עקדת יצחק

noiman
Messaggi: 1986
Iscritto il: domenica 20 aprile 2014, 22:41

עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

1
עקידת יצחק
Vi ripropongo quello che era stato già inserito sul forum e ho aggiunto qualche modifica e correzione. Nissan 5777
“Akedàt Izchak” “la legatura di Isacco”.

La Bibbia ebraica mostra un rapporto tra l’uomo e il divino particolarmente sofferto al punto che il D-o di Israele appare spesso come un antagonista in perenne conflitto con gli uomini, a volte manifesta un carattere capriccioso , spesso mal disposto nei confronti dell’umanità e in modo particolare con il suo popolo, il contrario di un D-o padre amorevole e misericordioso a cui siamo abituati nel cristianesimo
Tutto questo ci pone in difficoltà e richiede un approfondimento sul perché e come il giudizio divino ci appare assolutamente singolare e innaturale.
Quale padre sacrificherebbe suo figlio a una divinità. Qualcuno certamente avrebbe da osservare che tutto questo non è mai avvenuto e il racconto oltre che essere solo di insegnamento è un esempio che il divino a scelto di mostrare al mondo che il sacrificio dei propri figli agli dei non è cosa voluta da D-o.
E possibile che ci troviamo di fronte a un racconto volutamente forzato in diverse forme antropomorfiche con lo scopo di lasciare nel testo una precisa traccia che impone il giudizio morale e un argomento di studio per i posteri, esattamente come leggiamo sul Vangelo riguardo alla parabola del buon pastore spiegata molto bene da Luca
Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. » Luca 15-3/7.
Certamente questo non è scritto nel manuale di istruzioni del pastore, nessuno abbandonerebbe nel deserto novantanove pecore per cercarne una smarrita. Al di la della forte strumentalizzazione della parabola, il messaggio che contiene questa parabola è simile alla Akedat di Izchàk, Esteher Neumann ne fa una considerazione:
Egli è il pastore che ha lasciato le novantanove pecore che non si erano sviate ed è andato alla ricerca di quella che si era smarrita. E quando l’ha ritrovata ne ha gioito; perché il novantanove è un numero contenuto nella mano sinistra, che lo conteggia ma appena è stato trovato l’uno, cioè l’intera destra. Perché questa attira ciò che è mancante: lo prende dalla sinistra e lo passa alla destra, e in questo modo il numero diventa cento

Forse le azioni divine D-o ci appaiono logiche solo quando secondo nostro giudizio esse sono affini e secondo il nostro senso dell’etica e comprensibili secondo il nostro concetto di giustizia legato alle nostre esperienze acquisite e assimilate dalla nostra cultura, secondo una morale acquisita in modo collettivo conseguenza di secoli di vita vissuta tramite le esperienze storiche e religiose .
Tutto questo ci condiziona e rende giustificato il comportamento divino, soprattutto ogni volta le azioni divine sono simili a quello che avremmo fatto noi e affini al nostro confrontarci con il senso della giustizia come l’abbiamo studiata e secondo come la comprendiamo e auspichiamo.
Tutto questo vale molte volte ma ogni volta che le cose non vanno come è giusto per noi nascono i problemi e tutto va in collisione con l’etica e il senso di giustizia a cui noi siamo abituati,.

A rendere ancora più angosciante questo rapporto con il divino è la quasi assoluta mancanza di spiegazione del perché D-o si compiace di fare certe richieste ai suoi uomini, richieste che oltre a essere crudeli appaiono anche illogiche.
Qualche studioso ha attribuito a queste richieste insensate una specie di teoria che attribuisce allele prove una forma di “pedagogia divina” per insegnare all’uomo tramite l’esperienza diretta sulla sua pelle una visione diversa del divino, di se stesso e infine del mondo.
Qualcuno direbbe oggi che D-o era crudele esattamente come lo erano i primi uomini che provavano piacere nei sacrifici umani, nei riti orgiastici e in ogni nefandezze.
In un tempo dove le guerre erano segnate da incredibili atti di crudeltà, dove il meglio che ti poteva succedere se sconfitto era una dura schiavitù, la presenza di D-o non poteva che rivolgersi al suo popolo se non attraverso la stessa lingua, un D-o oscuro e nascosto.

Il concetto di prova che Egli esige è completamento contrario al nostro modo di concepire la giustizia. Prima di affrontare la “legatura di Izchàk” che e l’esempio biblico più conosciuto e discusso del concetto di prova, forse occorre approfondire che cosa è il concetto di prova nell’ebraismo.
La domanda classica che ci poniamo da secoli è rimasta senza risposta: “ D-o che necessità a di metterci alla prova per sapere ”Se D-o è onnisciente che necessità di sapere cosa farà un essere umano messo alla prova?
Iniziamo a considerare il termine ebraico נסיו nisayon che significa “prova” la radice נס ha il significato di mettere alla prova”, una azione dinamica con lo scopo di verificare una possibilità, ovviamente anche nell’ebraico moderno לנסות è “provare”.
La stessa radice נסס vuole dire anche “nes” ,miracolo ma anche la parola segno, la bandiera è anche “ nes” , il miracolo è forse anche un segno? il miracolo ha spesso il legame con una prova? “dicono i maestri, che il beneficiario dei miracoli non si rende conto del suo miracolo”
Se “nes “è anche la bandiera, sappiamo che la bandiera tutti la vedono tranne il portabandiera, allora è importante che questo miracolo qualcuno lo annunci.


L’esperienza di Avrahàm può essere anche capovolta, la prova non fu richiesta in primis al padre che doveva sacrificare il figlio, ma fu chiesta a Izchàk che aveva trentasette anni e avrebbe potuto facilmente opporsi a un vecchio di novant’anni.
La prova nella prova, in secondo piano Avrahàm per sapere se egli avrebbe inteso l’incoerenza di D-o che prima gli disse:” Perché la tua progenie prenderà il nome di Izchàk” e poi mi dici:” prendi tuo figlio e portalo come sacrificio” Questo avrebbe potuto generare un cortocircuito nella mente del profeta. Questo non avvenne perché egli conosceva le parole del Signore che dicevano “ Io (d-o) non ho cambiato”

Il midrash commenta
ואף כי גילה אברהם ליצחק כי לשחטו היה מוליכו,קבל דבריו של הקדוש ברוך הוא בשמחה, לכך נאמד וילכו שניהם יחדו.
Anche se Abramo rivelò a Isacco che sarebbe stato sacrificato, accettò le parole di Kadòsh BarichHu con gioia, per questo è detto e “camminarono insieme
Midràsh Aggadàh -Bereshit 22.8

Maimonide prova a spiegare il concetto biblico di prova, scartando subito la visione classica che D-o manda le disgrazie a l’individuo senza che egli ne abbia alcuna colpa , lo scopo è quello di accrescere la sua ricompensa nel mondo e nel mondo a venire, scartando di fatto l’ingiustizia di D-o.
Rambam considera le prove come un modo di fare sapere agli uomini quali esempi emulare e seguire. Afferma che il detto biblico:” per sapere se voi amate” non è perché D-o non sappia, ma è perché gli altri sappiano. L’azione individuale, la prova individuale di Avrahàm o di Giobbe sono destinate al collettivo e ogni prova subita è un insegnamento.
Molto significative sono le parole che scrive nella sua opera la Guida ai Perplessi riguardo al sacrificio di Abramo:” a proposito del sacrificio di Isacco essa racchiude due concetti che sono tra i fondamenti della legge. Il primo concetto ci fa conoscere i limiti dell’amore per Dio e fino a che punto arrivi il timore nei Suoi confronti. Ad Abramo, in questa vicenda, viene ordinato ciò che non è paragonabile né al sacrificio dei beni né a quello si se stessi […] “L’angelo gli disse” perché ora io so che tu temi Dio, nel senso che, grazie a questa azione alla quale si riferisce il timore di Dio, tutti gli uomini sapranno fino a che punto arriva il “timore di Dio”( capitolo XXV).

Prima di introdurre e commentare il libro di Bereshit nel capitolo 22 dove è narrata la legatura di Izchàk è bene fare qualche considerazione. Sappiamo che Avrahàm ha avuto prima di concepire Izchàk un primo figlio con una schiava di nome Agar, Ismael era dunque il primogenito. La situazione è alquanto complessa entrambi i figli di Avrahàm ricevono un benedizione , Ismael per bocca di un malàch del Signore viene assicurata una discendenza così numerosa da non poterla calcolare, simile alla promessa che D-o in persona fece ai discendenti di Izchàk ( ricordate le stelle del cielo?) in più viene fatta la promessa di un luogo fisico sulla terra la terra di Israel.
La differenza è che nella seconda benedizione viene anche stipulato un patto vincolante.
Ma secondo la Torah è anche vincolante il diritto di primogenitura che era in vigore quando c’erano più figli, Izchàk era secondogenito di Avrahàm.

כי-תהיין לאיש שתי נשים האחת אהובה והאחת שנואה וילדו-לו בנים האהובה והשנואה והיה הבן הבכר לשניאה : והיה ביום הנחילו את-בניו את אשר-יהיה לו לא יוכל לבכר את-בן- האהובה על-פני בן-השנואה הבכר: כי את-הבכר בן-השנואה יכיר לחת לו פי שנים בכל אשר-ימצא לו כי-הוא ראשית אנו לו משפט הבכרה
E quando saranno a un uomo due mogli, una amata e una odiata, e partorirono a lui dei figli la amata e l’odiata ,se sarà primogenito il figlio della odiata, e sarà a lui in un giorno l’eredita e non potrà dare la primogenitura al figlio dell’amata preferendogli il figlio dell’odiosa che è il primogenito e riconoscerà come primogenito il figlio dell’odiosa dando a lui tutto in doppia misura che si trova a lui in vigore del primogenitura del patto ” (Devarim 21/15-17).

Il dovere di dare “doppia misura di ogni bene “ rispetto ai propri fratelli è sempre stata fonte di interpretazioni. Perché il primogenito doveva ricevere il doppio dell’eredità divisa tra i fratelli? Forse questa era una indennità materiale giustificata dal compito di essere il primo e quindi guida agli altri?.
Una buona risposta la possiamo ritrovare in una derashà a commento della parashàt di Ki Tetzè scritta da rav Someck dove viene fatta fa una interessante riflessione tratta dal midrash :
Quando i figli di Ismael si presentarono da Alessandro magno rivendicando per se stessi il diritto di primogenitura nei confronti di noi ebrei dissero:”la terra di Israel è nostra non meno di quanto appartiene a voi, dal momento che siamo tutti figli di Avrahàm. Non è forse scritto nella Tora che il padre potrà attribuire il diritti di primogenitura al figlio della moglie (Izkhak) a fronte del figlio di quella che detesta (Isma’el) che è il vero primogenito”? Gli ebrei risposero: “Anche noi abbiamo un versetto che prova il nostro assunto: “E Avrahàm donò tutto ciò che aveva a Izkhak
(Bereshit 25/5). “ Gli Ismaeliti domandarono: “E dov’è il documento che comprova che si è trattato di una donazione in vita e non di una successione?Gli ebrei risposero: “E’scritto subito dopo:” E anche ai figli delle concubine Avrahàm fece dei doni” (Bereshit 25/6). “Gli ismaeliti batterono in ritirata”
(Bereshit Rabbà 6 1/7)
Ovviamente Hagar non è moglie di Avrahàm ma solo una concubina e qualcuno potrebbe anche obiettare che la Torah non era stata ancora consegnata all’uomo, ma per l’ebraismo essa era in cielo e per tradizione fosse conosciuta dai profeti e patriarchi.
La sensazione è quella che tutto quello che avverrà abbia una relazione con la primogenitura tra i due figli di Avrahàm.

Prima parte
Ultima modifica di noiman il martedì 18 aprile 2017, 0:03, modificato 2 volte in totale.
stella
Messaggi: 3925
Iscritto il: giovedì 3 aprile 2014, 17:44

Re: עקדת יצחק

Messaggio da stella »

Grazie anche da parte mia Noiman ... :-)
L'ho sempre detto che tu riesci ad farci entrare in una dimensione ...profonda surreale ... ;;)

fotocopierero ....per meglio meditarlo ...
l,anima mia. ha sete del Dio vivente
Avatar utente
Gianni
Site Admin
Messaggi: 10097
Iscritto il: giovedì 12 marzo 2009, 10:16
Località: Viareggio
Contatta:

Re: עקדת יצחק

Messaggio da Gianni »

Ringrazio anch’io Noiman.

Quando Noiman fa i suoi interventi, c’è solo da ascoltare e da meditare. Al massimo si possono fare domande per saperne di più. Si rimane incantati di fronte alla sapienza di Israele. Come dice bene Stella, si entra in un’altra dimensione.

Leggendo l’intervento di Noiman, ho fatto diverse riflessioni. Una di queste va al di là del contenuto e riguarda questa parte del suo intervento:
“”Gli disse: prendi tuo figlio:Gli rispose: Ho due figli, quale figlio? Ed il Signore: “il tuo unico”. Replicò Avrahàm: Questo è unico per sua madre e l’altro è unico per sua madre. Continuò: “ Che t u ami” E Avrahàm: Esistono forse i confini delle viscere?. Soggiunse: Isacco” E perché non diglielo subito? Per renderlo caro ai tuoi occhi e per dargli una ricompensa ad ogni parola” (Bereshit Rabbà LV/7).

Sono stato colpito da questo: “E perché non dirglielo subito? Per renderlo caro ai tuoi occhi e per dargli una ricompensa ad ogni parola”. C’è qui un modo molto profondo di leggere il testo biblico, un modo che è contemporaneamente molto intimo con la Scrittura, molto spirituale e finemente psicologico. Un modo che ci permette di gustare e apprezzare una dimensione che va oltre le parole scritte.
Non so se sbaglio paragone, ma mi viene in mente tutta la sequenza delle domande poste da Dio in Gn 3:9-13. Non so se sbaglio di nuovo paragone, ma mi vengono anche in mente le domande di Yeshùa di Nazaret in Mt 16:13-15. C’è in ciò una psicologia finissima.

La stessa riflessione mi viene per la seguente considerazione riportata da Noiman:
Non può sfuggire che la sequenza del versetti che riguardano i preparativi seguono un ordine innaturale; Al mattino presto Avrahàm mette mette il bastio all’asino, prende con se due schiavi e suo figlio, poi spacca la legna da solo, non chiede aiuto a nessun servo e nessun schiavo. Non sarebbe stato più logico, prima spaccare la legna, prendere con se gli schiavi e infine imbastire l’asino? da questo possiamo trarre qualche insegnamento?

Un’ultima riflessione riguarda queste parole: “La crocifissione, per noi rappresenta un passo, non in avanti, ma indietro”. È vero, è un passo indietro, molto indietro. Ma per ricominciare da lì, da molto indietro (Rm 5:18,19; 2Cor 5:21), e prendere così, questa volta, la strada giusta. Ma questo è un altro discorso.

Todà, grazie, Noiman.
Avatar utente
Maryam Bat Hagar
Messaggi: 1003
Iscritto il: martedì 1 aprile 2014, 15:27
Località: Milano maryambad@hotmail.it

Re: עקדת יצחק

Messaggio da Maryam Bat Hagar »

illuminante come sempre Noiman
il nostro nemico non è né l'ebreo né il cristiano
il nostro nemico è la nostra stessa ignoranza

Ali ibn Abi Talib(599- 661)
maria
Messaggi: 327
Iscritto il: giovedì 12 marzo 2015, 16:50

Re: עקדת יצחק

Messaggio da maria »

Sia benedetto Il Signore.

Il mio preferito, ecco perché Lech Lechà... la scelta di questo nickname... da molto tempo, da prima che mi iscrivo al Forum, ma questa é un'altra storia... Grazie Noiman.

" La legatura di Izchack", nella letteratura rabbinica, ho scoperto da poco, "sacrificio di Izchack" non esiste. Un altro mito sfatato da intenso studio...
Avraham e Izchack vanno insieme,yachdav, insieme in comunione e accordo, Avraham forte del suo amore per D-o e Izchack, forse un po' di timore?
E D-o chiama "Avraham! Avraham!" e ferma il coltello.

Grazie
Avatar utente
Israel75
Messaggi: 1934
Iscritto il: mercoledì 26 marzo 2014, 16:27

Re: עקדת יצחק

Messaggio da Israel75 »

Interessante. :-)
Il discorso sulla crocifissione meriterebbe un bel dibattito di quelli sani e costruttivi però. Senza "infiltrazioni", davvero.
Di mio posso solo dire che pur capendo in parte il "passo indietro" che rappresenta forse andrebbe inquadrata in un piano più ampio.
Dio che è sempre giusto ed equo (non credo ci sia bisogno di fare citazioni bibliche) fornisce ad entrambi un contropartita.
Abramo che ha 2 figli ha tutti i motivi per credere che Egli il Santo lo fermerà sul più bello.
Yeshua che impersona l'agnello condotto al mattatoio di Isaia è consapevole che risorgerà dopo 3 giorni e 3 notti(segno di Gionà).
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
AKRAGAS
Messaggi: 1016
Iscritto il: domenica 1 febbraio 2015, 9:38

Re: עקדת יצחק

Messaggio da AKRAGAS »

Giovanni 4:22 Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.

Mi accodo per riconoscere la profondità dell'esegesi giudaica che ci ha riportato il fratello noiman dalla quale c'è solo da imparare.

Riflettevo sul fatto che la lettura di una traduzione delle Scritture non può trasmettere il pieno senso delle singole parole scritte nella Torah ed è per questo che abbiamo bisogno dei fratelli ebrei che conoscono la lingua e le regole di ermeneutica da applicare.
Riflettevo quindi su come la costruzione delle frasi in lingua ebraica non sia per nulla fatta a caso, ma vuole indicare un ben preciso piano divino.

Sul tema della crocifissione, morte, sacrificio espiatorio,ecc. penso che potremmo in futuro discuterne in un' altra cartella. Infatti , quello che trapela dalle parole di noiman, indica che non ci può essere espiazione dei peccati dalla morte di un uomo. Il problema della contrapposizione tra l'ebraismo è il cristianesimo è dovuto infatti più dal Gesù che viene insegnato. I cristiani non hanno una piena conoscenza del giudaismo.
Infatti se il cristianesimo ha interpretato in modo semplicistico la morte di Gesù come sacrificio di espiazione dei peccati , personalmente non essendo religiosamente schierato, non posso presumere che lo stesso Yeshua abbia interpretato la sua morte nello stesso modo semplicistico dei cosiddetti cristiani in quanto lui ragionava con una mentalità giudaica.

Mi fermo qui.

Grazie noiman
Shalom
noiman
Messaggi: 1986
Iscritto il: domenica 20 aprile 2014, 22:41

Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Il capitolo 22 di Bereshit inizia con le parole: “Dopo questi fatti” una introduzione che ci sembra slegata agli avvenimenti forse i più drammatici e inquietanti di tutto il pentateuco.
Il racconto inizia con l’ordine che il Signore impartisce a Avrahàm: “Dopo questi fatti Dio mise alla prova Avrahàm, lo chiamò: Avrahàm! Ed egli rispose: Eccomi qui “. Prendi –gli disse – il tuo amato figlio unico Isacco, va alla terra di Morija e là offrilo in olocausto su uno dei monti che ti dirò”(Bereshit-Vajerà) 22/1 (genesi).
Sono parole terribili e ancora oggi dopo tanti anni che leggo l’episodio della Akedà di Izchàk rimango sempre un po’ sorpreso e triste.
Soprattutto conoscendo la storia perfettamente e nonostante che l’epilogo salvi Izchàk viene voglia di gridare a D-o non farlo, non chiederlo e dire a Avrahàm: “E solo un sogno, svegliati Avrahàm, ti prego”.
Il testo di genesi 22, non ci concede nessuna fonte di speculazione, l’inizio del racconto sembra completamente slegato dagli avvenimenti precedenti, l’espressione : ויהי אחר הדברים האלה” Acharej Ha Devarim Ha Ellè” “ dopo queste parole” , (Bereshit 22/1), tradotto comunemente dopo questi fatti”, introduce il verso: ”Dio mise alla prova Avrahàm” .
L’affermazione che fu proprio D-o a mettere alla prova Avrahàm e un rafforzativo che vuole eliminare ogni avvenimento che possa essere interpretato come casuale e sottolineare che questa prova è proprio il desiderio divino.
Anche la parola “prova” rafforza il concetto che D-o non vuole affatto che Avrahàm sacrifichi suo figlio, ma tutto il racconto è impegnato sul concetto di prova.
Le parole utilizzate nel racconto sono scelte con molta cura, ma nonostante questo abbiamo la sensazione che il testo indugi e sembri proporci una condizione sospesa, una sensazione che ci disorienta e ci impone delle domande a cui dobbiamo dare delle risposte.
Quali sono i fatti a cui si riferisce? in quale parte del racconto li possiamo ritrovare? riguardano gli ultimi avvenimenti o bisogna partire da più lontano, forse dalle prime parole di Bereshit ?
Il libro di Bereshit alla fine del capito 21 ci descrive una serie di accordi che riguardano Avimèlech e Pichòl, viene menzionato un pozzo, un patto stipulato a Be’er Scéva, apparentemente nulla di straordinario.
Poco prima c’è l’episodio di di Hagar e di suo figlio Ismael, il secondogenito Izchàk è citato solo in una riga “Nel giorno che in cui il bambino cresciuto venne divezzato , Abrahàm fece un gran banchetto” (Bereshit 21/8).
Avrahàm aveva 100 anni quando Izchàk nacque , nel testo c’è un vuoto narrativo che dura più di 35 anni, all’epoca della “legatura ” Izchàk aveva 37 anni.
A chiudere questa parentesi sono le stesse parole ricompaiono alla fine del capitolo, quando Izchàk è salvo e noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo : “Acharej Ha Devarim Ha Ellè” “ dopo queste parole” (Bereshit22/20), si chiude l’episodio come nulla fosse successo senza altre parole il testo riprende la descrizione delle progenie di Avrahàm:
“Dopo questi fatti fu annunciato a Avrahàm:” Anche Milkà ha partorito dei figli a tuo fratello Nachor, il primogenito Uts, suo fratello Buz, Kemuel padre di Aram,Kesed, Chazò, Pildadash, Iddlaf e Bethuel che generò Rebecca. Milcà partori questi otto a Nachor fratello di Avrahàm. Anche Reumà sua concubina partorì Tevach, Gacham, Tàchash e Ma’achà”.(Bereshit 22/29).
Questo elenco conferma la discendenza di Avrahàm e ci prepara per altri racconti di donne e uomini che appartengono al futuro.
Anche se sembra scontato, il riportare questi nomi è intenzionale, all’interno c’è un messaggio e un contenuto; viene menzionata Rebecca futura sposa di Izchàk, nata da Bethuèl figlio di Milcà. Il testo anticipa il futuro nuove storie, l’intenzione è quella di menzionare la discendenza; una testimonianza a sostegno che il patto della sua stirpe è ancora valido.
ויהי אחר הדברים האלה “Vajehì achar ha-devarim haelèh “Dopo questi fatti “ ripetute (Bereshit –Vajerà ,passi22/1 e 22/20) (genesi) fanno da parentesi al testo e sembrano ci suggerire che quello che è scritto all’interno vada considerato come una storia speciale e sottolineare che se le cose fossero state diverse tutto il seguito avrebbe dovuto essere riscritto,
La parola הדברים “ha-devarim”possiede in ebraico due significati, può voler dire cose e parole, la presenza dell’articolo sembra voler isolare questa parola e suggerire un significato speciale.
Lo Zohar interpreta :“ dopo queste parole” in riferimento alle parole dello “Yetzer Haarà” la forze del male che vennero davanti al Santo ponendo dei dubbi sulla purezza di Avraham. Noi questo lo apprendiamo attraverso il midrash che per secoli ha suggerito nuove interpretazioni al testo biblico.
Rashi nel suo commento a genesi pone una osservazione:

“Dopo queste parole – alcuni nostri rabbini dicono” Dopo le parole di satana; egli accusava Abramo davanti a Dio, dicendo:”Di tutto quel banchetto che Abramo aveva fatto, non ti ha offerto un solo toro o montone! ”Dio gli rispose:”Abramo ha fatto tutto per l’amore di suo figlio; eppure, se Io gli dicessi: Sacrificalo a me, egli non me lo rifiuterebbe”Altri, invece, dicono: “Dopo le parole di Ismaele; egli si vantava, contro Isacco, di essere stato circonciso a tredici anni senza essersi opposto. Gli disse Isacco: “Tu vuoi incutermi soggezione, ricordandomi che hai perso parte del tuo organo? Se il Santo benedetto Egli sia, mi dicesse:”Sacrifica te stesso a me! Io non mi rifiuterei”.
All’interno di queste due parentesi si svolge tutta la storia della prova di Avrahàm, il viaggio con i servitori e Izchak, la salita al monte e la preparazione dell’olocausto. Il racconto è sobrio, le parole precise.
Nel testo il dialogo è ridotto al minimo, ci sono una serie di comandi, vai.. porta… prepara e la loro esecuzione silenziosa; nonostante conosciamo l’esito del racconto la sensazione di attesa ci condiziona.
Il primo verso in Bereshit 22 /1 inizia con D-o che chiama Avrahàm e lo fa una sola volta, la risposta è istantanea הנני”innenj” “ eccomi qui”.
Il secondo verso contengono le parole לך לך “ lech lechà” che ritroviamo solo due volte nel libro di genesi. La prima volta gli viene chiesto di rinunciare al suo passato, nella seconda chiamata di rinunciare al proprio futuro.
In Bereshit 12/4 egli parte per ricevere una terra e una discendenza, in Bereshit 22 egli si mette in viaggio per seppellire questa promessa.
Viene impartito un ordine da eseguire.
לך לך אל ארץ המריה והעלהו שם , “va alla terra di Morjia e là offrilo in olocausto” (Bereshit -Vajerà 22/2) (genesi), la parola והעלהו “vehàlehu” significa “olocausto” ma potrebbe essere tradotto come “fallo salire”, la stessa parola עלה “olocausto” è ripetuta quattro volte. Quindi il testo potrebbe essere anche letto: “fallo salire “ che io lo possa vedere
Abbiamo già scritto che contrariamente a quanto è riportato nella iconografia classica, Izchak non era un fanciullo , l’episodio avviene quando egli ha 37 anni, Questo lo apprendiamo alla fine di Bereshit 21 dove è scritto che Avrahàm per molto tempo dimorò nel paese dei filistei, in questo periodo il bambino era diventato uomo. La Torah insiste più volte sul fatto che essi andavano insieme “ yachàv” , insieme a compiere un precetto.
Perché Avrahàm è stato messo alla prova ? Doveva forse espiare qualche cosa ?
Il midrash indaga su questo ordine e fa una considerazione partendo dal testo:
ויאמר קח נא את בנך את יחידך אשר אהבת את יצחק “ Vaiòmer Kàhh nah ! eth binkhà eth yekidkhà asher ahavtà eth Yizkak” , “ gli disse prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, che tu ami, Isacco” e portamelo in olocausto”.
נה “nah” è una particella che assume il significato di una supplica, forse D-o disse ad Avrahàm “Ti supplico, supera, per me, anche questa prova, affinché non si dica che le precedenti prove non erano vere”(Rashi).
Ci si chiede: perché figlio unico,! Non era nato forse Ismaele, il figlio primogenito di Avrahàm ? La Torah commette uno sbaglio dimenticando Ismaele?
Nell’ebraico non c’è punteggiatura e il testo si potrebbe leggere anche :”prendi tuo figlio il solo che tu ami Isacco e portamelo in olocausto” tutto il significato di questa lettura gira intorno alla parola חידךי “yekidkhà “il solo”.

Il Talmud riporta un buon commento su questo verso riguardo Bereshit 22/2
“”Gli disse: prendi tuo figlio:Gli rispose: Ho due figli, quale figlio? Ed il Signore: “il tuo unico”. Replicò Avrahàm: Questo è unico per sua madre e l’altro è unico per sua madre. Continuò: “ Che t u ami” E Avrahàm: Esistono forse i confini delle viscere?. Soggiunse: Isacco” E perché non diglielo subito? Per renderlo caro ai tuoi occhi e per dargli una ricompensa ad ogni parola” (Bereshit Rabbà- LV/7)
Il midrash interpreta in queste parole come una specie di scossa che D-o intende dare a Avrahàm che sicuramente preferisce Izkhak, ma il piano divino che è misericordia e giustizia prevede la necessità di ristabilire la giustizia verso Ismaele che già il Santo aveva salvato da morte certa nel deserto.
Elie Wiesel offre una magnifica spiegazione : “ La Akedà di Isacco [….] quello che minacciava Isacco sarebbe una prefigurazione della crocifissione. Salvo che, sul monte Moriah, l’atto non fu consumato; il padre non abbandonò il figlio, e non soprattutto alla morte. Questa è la differenza tra il monte Moria e il Golgota, per la tradizione ebraica la morte non è uno strumento in cui l’uomo si servirebbe per glorificare D-o. Ogni uomo è fine a se stesso, una eternità vivente: nessuno ha il diritto di sacrificarlo, neppure D-o. Se avesse ucciso suo figlio, Avrahàm non sarebbe nostro padre e il nostro intercessore. Per l’ebreo, ogni verità scaturisce dalla vita, non dalla morte. La crocifissione, per noi rappresenta un passo, non in avanti, ma indietro; sulla vetta del Moriah, il vivo resta vivo, segnando cosi la fine di un era di omicidio rituale.”
Ultima modifica di noiman il martedì 18 aprile 2017, 0:16, modificato 2 volte in totale.
maria
Messaggi: 327
Iscritto il: giovedì 12 marzo 2015, 16:50

Re: עקדת יצחק

Messaggio da maria »

Grazie.
la legatura di Isacco ...un midrash del v.2 fa parlare Dio così: “ ti prego supera per me anche questa prova, perché non si dica che le precedenti prove non erano vere”. Abramo ha anticipato tutte le prove dei suoi discendenti e questo è garanzia per il futuro di tutto il popolo. Dice un midrash dei vv. 10-12 “Gli occhi di Abramo erano negli occhi di Isacco, e gli occhi di Isacco erano volti agli angeli dell’eccelso: Abramo non li vedeva. Allora uscì una voce dai cieli e disse : venite e vedete due unici nel mondo! Uno sacrifica ed uno è sacrificato: chi sacrifica non esita, e chi è sacrificato porge il collo.”

Continuo... anche se tu hai dato un esauriente trattazione, solo perché io amo troppo questo racconto..
E le parole...:" Dio si provvederà da sé l’agnello per l’olocausto, figlio mio. (Gen 22,8)". Quando in passato leggevo queste parole, volevo discernere il senso...la prova può sembrare irragionevole, ma per quanto irragionevole appaia, Avraham sa che cosa vuole dire che è D-o a dirigere la cosa, che è lui a tenere in serbo la soluzione...
Ho fatto un po' di ricerche che mi stanno veramente appassionando, lo spunto é stata la passione per la figura di Avraham... in passato, quando ero nel periodo di confusione religiosa, questa figura nella Scrittura mi lasciava sempre un po' interdetta... Costernata davanti alla sua fede ed io a domandarmi cosa ci potessi fare con quella piccola fede traballante che mi ritrovavo... vabbè non vi annoio...
Il famoso rabbino Rashi di Troyes (1040-1105) cerca di coniugare l’esigenza razionale (Dio può mettere alla prova, ma non può mai chiedere di sacrificare una vita perché è il Dio vivente) con la logica del racconto che sembra contraddirla.

Rashi semplifica il racconto e dice che tutto nasce da un equivoco tra Dio ed Abramo. Quest’ultimo non capisce il comandamento di Dio che gli sta dicendo al v. 2 Fallo salire là in olocausto e non immolalo. “Infatti il Santo, sia benedetto, non voleva che Abramo immolasse Isacco, ma soltanto che lo facesse salire sul monte, per prepararlo come un olocausto. E dopo che egli lo ebbe fatto salire, Dio gli disse di farlo scendere.” La volontà di Dio così non si contraddice rispetto alla promessa della discendenza. Bellissimo vero?
Si dice che Isacco disse ad Abramo: “Padre, legami bene, che non ti dia colpi e non ti sia invalidata la tua offerta, ed io non sia gettato nella fossa della perdizione nel mondo futuro.”
Un antico Midrash sfruttando la duttilità dell’ebraico traduce il "poiché ora so" del v. 12 in “ora io rendo noto a tutti che tu mi ami”. Infatti Dio conosce da sempre l’amore di Abramo per lui e per questo lo mette alla prova, ma ora vuole ‘farlo sapere’, rendere noto anche agli altri, al mondo, alle nazioni perché si sappia fino a che punto si può affidarsi a Dio.

Noiman grazie... se ho ripetuto concetti é solo perché mi serve per tenere vivo tutto questo. Tu mi hai dato molti indicazioni...
noiman
Messaggi: 1986
Iscritto il: domenica 20 aprile 2014, 22:41

Re: עקדת יצחק

Messaggio da noiman »

Alla richiesta di sacrificare Izchàk , Avrahàm non manifesta disperazione , il testo biblico non ci rivela nulla, forse egli aveva la certezza che D-o lo avrebbe fermato prima dell’estremo finale ?
“Al mattino presto, Avrahàm sellò il suo asino, prese con se due schiavi e suo figlio Izchak “ Il talmud commenta:” ma costui non aveva tanti schiavi? Perche sellarsi da solo la soma? “
il talmud sottolinea : Il dolore è come l’amore sconvolge l’ordine naturale delle cose, come e scritto che “Josef attaccò il suo cocchio e salì incontro ad Israele suo padre” e anche: Il faraone attaccò il suo cocchio” Non aveva costui tanti schiavi?”
Ci si può anche chiedere perchè il testo non parla di un asino qualunque, Avrahàm era un ricco pastore, è certo che egli ne possedesse centinaia, ma il testo aggiunge dei particolari: וישכם אבהם בבקר ויחבש את חמרו “ il suo asino” cosa aveva di speciale questo asino; l’articolo poteva essere omesso, ma questo è come un segnale che suggerisce che il testo contiene un messaggio particolare.
E’ lo stesso asino con cui Moshè parte con Sephora per l’Egitto, lo stesso asino su cui giungerà il figlio di David, poiché è scritto: ”Ecco a te viene il tuo re: egli è giusto e vittorioso, è umile e cavalca un asino, un puledro, figlio di un asina”(Zach 9/9).

Non può sfuggire che la sequenza del versetti che riguardano i preparativi seguono un ordine innaturale, al mattino presto Avrahàm mette il basto all’asino, prende con se due schiavi e suo figlio, poi spacca la legna da solo, non chiede aiuto a nessun servitore.
Non sarebbe stato più logico per prima spaccare la legna, prendere con se gli schiavi e infine imbastire l’asino? da questo possiamo trarre qualche insegnamento?
Anche suo figlio Izchàk è nominato per ultimo , dopo i servi.
L’espressione ויקה את שני נעריו אתו “prese due servi con se” sembra concludere la frase, le parole אתו “ittò” tradotto come “con se” suggerisce questa sensazione.
Dopo viene nominato Izchàk il testo sembra riluttante a nominare la sua presenza, per rendere preciso il significato è stato aggiunto “Isacco, suo figlio”, questo dettaglio ci assicura che era proprio lui senza ombra di dubbio , anche l’affermazione “spaccò la legna” è un rafforzativo.
Questo ci consente di interpretare che quello che avveniva era una dimensione individuale; le azioni sono irrepetibilmente solo nostre”.
Anche Izchàk non parla, solo una volta egli domanda al padre dove era l’agnello da sacrificare, “ Izchàk parlò ad Avrahàm suo padre e disse. “padre mio!” Avrahàm rispose: “Eccomi qui, figlio mio”. E Izchàk: Ecco il fuoco e la legna: ma dove è l’agnello per l’olocausto? “Avrahàm rispose: “ Figlio mio, Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto “. E proseguirono tutti e due insieme. “ (Bereshit – Lech Lechà 22-7/8) (genesi); questa risposta ha due possibili interpretazioni, la prima può voler dire: “ figlio mio sarai tu l’agnello “, oppure Avrahàm nutre la speranza che D-o provveda a fornirgli l’olocausto.
שניהם יחדו “loro due insieme” è scritto per due volte, questo può significare che essi erano in sintonia , oppure il segno che uno inganna l’altro?
Forse per noi è più convincente e comodo pensare che questo “insieme” era l’accettazione della volontà divina che accomunava padre e figlio.
Noi conosciamo tutti come è finita la storia e la conclusione felice dove Izchàk non viene sacrificato, ma se per un attimo dimentichiamo l’epilogo e rileggiamo il racconto con occhi nuovi possiamo anche pensare che Avrahàm è un bugiardo che nasconde le sue intenzioni.
Keter Yonatana commentando la parashat di Vaierà 22-8 scrive : “E disse Avrahàm:L’Eterno lo ha scelto come sacrificio” e camminarono loro due insieme con cuore integro come fosse uno”
Rashi a sua volta commenta “Anche se Izchàk capì che sarebbe stato sacrificato, camminarono insieme con cuore allo stesso livello, uguale”.
La fede è certezza, Avrahàm è soprattutto un educatore, l’educazione è un contenitore che viene travasato attraverso le generazioni, la fede del padre ha contagiato il figlio, la differenza rimane nei ruoli, ma entrambi anche su livelli diversi sanno che D-o non può desiderare un sacrificio umano.
Il racconto procede spedito, non ci sono altre osservazioni da parte di Avrahàm ne di Izchàk, dobbiamo ricordare che il viaggio verso il monte Moriàh dura tre giorni e con Avrahàm e Izchàk ci sono due servi e un asino.
Immaginiamo che essi si siano accampati per la notte, secondo l’uso padre e figlio insieme sotto una tenda, i servi in una altra parte.
Il silenzio delle notti doveva essere tremendo, il tempo doveva sembrare eterno, nessuno parlava , i servi non hanno detto la ben che minima cosa, lo spazio temporale del viaggio è completamente ignorato dal testo.
Era un’epoca i cui i sacrifici umani non erano rari tra le popolazioni cananee, Avrahàm conosceva questi riti arcaici , questo giustifica il silenzio di Avrahàm che aveva vissuto in luoghi dove il sacrificio umano era consuetudine.
Nel libro di Ezechiele è scritto che gli uomini in quel periodo sacrificavano esseri umani “ Io stesso avrei dato statuti non buoni e leggi con cui non è possibile vivere, in quanto permisi che contaminassero con i loro doni agli idoli sacrificando loro i loro primogeniti”( Ezechiele 20/25-26)
Nel terzo giorno : “Avrahàm alzò gli occhi e vide da lontano quel luogo” ma egli non sa dove , rimane singolare il versetto 9 dove il testo aggiunge :” Giunto al luogo che Dio gli aveva detto, Avrahàm vi costruì un altare” non leggiamo altre indicazioni perché egli potesse distinguere nella terra di Moriàh il luogo esatto; il midrash interpreta che gli fu detto in visione, la tradizione vuole che questo sia il luogo dove Khain uccise Hevel, lo stesso luogo dove David e poi Salomone celebrarono sacrifici e fu costruito il Tempio di Gerusalemme.
Abbiamo appreso questa notizia leggendo (II cronache 3/1) dove è scritto: ”Salomone iniziò l’opera di costruzione della casa del Signore in Gerusalemme, sul monte Moria, nel luogo dove era apparso a David suo padre …”
Con questa dichiarazione viene ufficializzato il luogo del culto, il “Mikdàsh” una parola che è l’insieme di due altre parole Makom Kodesh” luogo Santo, il tempio , unico luogo lecito per il culto sacrificale.
Nel libro di Vaikrà (Levitico I) la Torah si dilunga su come e in che modo deve essere offerto il sacrificio a D-o, le regole che amministrano il sacrificio non sono sempre comprensibili su come e cosa si deve offrire a D-o , chi deve farlo o chi non deve sono argomento di discussione da millenni.
Tutti ricordiamo i figli di Aronne che furono consumati dal fuoco nella tenda per aver offerto un fuoco estraneo.
Rav.Pacifici in una delle sue derashòt osserva “ Possibile mai che la stessa Torah che ci proibisce di metterci a tavola se non abbiamo prima dato da mangiare ai nostri animali ci comanda di sacrificare alla Divinità quello stesso animale per il quale si era dimostrata tanto sensibile? E poi, che se ne fa D-o del sangue dei bovini?
E aggiunge :Questi stessi animali che noi sacrificavamo, gli egiziani li adoravano”.
Una interpretazione è che tramite questa azione e tramite Avrahàm si volesse suggellare il divieto dei sacrifici umani , sostituendo la vittima con un animale, ma per fare questo non bastava un comandamento?

Questo è la preparazione al mondo futuro che considera il sacrificio umano “abominevole” una separazione tra le popolazioni di Cana’an e la discendenza di Avrahàm dove la parola la parola “korban” impropriamente tradotta come “sacrificio” debba ritornare al suo significato originale quello di “ lekarev” “ avvicinare”.
Dal testo apprendiamo che al terzo giorno Avrahàm e Itzchak lasciano i servi e l’asino: “Rimanete qui con l’asino mentre io e il ragazzo andremo fin là, faremo adorazione a Dio e poi torneremo da voi” . Avrahàm afferma che sarebbero tornati entrambi dopo avere fatto opera di adorazione , “torneremo entrambi e incolumi. “

Rav Jishaq scrisse:
”Essi ritornarono incolumi per il merito dell’adorazione”. Il testo non fa nessun riferimento alla vera intenzione di Avrahàm
Attraverso queste parole possiamo supporre che Avrahàm era certo che sarebbero tornati entrambi, oppure mentiva ai suoi servitori a Izchàk e a se stesso?
La prova poteva quindi essere risolta con un miracolo, oppure vissuta tramite un sogno. Qualche volta leggendo il libro di Bereshit ci sembra che tutto sia un sogno , una visione sospesa.
E’ la fede ferrea o forse altre relazioni che inducono Avrahàm a vagare per tre giorni alla ricerca del luogo giusto per il sacrificio? Perché impiegare tre giorni per un percorso che poteva durare al massimo un giorno ?
Elie Weisel commenta che il viaggio durò tre giorni affinché nessuno potesse affermare che padre e figlio avevano agito sotto l’azione dello shock.
I tre giorni legati ai culti sacrificali li ritroviamo diverse volte nella torah, in Shmot 3/18 e 5/3 e 8/23(Esodo).
Rashi commentava:
Al terzo giorno- Per quale motivo Dio non mostrò subito il luogo ad Abramo, ma solo in seguito? Perché non si dicesse: “Dio lo ha gettato improvvisamente nello sgomento e nello smarrimento, turbandogli la mente. Se avesse avuto il tempo per riflettere , Abramo non avrebbe obbedito”
Il terzo giorno salgono sul monte Moriàh, Izchàk porta la legna, il padre lo precede con il coltello e il fuoco, le cose più pericolose
I fatti descritti sono senza dialogo, non leggiamo nulla che riguarda pensieri e non leggiamo nessun dialogo, il silenzio può essere interpretato nella certezza interiore che entrambi avevano, per non spezzare questo incanto nessuno ebbe nulla da ridire, entrambi sapevano che Izchàk sarebbe sopravvissuto ?
Ma i pensieri non si possono udire, Izchàk tace perché ha la stessa fede in suo padre e in D-o, oppure lo confortava la speranza che si sarebbe salvato dal rifiuto di suo padre di compiere il sacrificio.
Nella analisi dei fatti secondo la versione classica ci si potrebbe chiedere perché Izchàk immaginando il suo destino non si sia ribellato, fuggendo o implorando il padre o D-o, bisogna osservare che in quell’epoca il sacrificio richiedeva il consenso della vittima sacrificale e veniva reso vano quando si spezzava il legame tra sacrificato e sacrificatore, senza questa condizione avremmo assistito a una uccisione qualunque; Avrahàm e i suoi contemporanei vivevano in questo mondo e conoscevano le regole arcaiche connesse al sacrificio
Questo è in apparente contraddizione che Avrahàm leghi il figlio , ricordiamo che Izchàk aveva 37 anni ,culmine del vigore fisico, il midrash fantastica e afferma che fosse stato proprio Izchàk a chiederlo al padre, forse egli non era sicuro di poter accettare la propria morte.
Il concetto è complesso i ruoli non sono quelli di un carnefice e di una vittima, ma quello di un padre e un figlio e D-o che cerca di imporre la sua volontà .
Potremmo anche capovolgere la cosa e pensare che sia Avrahàm a mettere alla prova il Signore, nasce un pensiero tremendo; forse egli era disposto a uccidere suo figlio per scoprire se il D-o che adorava era degno?
Ramban a sua volta aggiunge una terza osservazione su questo fatto: “ “Sappi che Iddio mette alla prova il giusto quando sa che il giusto farà la sua volontà e si compiace nel giustificarlo.”
i]Dopo queste cose che Dio mise alla prova Avrahàm[/i]” nel testo ebraico queste parole non hanno nessuna separazione :“Queste cose” e la Akedàh di Izchàk sono assolutamente consequenziali; in “queste cose” o meglio “queste parole” è nascosto un significato profondo.
Ci vengono in mente le parole di Bereshit Rabbà dove è scritto:
Disse R Josè Haninà: Il coltivatore del lino, quando il lino e cattivo non lo batte, perché sa che si spezza; ma se il suo lino è di qualità pregiata, più lo batte più migliora: Così il Santo, Egli sia Benedetto, non mette alla prova i malvagi, perché essi non possono resistere, perché è scritto: “ Ed i malvagi sono come un mare in tempesta”(Isaia 57/20) “ E chi mette alla prova? I giusti, come è detto: “Il Signore sperimenta sul giusto”
Sempre il Bereshit Rabbà scrive:
Dopo questi avvenimenti” Dopo queste considerazioni sugli avvenimenti. Chi fece queste considerazioni? Avrahàm disse in cuor suo: “Mi sono rallegrato ed ho rallegrato tutti, ma non ho offerto al Santo sia esso Benedetto; Ciò, affinché Io ti possa ordinare di offrirmi tuo figlio e tu non faccia obiezioni. Secondo l’opinione di Rabbì Elazar che dice: “In ogni luogo dove è detto: “E Il Signore”, si riferisce a Lui ed al suo Tribunale. Gli angeli del servizio divino dissero: “Avrahàm se ne è rallegrato ed ha rallegrato tutti, ma non ha offerto al Santo, Egli sia Benedetto, ne un toro ne un montone.”Disse loro il Santo., Egli sia benedetto: Questo perché si possa dire che offra suo figlio e non faccia obiezione: Isacco e Ismaele litigavano fra di loro: questo diceva: io sono più caro al Signore di te perché sono stato circonciso a 13 anni, e l’altro: Io sono più caro di te perché sono stato circonciso a otto giorni. Gli disse Ismaele: Io sono più caro di te perché avrei potuto oppormi e non mi sono opposto.
Allora gli disse Isacco: Magari si rivelasse a me il Santo, Egli sia benedetto, e mi ordinasse di recidere una delle mie membra ed io non lo impedirei” E D-o provò Avrahàm.
Ultima modifica di noiman il martedì 18 aprile 2017, 1:02, modificato 3 volte in totale.
Rispondi