עקדת יצחק
Inviato: sabato 18 aprile 2015, 23:26
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עקידת יצחק
Vi ripropongo quello che era stato già inserito sul forum e ho aggiunto qualche modifica e correzione. Nissan 5777
“Akedàt Izchak” “la legatura di Isacco”.
La Bibbia ebraica mostra un rapporto tra l’uomo e il divino particolarmente sofferto al punto che il D-o di Israele appare spesso come un antagonista in perenne conflitto con gli uomini, a volte manifesta un carattere capriccioso , spesso mal disposto nei confronti dell’umanità e in modo particolare con il suo popolo, il contrario di un D-o padre amorevole e misericordioso a cui siamo abituati nel cristianesimo
Tutto questo ci pone in difficoltà e richiede un approfondimento sul perché e come il giudizio divino ci appare assolutamente singolare e innaturale.
Quale padre sacrificherebbe suo figlio a una divinità. Qualcuno certamente avrebbe da osservare che tutto questo non è mai avvenuto e il racconto oltre che essere solo di insegnamento è un esempio che il divino a scelto di mostrare al mondo che il sacrificio dei propri figli agli dei non è cosa voluta da D-o.
E possibile che ci troviamo di fronte a un racconto volutamente forzato in diverse forme antropomorfiche con lo scopo di lasciare nel testo una precisa traccia che impone il giudizio morale e un argomento di studio per i posteri, esattamente come leggiamo sul Vangelo riguardo alla parabola del buon pastore spiegata molto bene da Luca
Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. » Luca 15-3/7.
Certamente questo non è scritto nel manuale di istruzioni del pastore, nessuno abbandonerebbe nel deserto novantanove pecore per cercarne una smarrita. Al di la della forte strumentalizzazione della parabola, il messaggio che contiene questa parabola è simile alla Akedat di Izchàk, Esteher Neumann ne fa una considerazione:
“ Egli è il pastore che ha lasciato le novantanove pecore che non si erano sviate ed è andato alla ricerca di quella che si era smarrita. E quando l’ha ritrovata ne ha gioito; perché il novantanove è un numero contenuto nella mano sinistra, che lo conteggia ma appena è stato trovato l’uno, cioè l’intera destra. Perché questa attira ciò che è mancante: lo prende dalla sinistra e lo passa alla destra, e in questo modo il numero diventa cento”
Forse le azioni divine D-o ci appaiono logiche solo quando secondo nostro giudizio esse sono affini e secondo il nostro senso dell’etica e comprensibili secondo il nostro concetto di giustizia legato alle nostre esperienze acquisite e assimilate dalla nostra cultura, secondo una morale acquisita in modo collettivo conseguenza di secoli di vita vissuta tramite le esperienze storiche e religiose .
Tutto questo ci condiziona e rende giustificato il comportamento divino, soprattutto ogni volta le azioni divine sono simili a quello che avremmo fatto noi e affini al nostro confrontarci con il senso della giustizia come l’abbiamo studiata e secondo come la comprendiamo e auspichiamo.
Tutto questo vale molte volte ma ogni volta che le cose non vanno come è giusto per noi nascono i problemi e tutto va in collisione con l’etica e il senso di giustizia a cui noi siamo abituati,.
A rendere ancora più angosciante questo rapporto con il divino è la quasi assoluta mancanza di spiegazione del perché D-o si compiace di fare certe richieste ai suoi uomini, richieste che oltre a essere crudeli appaiono anche illogiche.
Qualche studioso ha attribuito a queste richieste insensate una specie di teoria che attribuisce allele prove una forma di “pedagogia divina” per insegnare all’uomo tramite l’esperienza diretta sulla sua pelle una visione diversa del divino, di se stesso e infine del mondo.
Qualcuno direbbe oggi che D-o era crudele esattamente come lo erano i primi uomini che provavano piacere nei sacrifici umani, nei riti orgiastici e in ogni nefandezze.
In un tempo dove le guerre erano segnate da incredibili atti di crudeltà, dove il meglio che ti poteva succedere se sconfitto era una dura schiavitù, la presenza di D-o non poteva che rivolgersi al suo popolo se non attraverso la stessa lingua, un D-o oscuro e nascosto.
Il concetto di prova che Egli esige è completamento contrario al nostro modo di concepire la giustizia. Prima di affrontare la “legatura di Izchàk” che e l’esempio biblico più conosciuto e discusso del concetto di prova, forse occorre approfondire che cosa è il concetto di prova nell’ebraismo.
La domanda classica che ci poniamo da secoli è rimasta senza risposta: “ D-o che necessità a di metterci alla prova per sapere ”Se D-o è onnisciente che necessità di sapere cosa farà un essere umano messo alla prova?
Iniziamo a considerare il termine ebraico נסיו nisayon che significa “prova” la radice נס ha il significato di mettere alla prova”, una azione dinamica con lo scopo di verificare una possibilità, ovviamente anche nell’ebraico moderno לנסות è “provare”.
La stessa radice נסס vuole dire anche “nes” ,miracolo ma anche la parola segno, la bandiera è anche “ nes” , il miracolo è forse anche un segno? il miracolo ha spesso il legame con una prova? “dicono i maestri, che il beneficiario dei miracoli non si rende conto del suo miracolo”
Se “nes “è anche la bandiera, sappiamo che la bandiera tutti la vedono tranne il portabandiera, allora è importante che questo miracolo qualcuno lo annunci.
L’esperienza di Avrahàm può essere anche capovolta, la prova non fu richiesta in primis al padre che doveva sacrificare il figlio, ma fu chiesta a Izchàk che aveva trentasette anni e avrebbe potuto facilmente opporsi a un vecchio di novant’anni.
La prova nella prova, in secondo piano Avrahàm per sapere se egli avrebbe inteso l’incoerenza di D-o che prima gli disse:” Perché la tua progenie prenderà il nome di Izchàk” e poi mi dici:” prendi tuo figlio e portalo come sacrificio” Questo avrebbe potuto generare un cortocircuito nella mente del profeta. Questo non avvenne perché egli conosceva le parole del Signore che dicevano “ Io (d-o) non ho cambiato”
Il midrash commenta
ואף כי גילה אברהם ליצחק כי לשחטו היה מוליכו,קבל דבריו של הקדוש ברוך הוא בשמחה, לכך נאמד וילכו שניהם יחדו.
“Anche se Abramo rivelò a Isacco che sarebbe stato sacrificato, accettò le parole di Kadòsh BarichHu con gioia, per questo è detto e “camminarono insieme”
Midràsh Aggadàh -Bereshit 22.8
Maimonide prova a spiegare il concetto biblico di prova, scartando subito la visione classica che D-o manda le disgrazie a l’individuo senza che egli ne abbia alcuna colpa , lo scopo è quello di accrescere la sua ricompensa nel mondo e nel mondo a venire, scartando di fatto l’ingiustizia di D-o.
Rambam considera le prove come un modo di fare sapere agli uomini quali esempi emulare e seguire. Afferma che il detto biblico:” per sapere se voi amate” non è perché D-o non sappia, ma è perché gli altri sappiano. L’azione individuale, la prova individuale di Avrahàm o di Giobbe sono destinate al collettivo e ogni prova subita è un insegnamento.
Molto significative sono le parole che scrive nella sua opera la Guida ai Perplessi riguardo al sacrificio di Abramo:” a proposito del sacrificio di Isacco essa racchiude due concetti che sono tra i fondamenti della legge. Il primo concetto ci fa conoscere i limiti dell’amore per Dio e fino a che punto arrivi il timore nei Suoi confronti. Ad Abramo, in questa vicenda, viene ordinato ciò che non è paragonabile né al sacrificio dei beni né a quello si se stessi […] “L’angelo gli disse” perché ora io so che tu temi Dio, nel senso che, grazie a questa azione alla quale si riferisce il timore di Dio, tutti gli uomini sapranno fino a che punto arriva il “timore di Dio”( capitolo XXV).
Prima di introdurre e commentare il libro di Bereshit nel capitolo 22 dove è narrata la legatura di Izchàk è bene fare qualche considerazione. Sappiamo che Avrahàm ha avuto prima di concepire Izchàk un primo figlio con una schiava di nome Agar, Ismael era dunque il primogenito. La situazione è alquanto complessa entrambi i figli di Avrahàm ricevono un benedizione , Ismael per bocca di un malàch del Signore viene assicurata una discendenza così numerosa da non poterla calcolare, simile alla promessa che D-o in persona fece ai discendenti di Izchàk ( ricordate le stelle del cielo?) in più viene fatta la promessa di un luogo fisico sulla terra la terra di Israel.
La differenza è che nella seconda benedizione viene anche stipulato un patto vincolante.
Ma secondo la Torah è anche vincolante il diritto di primogenitura che era in vigore quando c’erano più figli, Izchàk era secondogenito di Avrahàm.
כי-תהיין לאיש שתי נשים האחת אהובה והאחת שנואה וילדו-לו בנים האהובה והשנואה והיה הבן הבכר לשניאה : והיה ביום הנחילו את-בניו את אשר-יהיה לו לא יוכל לבכר את-בן- האהובה על-פני בן-השנואה הבכר: כי את-הבכר בן-השנואה יכיר לחת לו פי שנים בכל אשר-ימצא לו כי-הוא ראשית אנו לו משפט הבכרה
“E quando saranno a un uomo due mogli, una amata e una odiata, e partorirono a lui dei figli la amata e l’odiata ,se sarà primogenito il figlio della odiata, e sarà a lui in un giorno l’eredita e non potrà dare la primogenitura al figlio dell’amata preferendogli il figlio dell’odiosa che è il primogenito e riconoscerà come primogenito il figlio dell’odiosa dando a lui tutto in doppia misura che si trova a lui in vigore del primogenitura del patto ” (Devarim 21/15-17).
Il dovere di dare “doppia misura di ogni bene “ rispetto ai propri fratelli è sempre stata fonte di interpretazioni. Perché il primogenito doveva ricevere il doppio dell’eredità divisa tra i fratelli? Forse questa era una indennità materiale giustificata dal compito di essere il primo e quindi guida agli altri?.
Una buona risposta la possiamo ritrovare in una derashà a commento della parashàt di Ki Tetzè scritta da rav Someck dove viene fatta fa una interessante riflessione tratta dal midrash :
“Quando i figli di Ismael si presentarono da Alessandro magno rivendicando per se stessi il diritto di primogenitura nei confronti di noi ebrei dissero:”la terra di Israel è nostra non meno di quanto appartiene a voi, dal momento che siamo tutti figli di Avrahàm. Non è forse scritto nella Tora che il padre potrà attribuire il diritti di primogenitura al figlio della moglie (Izkhak) a fronte del figlio di quella che detesta (Isma’el) che è il vero primogenito”? Gli ebrei risposero: “Anche noi abbiamo un versetto che prova il nostro assunto: “E Avrahàm donò tutto ciò che aveva a Izkhak
(Bereshit 25/5). “ Gli Ismaeliti domandarono: “E dov’è il documento che comprova che si è trattato di una donazione in vita e non di una successione?Gli ebrei risposero: “E’scritto subito dopo:” E anche ai figli delle concubine Avrahàm fece dei doni” (Bereshit 25/6). “Gli ismaeliti batterono in ritirata” (Bereshit Rabbà 6 1/7)
Ovviamente Hagar non è moglie di Avrahàm ma solo una concubina e qualcuno potrebbe anche obiettare che la Torah non era stata ancora consegnata all’uomo, ma per l’ebraismo essa era in cielo e per tradizione fosse conosciuta dai profeti e patriarchi.
La sensazione è quella che tutto quello che avverrà abbia una relazione con la primogenitura tra i due figli di Avrahàm.
Prima parte
עקידת יצחק
Vi ripropongo quello che era stato già inserito sul forum e ho aggiunto qualche modifica e correzione. Nissan 5777
“Akedàt Izchak” “la legatura di Isacco”.
La Bibbia ebraica mostra un rapporto tra l’uomo e il divino particolarmente sofferto al punto che il D-o di Israele appare spesso come un antagonista in perenne conflitto con gli uomini, a volte manifesta un carattere capriccioso , spesso mal disposto nei confronti dell’umanità e in modo particolare con il suo popolo, il contrario di un D-o padre amorevole e misericordioso a cui siamo abituati nel cristianesimo
Tutto questo ci pone in difficoltà e richiede un approfondimento sul perché e come il giudizio divino ci appare assolutamente singolare e innaturale.
Quale padre sacrificherebbe suo figlio a una divinità. Qualcuno certamente avrebbe da osservare che tutto questo non è mai avvenuto e il racconto oltre che essere solo di insegnamento è un esempio che il divino a scelto di mostrare al mondo che il sacrificio dei propri figli agli dei non è cosa voluta da D-o.
E possibile che ci troviamo di fronte a un racconto volutamente forzato in diverse forme antropomorfiche con lo scopo di lasciare nel testo una precisa traccia che impone il giudizio morale e un argomento di studio per i posteri, esattamente come leggiamo sul Vangelo riguardo alla parabola del buon pastore spiegata molto bene da Luca
Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. » Luca 15-3/7.
Certamente questo non è scritto nel manuale di istruzioni del pastore, nessuno abbandonerebbe nel deserto novantanove pecore per cercarne una smarrita. Al di la della forte strumentalizzazione della parabola, il messaggio che contiene questa parabola è simile alla Akedat di Izchàk, Esteher Neumann ne fa una considerazione:
“ Egli è il pastore che ha lasciato le novantanove pecore che non si erano sviate ed è andato alla ricerca di quella che si era smarrita. E quando l’ha ritrovata ne ha gioito; perché il novantanove è un numero contenuto nella mano sinistra, che lo conteggia ma appena è stato trovato l’uno, cioè l’intera destra. Perché questa attira ciò che è mancante: lo prende dalla sinistra e lo passa alla destra, e in questo modo il numero diventa cento”
Forse le azioni divine D-o ci appaiono logiche solo quando secondo nostro giudizio esse sono affini e secondo il nostro senso dell’etica e comprensibili secondo il nostro concetto di giustizia legato alle nostre esperienze acquisite e assimilate dalla nostra cultura, secondo una morale acquisita in modo collettivo conseguenza di secoli di vita vissuta tramite le esperienze storiche e religiose .
Tutto questo ci condiziona e rende giustificato il comportamento divino, soprattutto ogni volta le azioni divine sono simili a quello che avremmo fatto noi e affini al nostro confrontarci con il senso della giustizia come l’abbiamo studiata e secondo come la comprendiamo e auspichiamo.
Tutto questo vale molte volte ma ogni volta che le cose non vanno come è giusto per noi nascono i problemi e tutto va in collisione con l’etica e il senso di giustizia a cui noi siamo abituati,.
A rendere ancora più angosciante questo rapporto con il divino è la quasi assoluta mancanza di spiegazione del perché D-o si compiace di fare certe richieste ai suoi uomini, richieste che oltre a essere crudeli appaiono anche illogiche.
Qualche studioso ha attribuito a queste richieste insensate una specie di teoria che attribuisce allele prove una forma di “pedagogia divina” per insegnare all’uomo tramite l’esperienza diretta sulla sua pelle una visione diversa del divino, di se stesso e infine del mondo.
Qualcuno direbbe oggi che D-o era crudele esattamente come lo erano i primi uomini che provavano piacere nei sacrifici umani, nei riti orgiastici e in ogni nefandezze.
In un tempo dove le guerre erano segnate da incredibili atti di crudeltà, dove il meglio che ti poteva succedere se sconfitto era una dura schiavitù, la presenza di D-o non poteva che rivolgersi al suo popolo se non attraverso la stessa lingua, un D-o oscuro e nascosto.
Il concetto di prova che Egli esige è completamento contrario al nostro modo di concepire la giustizia. Prima di affrontare la “legatura di Izchàk” che e l’esempio biblico più conosciuto e discusso del concetto di prova, forse occorre approfondire che cosa è il concetto di prova nell’ebraismo.
La domanda classica che ci poniamo da secoli è rimasta senza risposta: “ D-o che necessità a di metterci alla prova per sapere ”Se D-o è onnisciente che necessità di sapere cosa farà un essere umano messo alla prova?
Iniziamo a considerare il termine ebraico נסיו nisayon che significa “prova” la radice נס ha il significato di mettere alla prova”, una azione dinamica con lo scopo di verificare una possibilità, ovviamente anche nell’ebraico moderno לנסות è “provare”.
La stessa radice נסס vuole dire anche “nes” ,miracolo ma anche la parola segno, la bandiera è anche “ nes” , il miracolo è forse anche un segno? il miracolo ha spesso il legame con una prova? “dicono i maestri, che il beneficiario dei miracoli non si rende conto del suo miracolo”
Se “nes “è anche la bandiera, sappiamo che la bandiera tutti la vedono tranne il portabandiera, allora è importante che questo miracolo qualcuno lo annunci.
L’esperienza di Avrahàm può essere anche capovolta, la prova non fu richiesta in primis al padre che doveva sacrificare il figlio, ma fu chiesta a Izchàk che aveva trentasette anni e avrebbe potuto facilmente opporsi a un vecchio di novant’anni.
La prova nella prova, in secondo piano Avrahàm per sapere se egli avrebbe inteso l’incoerenza di D-o che prima gli disse:” Perché la tua progenie prenderà il nome di Izchàk” e poi mi dici:” prendi tuo figlio e portalo come sacrificio” Questo avrebbe potuto generare un cortocircuito nella mente del profeta. Questo non avvenne perché egli conosceva le parole del Signore che dicevano “ Io (d-o) non ho cambiato”
Il midrash commenta
ואף כי גילה אברהם ליצחק כי לשחטו היה מוליכו,קבל דבריו של הקדוש ברוך הוא בשמחה, לכך נאמד וילכו שניהם יחדו.
“Anche se Abramo rivelò a Isacco che sarebbe stato sacrificato, accettò le parole di Kadòsh BarichHu con gioia, per questo è detto e “camminarono insieme”
Midràsh Aggadàh -Bereshit 22.8
Maimonide prova a spiegare il concetto biblico di prova, scartando subito la visione classica che D-o manda le disgrazie a l’individuo senza che egli ne abbia alcuna colpa , lo scopo è quello di accrescere la sua ricompensa nel mondo e nel mondo a venire, scartando di fatto l’ingiustizia di D-o.
Rambam considera le prove come un modo di fare sapere agli uomini quali esempi emulare e seguire. Afferma che il detto biblico:” per sapere se voi amate” non è perché D-o non sappia, ma è perché gli altri sappiano. L’azione individuale, la prova individuale di Avrahàm o di Giobbe sono destinate al collettivo e ogni prova subita è un insegnamento.
Molto significative sono le parole che scrive nella sua opera la Guida ai Perplessi riguardo al sacrificio di Abramo:” a proposito del sacrificio di Isacco essa racchiude due concetti che sono tra i fondamenti della legge. Il primo concetto ci fa conoscere i limiti dell’amore per Dio e fino a che punto arrivi il timore nei Suoi confronti. Ad Abramo, in questa vicenda, viene ordinato ciò che non è paragonabile né al sacrificio dei beni né a quello si se stessi […] “L’angelo gli disse” perché ora io so che tu temi Dio, nel senso che, grazie a questa azione alla quale si riferisce il timore di Dio, tutti gli uomini sapranno fino a che punto arriva il “timore di Dio”( capitolo XXV).
Prima di introdurre e commentare il libro di Bereshit nel capitolo 22 dove è narrata la legatura di Izchàk è bene fare qualche considerazione. Sappiamo che Avrahàm ha avuto prima di concepire Izchàk un primo figlio con una schiava di nome Agar, Ismael era dunque il primogenito. La situazione è alquanto complessa entrambi i figli di Avrahàm ricevono un benedizione , Ismael per bocca di un malàch del Signore viene assicurata una discendenza così numerosa da non poterla calcolare, simile alla promessa che D-o in persona fece ai discendenti di Izchàk ( ricordate le stelle del cielo?) in più viene fatta la promessa di un luogo fisico sulla terra la terra di Israel.
La differenza è che nella seconda benedizione viene anche stipulato un patto vincolante.
Ma secondo la Torah è anche vincolante il diritto di primogenitura che era in vigore quando c’erano più figli, Izchàk era secondogenito di Avrahàm.
כי-תהיין לאיש שתי נשים האחת אהובה והאחת שנואה וילדו-לו בנים האהובה והשנואה והיה הבן הבכר לשניאה : והיה ביום הנחילו את-בניו את אשר-יהיה לו לא יוכל לבכר את-בן- האהובה על-פני בן-השנואה הבכר: כי את-הבכר בן-השנואה יכיר לחת לו פי שנים בכל אשר-ימצא לו כי-הוא ראשית אנו לו משפט הבכרה
“E quando saranno a un uomo due mogli, una amata e una odiata, e partorirono a lui dei figli la amata e l’odiata ,se sarà primogenito il figlio della odiata, e sarà a lui in un giorno l’eredita e non potrà dare la primogenitura al figlio dell’amata preferendogli il figlio dell’odiosa che è il primogenito e riconoscerà come primogenito il figlio dell’odiosa dando a lui tutto in doppia misura che si trova a lui in vigore del primogenitura del patto ” (Devarim 21/15-17).
Il dovere di dare “doppia misura di ogni bene “ rispetto ai propri fratelli è sempre stata fonte di interpretazioni. Perché il primogenito doveva ricevere il doppio dell’eredità divisa tra i fratelli? Forse questa era una indennità materiale giustificata dal compito di essere il primo e quindi guida agli altri?.
Una buona risposta la possiamo ritrovare in una derashà a commento della parashàt di Ki Tetzè scritta da rav Someck dove viene fatta fa una interessante riflessione tratta dal midrash :
“Quando i figli di Ismael si presentarono da Alessandro magno rivendicando per se stessi il diritto di primogenitura nei confronti di noi ebrei dissero:”la terra di Israel è nostra non meno di quanto appartiene a voi, dal momento che siamo tutti figli di Avrahàm. Non è forse scritto nella Tora che il padre potrà attribuire il diritti di primogenitura al figlio della moglie (Izkhak) a fronte del figlio di quella che detesta (Isma’el) che è il vero primogenito”? Gli ebrei risposero: “Anche noi abbiamo un versetto che prova il nostro assunto: “E Avrahàm donò tutto ciò che aveva a Izkhak
(Bereshit 25/5). “ Gli Ismaeliti domandarono: “E dov’è il documento che comprova che si è trattato di una donazione in vita e non di una successione?Gli ebrei risposero: “E’scritto subito dopo:” E anche ai figli delle concubine Avrahàm fece dei doni” (Bereshit 25/6). “Gli ismaeliti batterono in ritirata” (Bereshit Rabbà 6 1/7)
Ovviamente Hagar non è moglie di Avrahàm ma solo una concubina e qualcuno potrebbe anche obiettare che la Torah non era stata ancora consegnata all’uomo, ma per l’ebraismo essa era in cielo e per tradizione fosse conosciuta dai profeti e patriarchi.
La sensazione è quella che tutto quello che avverrà abbia una relazione con la primogenitura tra i due figli di Avrahàm.
Prima parte