roberto ha scritto: ↑domenica 14 maggio 2023, 16:48
Ciao Aenim, è possibile che nel corso dei secoli, ci siano state delle contaminazioni linguistiche, che hanno contaminato questa lettura dei parlanti?
Secondo me in questo caso no perchè la questione è connessa ad una pragmatica (la preparazione del cibo), ad atti (sacrificio, shekitah), ad immagini (cucciolo-che-allatta è un'immagine che si ha negli occhi dalla vita quotidiana), simbologie (il capretto assume un posto particolare anche nella haggadah di Pesach, chad gadya) e ad una serie nutrita di altre connessioni, in un insieme di elementi particolarmente strutturato. Più un termine, o una espressione, o un immagine è inserita di un insieme strutturato meno può subire alterazioni. La regola possiede anche un'altra caratteristica: è catalogata, è catalogata fra gli hukim (un elenco di regole che possiedono tutte la caratteristica di essere hukim).
Fra l'altro non è un caso l'utilizzo - in diverse culture - di simbolismi alimentari.
Per un ebreo la nostra parola generica "carne" non ha molto senso, come per un eschimese la parola generica "neve", dato che lui distingue fra non ricordo più quanti tipi di neve, e fenomeni similari li ritrovo anche altrove. I problemi nascono proprio quando le espressioni finiscono travasate in un contesto diverso e molto più generalizzante.
Traducendo oggi dall'ebraico nella mia lingua sarebbe privo di senso tradurre "carne", perchè per me è carne anche il maiale, che io mangio (e fra l'altro allatta pure), ma sarebbe totalmente privo di senso comunicarmi di non mangiare maiale cucinato con il latte, in quanto a monte il maiale è vietato.
Non c'è modo e non esiste parola adatta per tradurre il concetto nel mio contesto in 10 parole, non è possibile riassumere, per forza bisogna farmi leggere tutta la spiegazione della kashrut, mentre i sensi sono scontati per il sistema che si legge il suo promemoria di 10 parole.
Se io ti invito a cena posso chiederti se preferisci che cucini "carne o pesce" e tu mi risponderai senza problemi. Se io invito Noiman a cena e gli chiedo se preferisce carne o pesce Noiman si preoccupa.
Per lui non tutta la carne è uguale ed esistono gruppi di carni: il pollo, ad esempio, è carne per me, per lui sarebbe un parve (salvo motivate restrizioni stabilite soprattutto per la galut che lo vogliono trattato come le altre carni, resta un parve che però deve essere shaktato, ma un tempo in Israele si cucinava tranquillamente il pollo al latte), per me la selvaggina è carne, per lui è un problema perchè fa parte delle carni che non vengono shaktate o non sono nemmeno shaktabili (p.e. il lepre), e le carni permesse e che però devono essere shaktate hanno in comune proprio quella immagine, cioè sono di animali che allattano i cuccioli ruminanti con zoccolo fesso.
E' un gruppo, non importa che sia capra, mucca, pecora, quello che importa è che è un gruppo e che il trattamento dell'una cosa è identico al trattamento dell'altra (gruppo zoccolo fesso, ruminante, allatta, shaktabile e credo anche offribile in sacrificio ma non sono sicura), per cui l'appartenenza al gruppo, nei significati, prevale sul fatto di nominare questo o quell'animale.
Per Noiman ci sono carni shaktabili o non shaktabili, carni shaktate o non shaktate. E fra le shaktabili c'è il gruppo di quelle che non allattano come la gallina e di quelle che allattano.
In questo contesto posso nominare un capretto, o un vitello, o un agnello è esattamente la stessa cosa perchè a monte si sa che le regole per l'uno valgono per l'altro, non ho bisogno affatto di nominarli tutti e fare l'elenco ogni volta (di un gruppo ritrovo anche altrove che è sufficiente nominare un item o il primo di una lista per richiamare automaticamente tutta la lista; il capolista, o l'esempio per qualsiasi motivo, diventa termine tecnico per indicare l'intero gruppo).
Sono io che sono "fuori dal contesto" che ho altamente più probabilità, anzi, la quasi certezza direi, di andare a modificare i sensi ed i significati, che io sia parlante o che io sia scrivente o traduttore senza specifica competenza, mentre nel suo contesto quella espressione ha mille legami al suo proprio contesto e non se ne può scostare, è fin troppo
ben ancorata.
Eliminando i parlanti chiaramente spariscono gli ancoraggi.
E nonostante io mi sia sperticata su espressioni di altre lingue e che le cose un pochino le so, e nonostante che pure sta storia del capretto me la abbiano spiegata e rispiegata, ci ho messo un casino di tempo a convincermi.
Perchè fino ad un certo punto sono state solo parole scritte per me senza nessuna connessione con una realtà perciò estranee e non mi riusciva mai di fare caso ai particolari.
Ho cominciato a capire solo quando parlando con una israeliana in un gruppo mi ha raccontato del pollo al latte, e dopo, per esperimento, ho provato per un po' a fare finta di osservare (provare), allora ho cominciato a fare caso a tutto.
E' perfettamente plausibile che il contesto dei targumin potesse decidere di tradurre con qualche termine che indicasse 'carne', se prevedeva che l'uditorio sapesse annoverare sotto quella espressione i concetti di shaktato e permesso. Ma se il traduttore traduce per me (non so cosa mangiassero o non mangiassero i greci) capirei perfettamente che per far passare il concetto, almeno per poter sperare che qualcosa prima o poi passi, se traduce "carne" frigge se stesso in padella, perchè non mi passa mai e poi mai quello che realmente lui intende. Mentre se mi dicesse "capretto" almeno mi domandere: perchè? che ha di speciale il tuo capretto rispetto alle altre carni che mangio io? A me il traduttore deve perlomeno, dico, perlomeno pormi un problema, affinchè io cerchi. Ad un altro magari non ha nessun bisogno di porre il problema. Ebbene si, si fanno anche questi ragionamenti quando si traduce.
E' stato mostrato lo Pseudojonathan, oggi ho trovato che anche Onkelos (ora bisognerebbe verificare).
E se trovate strano che i Rabbini siano così coinvolti nelle faccende mangerecce allora sappiate che anche altrove c'è tutto un gran capitolo che - pure con le dovute differenze non lievi - ha molto in comune e insegna molto in proposito (fra l'altro uno dei maggiori orientalisti che ben spiega quel capitolo lì ha un cognome ebraico, non so se lo fosse, halachicamente intendo, ma il cognome senz'altro lo è).
Me ne ritrovo delle conseguenze che sono andate a finire niente poco di meno che in Giappone.
Proprio anche per le affinità con prassi di altre culture non me la sento proprio di applicare determinati riduzionismi e semplicizzazioni perchè vedo ad occhio nudo che non sarei nel vero nel farlo, come anche se parlassi di eccessi e discostamenti dai significati originali. Allora non sarebbe servito a niente rimettermi a studiare, fra l'altro solo per la gloria e nemmeno quella.
La verità è che approcciarsi a culture altre è molto faticoso.
Non è così per niente MariaGrazia, il 'nuovo' insegnamento che si discosta da quello orginale non è sicuramente quello rabbinico per niente. Quindi fa tu le dovute sottrazioni.
Inoltre poi bisognerebbe anche prestare attenzione a Marcelle.
Marcelle ha scritto: ↑sabato 13 maggio 2023, 23:05
Cosa ritieni sia quella che viene chiamata Tradizione orale?
E qui avrei voluto proprio un confronto con Besasea per verificare i dispositivi che io conosco in altre culture e quelli che conosce lui, perchè sono tanti ed hanno molto poco del passaparola sussurrato all'orecchio.