Leggere la Bibbia con gli ebrei
Inviato: lunedì 19 maggio 2014, 11:14
Esprimendo il nostro sincero bentornato! A Noiman, in Italia e nel forum, prendo spunto da una cosa che ha scritto ultimamente e apro questa cartella intitolata Leggere la Bibbia con gli ebrei.
L’atteggiamento interiore con cui la apro è quello di una persona profondamente credente che ha solo da imparare, leggendo la Sacra Scrittura insieme agli ebrei; nella fattispecie, insieme al carissimo Noiman. Mi auguro che condividiate questo atteggiamento e che sia Noiman a essere il protagonista e la guida in questa discussione così interessante e certamente istruttiva.
Con la dovuta umiltà, vi invito quindi a porre domande, a chiedere chiarimenti e a riflettere, anziché buttar lì affermazioni per sentito dire.
Mi pare necessario chiarire prima di tutto due espressioni: mentalità semita e mentalità ebraica. Non sono la stessa cosa. Personalmente, con mentalità semita intendo quella degli antichi semiti, che includevano anche gli ebrei ma non solo. Dico antica perché è quella che ci interessa nello studio della Bibbia. Anche gli arabi sono semiti. Gli antichi arabi avevano in comune alcuni modi di pensare con i loro “fratellastri” ebrei, ma ciò non è oggetto di grande interesse, essendo secondario, ai fini degli studi biblici. Con mentalità ebraica, che rientra in quella più vasta della mentalità semitica, intendo quella prettamente ebraica. È questa che troviamo nella Bibbia. È questa quella che ci interessa. Immagino che qui parleremo soprattutto di Tanàch ovvero di quello che i cristiani chiamano, sbagliando, Vecchio Testamento. Mi preme però precisare che anche il cosiddetto Nuovo Testamento è completamente impregnato di mentalità o modo di pensare ebraico. Pur scritto in greco, è pensato in ebraico.
Sperando che il carissimo Noiman accolga il mio invito (un po’ forzato, forse
a guidarci nella lettura ebraica della Bibbia, scegliendo lui stesso gli argomenti da trattare, nell’attesa faccio con voi una riflessione su 2Tm 3:15, in cui il beniaminita Paolo rammenta al discepolo Timoteo: “Fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture”. Timoteo era giglio di una ebrea, la giudea Eunice (At 16:1; 2Tm 1:5). Questo dettaglio potrebbe essere letto distrattamente da un lettore “cristiano”, senza sospettare neppure il profondo concetto che vi sta dietro. Nell’ebraismo la prima maestra è la madre. Spetta a lei imprimere nel bambino, ancor prima della scuola, i valori fondamentali della fede ebraica, che è quella biblica. Diversamente dagli altri popoli, in cui conta la paternità, nell’ebraismo contra la maternità. È infatti ebreo chi è figlio di madre ebrea.
La madre è la prima maestra dei bimbi ebrei. Poi interviene anche il padre: “Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6:6,7). L’insegnamento è basato sulla Toràh, parola che significa proprio “insegnamento”. Anche il nonno ha un ruolo importante: “[Queste cose] falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” (Dt 4:9); per certi versi l’insegnamento del nonno è apprezzato più ancora di quello paterno. Stupendo il versetto successivo, il 10: “Ricòrdati del giorno che comparisti davanti al Signore, al tuo Dio, in Oreb”. L’ebreo di oggi si considera come se fosse lui stesso ad aver ricevuto la Toràh sul Sinày: “Ricòrdati del giorno che comparisti davanti al Signore, al tuo Dio, in Oreb”.
L’atteggiamento interiore con cui la apro è quello di una persona profondamente credente che ha solo da imparare, leggendo la Sacra Scrittura insieme agli ebrei; nella fattispecie, insieme al carissimo Noiman. Mi auguro che condividiate questo atteggiamento e che sia Noiman a essere il protagonista e la guida in questa discussione così interessante e certamente istruttiva.
Con la dovuta umiltà, vi invito quindi a porre domande, a chiedere chiarimenti e a riflettere, anziché buttar lì affermazioni per sentito dire.
Mi pare necessario chiarire prima di tutto due espressioni: mentalità semita e mentalità ebraica. Non sono la stessa cosa. Personalmente, con mentalità semita intendo quella degli antichi semiti, che includevano anche gli ebrei ma non solo. Dico antica perché è quella che ci interessa nello studio della Bibbia. Anche gli arabi sono semiti. Gli antichi arabi avevano in comune alcuni modi di pensare con i loro “fratellastri” ebrei, ma ciò non è oggetto di grande interesse, essendo secondario, ai fini degli studi biblici. Con mentalità ebraica, che rientra in quella più vasta della mentalità semitica, intendo quella prettamente ebraica. È questa che troviamo nella Bibbia. È questa quella che ci interessa. Immagino che qui parleremo soprattutto di Tanàch ovvero di quello che i cristiani chiamano, sbagliando, Vecchio Testamento. Mi preme però precisare che anche il cosiddetto Nuovo Testamento è completamente impregnato di mentalità o modo di pensare ebraico. Pur scritto in greco, è pensato in ebraico.
Sperando che il carissimo Noiman accolga il mio invito (un po’ forzato, forse

La madre è la prima maestra dei bimbi ebrei. Poi interviene anche il padre: “Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai” (Dt 6:6,7). L’insegnamento è basato sulla Toràh, parola che significa proprio “insegnamento”. Anche il nonno ha un ruolo importante: “[Queste cose] falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” (Dt 4:9); per certi versi l’insegnamento del nonno è apprezzato più ancora di quello paterno. Stupendo il versetto successivo, il 10: “Ricòrdati del giorno che comparisti davanti al Signore, al tuo Dio, in Oreb”. L’ebreo di oggi si considera come se fosse lui stesso ad aver ricevuto la Toràh sul Sinày: “Ricòrdati del giorno che comparisti davanti al Signore, al tuo Dio, in Oreb”.