Proverbi 16:20

trizzi74
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Proverbi 16:20

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni e caro Noiman ( l’esperto in ebraico), questo pomeriggio mi sono accorto che il versetto di Proverbi 16:20 della TNM è diverso da quello della maggioranza delle Bibbie italiane.
La TNM traduce: “Chi mostra perspicacia in una questione troverà il bene, e felice è chi confida in Geova”.
Le altre traducono così:
C.E.I.: Chi è prudente nella parola troverà il bene e chi confida nel Signore è beato.
Diodati: Chi è intendente nella parola troverà bene; E beato chi si confida nel Signore.
Nuova Diodati: Chi presta attenzione alla Parola troverà il bene, e chi confida nell'Eterno è beato.
Nuova Riveduta: Chi presta attenzione alla parola se ne troverà bene, e beato colui che confida nel SIGNORE!
Riveduta (Luzzi): Chi presta attenzione alla Parola se ne troverà bene, e beato colui che confida nell'Eterno!
Come si può notare, tutte queste traduzioni sono concordi nel tradurre questo passo eccetto la TNM.
Forse l’unica differenza sta nel fatto che la CEI, NR e DI traducono dabar = parola in minuscolo, mentre la LUZZI e ND pensando che dabar è un riferimento alla Parola di Dio decidono di tradurlo in maiuscolo.
La domanda d’obbligo è: Cosa dice esattamente il testo originale?
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
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Gianni
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da Gianni »

Caro Trizzi, sei stato gentile a citarmi, ma la tua domanda poteva essere rivolta direttamente a Noiman, che è – come giustamente dici – l’esperto di ebraico. Comunque, la tua domanda mi ha incuriosito e ho dato un’occhiata al Pr 16:20:
מַשְׂכִּיל עַל־דָּבָר יִמְצָא־טֹוב וּבֹוטֵחַ בַּיהוָה אַשְׁרָיו׃
maskìyl al-davar ymtza-tòv uvotèakh bayhvh ashràyv
[L’]essente prudente su[lla]-davar troverà [il] bene e [il] confidante in Yhvh beato lui
Il vocabolo davàr non significa solamente “parola” ma anche “cosa”, “affare/questione”, oltre ad altri significati. Nel Tanàch è usato centinaia di volte.
Come sempre, è il contesto che dà il senso al vocabolo che si vuole esaminare. Se leggiamo il cap. 16 di Pr – non dimenticando che siamo di fronte a un libro sapienziale – notiamo che il saggio scrittore inquadra la facoltà che l’essere umano ha di fare programmi e di attuarli, ma nel disegno più grande di Dio. Detto in soldoni e termini molto laici, i conti non vanno fatti senza l’oste. Ciò appare chiaro nei primi tre versetti. Con la nostra mente progettiamo, ma è il Signore che dirige tutto (v. 9). La persona giusta (per l’ebreo l’unica vera giustizia è ubbidire a Dio) evita il male e “chi bada alla sua via preserva se stesso” (v. 17). Dopo aver detto che l’umiltà è meglio della superbia (vv. 18,19), arriva la nostra frase. Come tradurre davàr? Subito prima e subito dopo, il saggio scrittore ispirato raccomanda la saggezza e la prudenza: è questo l’immediato contesto. Ho consultato la traduzione biblica del rabbinato francese, che è la seguente: “Qui réfléchit mûrement à une affaire s'assure des avantages; mais heureux qui met sa confiance en l'Eternel!” (= “Chi riflette attentamente su una questione si assicura dei vantaggi; ma felice chi confida nel Signore!”). Il senso è: è molto vantaggioso riflettere sulle varie questioni (cfr. Pr 13:15) ma ancora meglio è confidare (anche) in Dio. Riflessione e ponderatezza, quindi, ma confidando in Dio.
In questo contesto, se si traducesse davàr con “parola”, non si capirebbe di che parola mai si tratterebbe.
A me pare quindi che la traduzione migliore sia quella di TNM. Ma lascio le valutazioni finali al nostro caro e più competente amico Noiman. :-)
trizzi74
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da trizzi74 »

Caro Gianni, se ti ho interpellato è perchè che avevo il piacere di conoscere anche il tuo parere. Grazie!
Attendiamo la risposta di Noiman.
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da noiman »

m
Ultima modifica di noiman il sabato 11 ottobre 2014, 10:46, modificato 1 volta in totale.
GEMELLO76
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da GEMELLO76 »

Caro Trizzi, aggiungo alcune considerazioni tratte dal Grande Lessico dell’Antico Testamento ( Ed.Paideia).

Alla voce dabar si legge: Nel libro di Proverbi sembra che dabar ( al singolare e senza articolo), un paio di volte o tre al massimo, si debba intendere come parola di Dio ( cfr. 30:5 s.), anche se non è espressamente definita come tale: “ Chi è attento al dabar trova il bene, felice è colui che confida in Jhwh” ( 16,20; cfr.13:13; 19:16 secondo una congettura). Altrimenti, “ l’istruzione del sapiente… sarebbe qui considerata come dotata di autorità divina, e coincidente con la parola di Dio”. ( B. Gemser, HAT 1/16, 1963,71). – Vol.2, colonne 125-126.

Alla voce sakal si legge: In Prov.16:20 non si dovrebbe avere un parallelismo antitetico, bensì sinonimico ( contro McKane, Proverbs, OTL 31977, 236. 438: “ Chi è svelto a cogliere una questione prospera, ma beato colui che confida in Jhwh”) perché il v.20b non promette niente di più di quanto promesso al v.20a. La parola che si deve conoscere non è una parola qualunque, bensì la parola di Jhwh o di un maestro di sapienza che, in ultima analisi, è la stessa cosa. – Vol. 8, colonna 760.

L. Alonso Schòkel ( biblista) nel suo commentario sul libro di Proverbi scrive:

Tutto andrà bene a chi misura le parole;
// Tutto andrà bene a chi bada alla parola;
beato chi confida nel Signore.

Tutta la questione poggia sul significato di dbr: si tratta della parola propria o della parola per antonomasia, quella di Dio? E vero che Yhwh può reggere anche il contenuto del primo emistichio; lo confermerebbe 13,13a, inteso del mandato divino che non si deve disprezzare.
Anche l'uso del singolare può andare nella medesima direzione. In tal caso, badare alla parola di Dio e confidare nel Signore sono paralleli sinonimici o complementari.
Se invece prendiamo dbr come parola dell'uomo, abbiamo un'antitesi:l'uomo può affidare tutto alle sue doti di linguaggio; e anche ne può fare un uso cattivo, come stanno a indicare 27-29. Meglio, dunque, essere ponderati nel parlare e affidarne l'esito a Dio.- I Proverbi, pag.413, ed. Borla.
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Gianni
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da Gianni »

Grazie, Norman.
Mi permetto di aggiungere un’osservazione che riguarda la lingua italiana, partendo però dal testo ebraico, in cui il vocabolo davàr è sì al singolare, ma senza articolo. La traduzione letterale sarebbe quindi: “Chi riflesse su una cosa” o “su qualcosa”. Detto così, in italiano già regge bene, ma di certo è più elegante e scorrevole dire “chi riflette sulle cose”, come ha tradotto Dario Disegni per Giuntina, che è una casa editrice ebraica di Firenze (tra parentesi, consiglio di sfogliarne il ricco e prezioso catalogo). Questo particolare ci fa riflettere sulle traduzioni. Intendo dire che se dovessimo tradurre la frase italiana del Disegni letteralmente in ebraico, si avrebbe un altro significato. La stessa cosa avverrebbe con il greco, in cui l’articolo determinativo ha una funzione importantissima; “chi riflette sulle cose”, detto così com’è in greco vorrebbe significare che chi riflette lo fa su cose specifiche e individuabili. Vedete dunque come non sia facile tradurre in maniera letterale rispettando la scorrevolezza della nuova lingua in cui si traduce. Ecco perché il traduttore si trova sempre di fronte a una scelta: privilegiare il testo letterale biblico oppure renderlo più chiaro in italiano? Ad esempio, TNM ha scelto il letterale, ma basta leggere quella versione per vedere come ne risulta un italiano arido e strano, che nessuno parla né si sognerebbe mai di parlare. All’opposto abbiamo TILC, che privilegia l’italiano corrente; leggere questa versione così fresca e accattivante è un vero piacere che ci fa gustare la Scrittura, specialmente se si hanno ancora nell’orecchio le frasi asettiche delle traduzioni letterali.
Personalmente credo che la cosa migliore sarebbe avere le due traduzioni una accanto all’altra. Ciò aiuterebbe molto chi legge la Bibbia anche come studioso. Immaginate una traduzione così:
מַשְׂכִּיל עַל־דָּבָר יִמְצָא־טֹוב וּבֹוטֵחַ בַּיהוָה אַשְׁרָיו׃
maskìyl al-davar ymtza-tòv uvotèakh bayhvh ashràyv
essente prudente su-cosa troverà bene e confidante in Yhvh beato lui
Chi si ferma a riflettere fa bene e chi lo fa confidando nel Signore fa meglio
La seconda traduzione è molto libera ma dà il senso del “proverbio”, tuttavia, la traduzione interlineare permette di sapere cosa davvero è detto e consente anche di fare ricerche sulle singole parole.

Due ultime osservazioni, sperando di non annoiarvi.

Il titolo del libro biblico di Proverbi è nella Bibbia ebraica מִשְׁלֵי שְׁלֹמֹה (mishlè shlomò): “Massime di Salomone”. La traduzione greca dei LXX lo traduce con Παροιμίαι Σαλωμῶντος (Paroimìai Salomòntos). La traduzione latina della Vulgata lo chiama Liber proverbiorum, da cui il nostro Proverbi.
Il mashàl (משל) ebraico è qualcosa di più ampio. La parola mashàl (di cui מִשְׁלֵי, mishlè, è il plurale) è di origine incerta, ma può tradursi con “similitudine” e designa una verità espressa in modo immaginoso perché si imprima nella mente. Il mashàl si può ridurre ad una delle seguenti categorie:
a) Il proverbio propriamente detto: “Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio [משל (mashàl)]: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?’” (Ez 18:2; cfr. Ger 31:29). “Di qui venne il proverbio [משל (mashàl)]: ‘Saul è anche lui tra i profeti?’”. - 1Sam 10:12.
b) L’apologo, con cui si fanno parlare animali e cose inanimate col proposito di dare precetti morali.
“Un giorno, gli alberi si misero in cammino per ungere un re che regnasse su di loro; e dissero all'ulivo: ‘Regna tu su di noi’. Ma l'ulivo rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare al mio olio che Dio e gli uomini onorano in me, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora gli alberi dissero al fico: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma il fico rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Poi gli alberi dissero alla vite: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Ma la vite rispose loro: ‘E io dovrei rinunziare al mio vino che rallegra Dio e gli uomini, per andare ad agitarmi al di sopra degli alberi?’. Allora tutti gli alberi dissero al pruno: ‘Vieni tu a regnare su di noi’. Il pruno rispose agli alberi: ‘Se è proprio in buona fede che volete ungermi re per regnare su di voi, venite a rifugiarvi sotto la mia ombra; se no, esca un fuoco dal pruno, e divori i cedri del Libano!’”. - Gdc 9:8-15.
L’allusione è al modo in cui si appiccava il fuoco alle foreste. Il senso è: Stiano bene attenti i sichemiti (v. 7) al passo che fanno, perché o si fidano di Abimelec per sempre oppure ne saranno schiacciati (ciò che di fatto avvenne).
c) Parabola. Con un racconto che ha qualche somiglianza con quanto si vuol dire si vuol insegnare una verità morale.
Natan, parlando a Davide colpevole di adulterio, gli fece capire che lui, ricco e potente poligamo, aveva proprio rubato l’unica pecora, vale a dire l’unica moglie di un vicino povero. - 2Sam 12:1-6.
La donna di Tecoa, volendo patrocinare in favore del figlio Absalom bandito dal padre Davide, riferì la parabola di un figlio che dopo aver ucciso il fratello era ricercato dai parenti perché fosse lui pure ucciso, lasciando così la madre del tutto vedova. - 2Sam 14:5-7.
d) Satira. Mordente, deride il vizio e mira a correggere i costumi. Un esempio di satira è quello che descrive l’adultero re di Babel che scende nello sheòl o soggiorno dei morti:
“Come! Il tiranno è finito? È finito il tormento? Il Signore ha spezzato il bastone degli empi, lo scettro dei despoti. Colui che furiosamente percoteva i popoli con colpi senza tregua, colui che dominava rabbiosamente sulle nazioni, è inseguito senza misericordia. Tutta la terra è in riposo, è tranquilla, la gente manda grida di gioia. Perfino i cipressi e i cedri del Libano si rallegrano a motivo di te. ‘Da quando tu sei atterrato’, essi dicono, ‘il boscaiolo non sale più contro di noi’”. - Is 14:4-8.

Il mashàl è quindi un termine elastico che nessuna parola delle nostre lingue moderne può riprodurre esattamente. Il senso preciso è determinato di volta in volta alla luce del contesto in cui si trova. Però, giacché vi soggiace sempre lo scopo di istruire e di correggere, il mashàl finì con l’acquistare il senso largo e comprensivo della sententia dei latini o della massima italiana. La collezione dei mishlè biblici si potrebbe quindi definire un’antologia di massime ebraiche.

La parola “sapienza” traduce il vocabolo ebraico חָכְמָה (khokmàh) che non ha un perfetto equivalente in italiano. Per gli ebrei indicava l’abilità di una persona in un campo specifico. Così, gli ebrei parlavano di un muratore saggio oppure di un carpentiere saggio. Ancora oggi gli arabi chiamano “saggio” il medico. “Saggio” è anche la persona che sa dirigere bene la propria vita e i propri affari in modo che tutto abbia a procedere magnificamente.
Come si nota, questo è un concetto pratico. Va ricordato ancora una volta che per gli ebrei non esisteva l’astrazione. Tutto era pratico. Il concetto biblico di khokmàh – “sapienza” – era un concetto pratico che nulla ha a che vedere con la filosofia.
È evidente che le massime sapienziali dovettero circolare presso il popolo ebraico sin dall’epoca patriarcale: è impossibile che non sorgessero massime in quel periodo. Ma è pur vero che le prime collezioni scritte dei Proverbi apparvero in Israele solo nel 10° secolo a. E. V., dopo la creazione della monarchia. Gli ufficiali di corte in Israele – come dimostrano anche i loro titoli di derivazione egizia, come “scriba”, dovettero formarsi su testi egizi. Ciò significa che la sapienza collettiva del popolo ebraico dovette assumere come modello quello egizio che già da tempo fioriva.
Il più celebre di questi saggi fu Salomone, che ricevette sapienza da Dio insieme ad altre doti meravigliose. Il successo della sua attività di monarca dimostra come egli fosse più di ogni altro arricchito di sapienza. Egli pronunciò 3000 proverbi e 5000 cantici: “[Salomone, vv. 29 e 30] pronunziò tremila massime e i suoi inni furono millecinque [LXX, Vg12 mss., hanno “cinquemila”]” (1Re 4:32). Nel corso dei secoli gli si attribuirono, secondo un metodo assai diffuso in oriente, alcuni Salmi, molti Proverbi ed interi libri, la cui paternità è assai discutibile o addirittura falsa.
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da Maryam Bat Hagar »

noiman ha scritto:Per finire proverbi 16/20 termina con אשריו che è tradotto “beato lui”, dalla stessa radice nasce la parola מאשר “meushàr””il beato” parola che ha come valore gematrico 341, esattamente come ישראל “Israel”.
שלום
נוימן
Shalom Noiman bella la tua spiegazione! io so ke il valore numerico di Israel è 541 (yod=10 shin=300 resh=200 aleph=1 lamed=30)anke il valore di meushar è di 541 di conseguenza credo.alcuni testi(Tanakh Torah Talmud)tradotti da rav. Dario Segni sono disponibili alla libreria Feltrinelli(ho notato la Torah con testo in ebraico e traduzione in italiano a 28.00 euro)
il nostro nemico non è né l'ebreo né il cristiano
il nostro nemico è la nostra stessa ignoranza

Ali ibn Abi Talib(599- 661)
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da trizzi74 »

Grazie Noiman per la tua interessante analisi che è in perfetta sintonia con quella di Gianni.
Grazie Gemello per aver citato il lessico della Paideia. Il significato che questo lessico dà al termine dabar in Proverbi 16:20 non mi sembra del tutto da scartare.
Cosa ne pensate Gianni e Noiman?

Caro Gianni, come reputi la traduzione che la TILC fa di questo versetto?
A me sembra che il significato che gli viene dato sia diverso da quello della TNM:
Medita gli insegnamenti ricevuti
e avrai successo;
felice chi confida nel Signore.
( Tilc)
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da Gianni »

Caro Trizzi, TILC interpreta davàr come gli insegnamenti ricevuti, limitandone il significato. Lo stesso errore di limitazione lo fa secondo me il lessico della Paideia, che circoscrive il significato alla parola di Dio. Questo senso particolare è escluso dal contesto che non fa riferimento alla parola divina. In più, la massima biblica è composta da due paralleli: è nel secondo che c’è la beatitudine di chi confida in Dio (e neppure qui si parla della sua parola); il primo parallelo afferma che chi agisce bene è prudente nel valutare le cose, e questo è un comportamento assennato indipendente dall’aver fiducia in Dio. A me sembra che ci sia un parallelismo progressivo: il primo emistico segna una tappa, il secondo raggiunge la pienezza. Ma sentiamo anche Noiman.
noiman
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Re: Proverbi 16:20

Messaggio da noiman »

n
Ultima modifica di noiman il sabato 11 ottobre 2014, 10:48, modificato 1 volta in totale.
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