è il terrore di Itzchàk. Avrahàm è nella misura della misericordia, dell’amore “Chesed le- Avrahàm”. Avrahàm serve D-o per amore e si aspetta un comportamento misericordioso. Itzchàk serve D-o per timore. È rigoroso all’estremo e non si aspetta null’altro che la volontà di D-o venga eseguita. Uccidere il proprio figlio per decreto divino è un problema per Avrahàm che vuole essere d’accordo con D-o, no per Izchàk. Se D-o mi vuole morto va bene. E Avrahàm che deve provare il proprio sangue freddo”.

Shalom
Noiman
Ultima modifica di noiman il martedì 18 aprile 2017, 0:57, modificato 2 volte in totale.
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bgaluppi
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da bgaluppi »

Ah, grazie Noiman. Non ricordavo questa cartella. Aggiungerò qui le mie considerazioni ed eventualmente cancello l'altra. :-)
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da bgaluppi »

Riporto qui le mie considerazioni sul sacrificio di Isacco che avevo inserito nell'altra cartella. Questa discussione mi era sfuggita, e non ho ancora letto tutti i commenti.

“Dio mise alla prova Abraamo e gli disse: «Abraamo!» Egli rispose: «Eccomi». E Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui che ami, Isacco, e va' nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra uno dei monti che ti dirò»”.

Mi sono chiesto: come poteva Abraamo, dopo essersi scandalizzato con Dio perché voleva distruggere Sodoma e Gomorra con tutti i suoi abitanti, accettare di sacrificare suo figlio dopo aver ricevuto da Lui una promessa? Dio è fedele (Dt 32:4) e non rinnega le promesse:

“Alza ora gli occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della terra; in modo che, se qualcuno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti.” - Gn 13:14-17

“«Colui che nascerà da te sarà tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi contare». E soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che gli contò questo come giustizia.” - Gn 15:4-6

“Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e tu gli metterai il nome di Isacco. Io stabilirò il mio patto con lui, un patto eterno per la sua discendenza dopo di lui.” - Gn 17:19

Isacco sarà colui con cui Dio stabilirà il suo patto, e alla cui discendenza darà in eredità la terra. Come potrebbe Dio mantenere la Sua promessa, se davvero volesse il sacrificio di Isacco? Come potrebbe mai esserci una discendenza, se Isacco viene ucciso? E che senso avrebbe avere fede in un Dio che non mantiene le Sue promesse? Poi, leggendo, ho compreso che in realtà Abraamo forse non ha mai creduto che Dio volesse quel sacrificio, e che Dio non ha comandato un omicidio, ma semplicemente ha richiesto un atto di obbedienza, che Abraamo porta a termine. Infatti, mentre Abraamo ed Isacco salgono verso il luogo dove doveva essere espletato il sacrificio, Isacco si domanda dove sia l'agnello per l'olocausto, e Abraamo gli risponde: “Figlio mio, Dio stesso si provvederà l'agnello per l'olocausto” (Gn 22:8). Non dice che la vittima sarà Isacco, ma che Dio se ne provvederà una (e così avviene). E, allo stesso tempo, non esita a deporre Isacco sull'altare e a prepararsi a sacrificarlo: “Abraamo stese la mano e prese il coltello per scannare suo figlio” (Gn 22:10).

Sembra quasi che Abraamo aspetti l'intervento di Dio per fermarlo, ma allo stesso tempo è pronto ad obbedire. E sembra che Dio attenda quello stendersi della mano verso il coltello per intervenire. Pur già conoscendo la disposizione del cuore di Abraamo, perché lo ha scelto, Dio lascia che Abraamo faccia la sua scelta tra bene e male, tra obbedienza e disobbedienza; e Abraamo conferma dunque che la sua fede è salda, totale: “Egli credette al Signore, che gli contò questo come giustizia.” (Gn 15:6). Prima che Abraamo scanni il figlio, Dio lo ferma: E Rashi commenta: “Da adesso in poi ho una risposta per satana e per i popoli che si chiedono cosa sia il Mio amore nei tuoi confronti. Adesso ho una ragione (lett. un'apertura di bocca), poiché essi vedono "che hai timore di Dio"“.

In quell'atto di stendere la mano sembra fondarsi tutta la promessa, il patto di Dio con Israele; come i rami dell'albero, per essere forti, devono essere sostenuti da un tronco forte e saldo, così il popolo di Israele deve essere fondato sulla roccia, che è la fede di Abraamo. Come il primo patto fu fondato sulla fede di un uomo disposto a sacrificare suo figlio pur di non disobbedire a Dio, così il nuovo patto si fonda sulla fede e sull'amore di un uomo, Yeshùa, che ha rinunciato a se stesso per i propri fratelli, offrendosi spontaneamente come sacrificio espiatorio.

La fede, dunque (che implica l'obbedienza), è il principio fondante del rapporto tra Dio e gli uomini; e come per la mancanza di fede l'uomo è precipitato nell'abisso, così per fede l'uomo può salire al cielo.

Paolo scrive:

“Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abraamo o alla sua discendenza in base alla legge, ma in base alla giustizia che viene dalla fede. Perché, se diventano eredi quelli che si fondano sulla legge, la fede è resa vana e la promessa è annullata; poiché la legge produce ira; ma dove non c'è legge, non c'è neppure trasgressione. Perciò l'eredità è per fede, affinché sia per grazia; in modo che la promessa sia sicura per tutta la discendenza; non soltanto per quella che è sotto la legge, ma anche per quella che discende dalla fede d'Abraamo. Egli è padre di noi tutti (com'è scritto: «Io ti ho costituito padre di molte nazioni») davanti a colui nel quale credette, Dio, che fa rivivere i morti, e chiama all'esistenza le cose che non sono.” (Rm 4:13-17)

Abraamo è un uomo pio, timorato di Dio (Gn 22:12), e obbedisce senza esitare, fiducioso nel Signore. “Per fede Abraamo, quando fu messo alla prova, offrì Isacco; egli, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito. Eppure Dio gli aveva detto: «È in Isacco che ti sarà data una discendenza». Abraamo era persuaso che Dio è potente da risuscitare anche i morti; e riebbe Isacco come per una specie di risurrezione.” (Eb 11:17-19). Egli forse non comprende ancora per quale motivo Dio gli chieda di sacrificare suo figlio, ma sa con certezza che Dio è fedele e si rimette totalmente alla Sua volontà. Infatti, alla chiamata di Dio, egli risponde: “Eccomi” (Gn 22:1); Rashi commenta: “Questa è la risposta del pio. È un'espressione di umiltà e di prontezza”. Allo stesso modo, Yeshùa si offre a Dio confidando in Lui totalmente: “"Ecco, vengo" (nel rotolo del libro è scritto di me) "per fare, o Dio, la tua volontà". Dopo aver detto: "Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte, né olocausti, né sacrifici per il peccato" (che sono offerti secondo la legge), aggiunge poi: "Ecco, vengo per fare la tua volontà".” (Eb 10:7-9; cfr. Sl 40:6-8).

O Signore, tu esaudisci il desiderio degli umili; tu fortifichi il cuor loro” - Sl 10:17; “Guiderà gli umili nella giustizia, insegnerà agli umili la sua via” - Sl 25:9; “Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, salva gli umili di spirito” - Sl 34:18.

Cosa è l'umiltà? Chi sono gli umili? Il termine "umile", in ebraico עָנָו (anav) e in greco ταπεινός (tapeinòs), si riferisce a colui che confida in Dio piuttosto che in se stesso. L'umile si arrende a Dio, conscio della propria impotenza, come hanno fatto Abraamo e Yeshùa.
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bgaluppi
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da bgaluppi »

Credo di aver capito che il sacrificio richiesto è in realtà simbolico. Il punto era che Abraamo doveva offrire suo figlio, non ucciderlo: e lo fece: “Io giuro per me stesso, dice il Signore, che, siccome tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo, io ti colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” (22:16,17).

Abraamo "ha fatto" ciò che doveva fare, che Dio voleva che facesse. In un certo senso, il sacrificio non è avvenuto ma è come se fosse avvenuto. Ma la domanda è: Abraamo aveva capito che il sacrificio era simbolico? Io credo di no, perché l'angelo è costretto a fermarlo; e se avesse saputo che, in realtà, Dio non gli avrebbe consentito di uccidere Isacco, il significato della prova sarebbe stato vanificato. Dunque, nonostante Abraamo fosse determinato ad andare fino in fondo, ubbidendo a Dio, egli sa anche con certezza di potersi fidare dell'Eterno, poiché da Lui ha ricevuto una promessa e poiché la sua fede in Dio non poteva consentirgli di credere altrmenti. Degno di nota è che la promessa viene fatta prima della richiesta di sacrificio, non dopo. Dopo viene confermata. Dio promette prima poiché sa quale sarà la scelta di Abraamo. E Abraamo non esita ad obbedire, perché sa che Dio è fedele. È qui che risiede tutto il significato di quell'evento: la fede e la fiducia di Abraamo, unite all'obbedienza. La promessa, dunque, è basata sulla fede e sull'obbedienza.

Quindi, Abraamo semplicemente si rimette con totale fiducia alla volontà di Dio, che non ordina, ma chiede. Il senso della richiesta non compare sulla traduzione della NR ma è espressa dal testo ebraico. Dio non poteva ordinare un sacrificio umano, un omicidio, invece chiede ad Abraamo di superare una prova, che sancirà la promessa. Rashi commenta:

“L'ebraico קַח נָא è soltanto un'espressione di richiesta. Lui [Dio] disse ad Abraamo, “Ti prego, supera questa prova per Me, così che nessuno potrà dire che le prove precedenti non avevano sostanza” - [da Sanhedrin].

L'Eterno aveva tutto ben chiaro davanti a Sé. Egli conosceva bene la disposizione del cuore di colui che Si scelse. Ma Abraamo doveva comunque fare una scelta. La prova può essere dunque un segno, attraverso il quale viene sancito il patto di Dio con Israele.
noiman
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Con un po' di fatica ho ripristinato la discussione che avevo cancellato.
Un saluto :YMHUG: :-) :-) :-)
Noiman
noiman
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Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Forse vale la pena rivedere questa cartella, e qualche spiegazione può essere utile
Noiman
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