Giacobbe e gli angeli di Dio

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Tony
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Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da Tony »

Buonasera a tutti , scusate la mia assenza ho avuto un po di impegni durante le ferie :) .
Volevo porre questa semplice domanda .
Genesi 32 :1,2

Giacobbe continuò il suo cammino e gli vennero incontro degli angeli di Dio . Come Giacobbe li vide disse : "Questo è l'esercito di Dio". E chiamò quel luogo Maanaim .

In realtà le domande sono due ma vorrei capire più la prima :

1. come fa Giacobbe a riconoscere gli angeli di Dio , cioè come fa a sapere che quelli che gli stavano per venire incontro fossero degli angeli di Dio (si dice malach ha Elohim ?) .

2. perchè Giacobbe dice "Questo è l'esercito di Dio "? è riferito agli angeli , cioè al fatto che erano più di uno quindi per questo dice, esercito?
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bgaluppi
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da bgaluppi »

Ciao Tony, provo a proporre la mia lettura.

Nonostante il termine malak sia comunemente tradotto con “angelo” (dal greco ànghelos, “messaggero”), significa propriamente “messaggero” e nella Scrittura indica spesso un uomo o anche un animale o un evento naturale, o semplicemente la volontà o la presenza di Dio; qui la tradizione (Bereshit Rabbah 74:17) commenta che Giacobbe vide “sessanta miriadi di malakim” che danzavano davanti a lui, e sembrerebbe parlare proprio di “angeli” come intendiamo il termine noi occidentali, poiché certamente non potevano essere sessanta miriadi di messaggeri umani. Tuttavia, nel pensiero ebraico classico anteriore alla deportazione a Babilonia non si concepiva ancora il malak come vera e propria creatura spirituale, dunque anche la spiegazione tradizionale di Ber. Rabbah deve essere capita bene.

Innanzitutto, il v.2 dice “Come Giacobbe li vide, disse: «Questo è l'accampamento [מַחֲנֵ֥ה] di Dio»; e pose nome a quel luogo Mahanaim [מַֽחֲנָֽיִם]”. Il termine mahaneh (מַחֲנֵ֥ה) significa “accampamento” e rappresenta il numero di sessanta miriadi, quanti erano i figli di Israele quando uscirono dall'Egitto che si riunivano in un accampamento (Ber. Rabbah). Nell'antichità, una miriade era rappresentata da diecimila unità, per cui sessanta miriadi corrispondono a seicentomila uomini: “I figli d'Israele partirono da Ramses per Sukkoth, in numero di circa seicentomila uomini a piedi, senza contare i fanciulli” (Es 12:37); “Allora l'Angelo di Dio, che camminava davanti all'accampamento d'Israele...” (Es 14:19, qui il messaggero che guida il mahaneh di Israele rappresenta Dio che guida). Ma Giacobbe chiama il luogo Mahanayim (מַֽחֲנָֽיִם), plurale di mahaneh, che rappresenta il numero di centoventi miriadi, ossia due accampamenti. Sembrerebbe che il testo parli di due accampamenti, uno divino (gli angeli) e uno terreno (i figli di Israele); ma è proprio così? Il testo dice che “dei messaggeri di Dio” incontrano Giacobbe, non un accampamento di angeli, e che Giacobbe li “vide”, e il termine רָאָה (raah) è ambiguo, perché può far riferimento alla visione.

Oltretutto, al v.3 leggiamo che “Giacobbe mandò davanti a sé alcuni messaggeri [מַלְאָכִים֙, malakim] al fratello Esaù”, come traduce la Nuova Diodati; poteva forse Giacobbe comandare gli angeli di Dio? È ovvio che si trattava di messaggeri umani, dei messi (inviati). Allora perché tradurre lo stesso termine in due modi diversi? Leggiamo il testo evitando di tradurre il termine malak con il significato ambiguo di “angelo” e vediamo se cambia qualcosa:

“Mentre Giacobbe continuava il suo cammino, gli si fecero incontro dei messaggeri di Dio [malake elohim]. Come Giacobbe li vide, disse: «Questo è l'accampamento di Dio»; e pose nome a quel luogo Mahanaim. Poi Giacobbe mandò davanti a sé dei messaggeri [malakim] al fratello Esaù...” (vv.32:1-3).

Giacobbe, secondo me, ha una visione quando giunge in quel luogo: egli vede un mahaneh di angeli, che è una visione che procede da Dio. Ma essi si presentano a lui come creature spirituali che lo incontrano fisicamente o si tratta semplicemente di una visione? Li vede solo lui, non gli altri che erano con lui. Gli angeli compaiono al profeta sempre in sogno o in visione. Per questo Ber. Rabbah parla di sessanta miriadi di angeli, facendo riferimento anche ad un significato simbolico. E per questo Giacobbe chiama il luogo Mahanayim, dai due accampamenti: quello degli angeli che vede e quello di coloro che erano con lui.
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Tony
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da Tony »

Grazie della ricerca cosi approfondita Antonio .
Ho notato che c'è una differenza tra le parole ebraiche , che conosco poco , per quanto riguarda il termine malake e malakim , che se ho ben capito uno è un essere mandato da Dio e l'altro è un messaggero umano .Grazie di aver fatto questa traduzione letterale .

Quindi si può dire che Giacobbe capisce che sono degli angeli di Dio perchè ha una visione (come hai detto tu : "Gli angeli compaiono al profeta sempre in sogno o in visione")?
In realtà la mia domanda voleva estendersi ad un livello generale , cioè come facevano i profeti a sapere che quelli erano angeli mandati da Dio (malake elohim), per via della visione ?Esistono altre testimonianze bibliche che possono indicarci qualcosa su come facevano i profeti a sapere se quelli fossero degli angeli quindi delle creature spirituali ?Oppure anche come facevano a sapere che fossero degli angeli di Dio quando si presentavano in carne ed ossa (questo fatto è biblico?).
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bgaluppi
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da bgaluppi »

In Dt 18:22 è spiegato il metodo per capire se un profeta era vero o falso: “Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non succede e non si avvera, quella sarà una parola che il Signore non ha detta; il profeta l'ha detta per presunzione; tu non lo temere.”. Dunque, se quel profeta aveva dei sogni o visioni che poi non si avveravano, era un falso profeta; i sogni e le visioni non venivano da Dio, ma dal suo subconscio. Il profeta o sognatore veniva giudicato anche in base a ciò che diceva; se istigava all'idolatria, non poteva essere un profeta di Dio anche se le sue predizioni si avveravano:

“Quando sorgerà in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti annuncia un segno o un prodigio, e il segno o il prodigio di cui ti avrà parlato si compie, ed egli ti dice: «Andiamo dietro a dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuto, e serviamoli», tu non darai retta alle parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il Signore, il vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se amate il Signore, il vostro Dio, con tutto il vostro cuore e con tutta l'anima vostra.” — Dt 13:1-3

Il profeta scelto da Dio non poteva avere false visioni, poiché ogni profezia verace è garantita da Dio stesso: “La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: «Geremia, che cosa vedi?» Io risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». E il Signore mi disse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per mandarla ad effetto». (Ger 1:11-12). Il profeta scelto da Dio era la “bocca di Dio”, dunque parlava per conto di Dio che lo aveva scelto: “Io ho messo le mie parole nella tua bocca” (Is 51:16, cfr. Ger 1:9). Inoltre, se il profeta provava a contenere le parole, non ci riusciva: “Se dico: «Io non lo menzionerò più, non parlerò più nel suo nome», c'è nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzo di contenerlo, ma non posso.” (Ger 20:9). Dunque, il profeta scelto da Dio non doveva preoccuparsi se le sue visioni fossero vere.
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bgaluppi
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da bgaluppi »

Per risponderti sugli angeli e sulla profezia, uso Maimonide:

“Anche gli angeli non sono dotati di corpo, ma sono intelletti separati dalla materia. Essi sono oggetti di un atto, perché Dio li ha creati, come sarà spiegato. Nel Genesi Rabbah dicono: ‘“La fiamma della spada che si volge” si riferisce a “fa dei suoi ministri una fiamma guizzante”. Dice “che si volge” perche essi (gli angeli) si volgono a volte in forma di uomini, a volte in forma di donne, a volte in forma di spiriti, a volte in forma di angeli’. Con queste parole i sapienti spiegano che gli angeli non sono dotati di materia, e non hanno una figura corporea fissa, al di fuori della mente, ma presentano tutte queste caratteristiche solo nella ‘visione profetica’, e conformemente all’azione della facoltà immaginativa, come sarà detto a proposito della vera natura della profezia.” (La Guida dei Perplessi, 1,49)

Maimonide distingue diversi gradi della profezia (Ibidem, 2,45):

“II primo grado della profezia è l’accompagnamento che un individuo riceve dall’aiuto divino, che lo muove e lo anima ad un’azione giusta, grande e di valore, come la salvezza di un gruppo di virtuosi da un gruppo di malvagi, o la salvezza di un virtuoso di grande importanza, o la concessione di un bene a un numeroso gruppo di persone. Costui trova in sé stesso qualcosa che lo muove e lo incita all’azione, che si chiama ‘spirito del Signore’; e dell’individuo in questo stato si dice che ‘è sceso su di lui lo spirito del Signore’, oppure che ‘lo ha rivestito lo spirito del Signore’, oppure che ‘ha riposato su di lui lo spirito del Signore’, oppure che ‘il Signore era con lui’ – e altri termini del genere.”

Il secondo grado “Consiste nel fatto che un individuo trova che qualcosa si è impossessato di lui e che un’altra potènza è discesa su di lui e lo fa parlare sotto forma di apoftegmi, di lodi, o di utili discorsi esortatori, o lo fa parlare di questioni politiche o metafisiche — e tutto questo in stato di veglia, mentre i sensi agiscono liberamente secondo il loro solito. Costui è colui di cui si dice che ‘parla grazie allo Spirito Santo’. Grazie a questo genere di ‘Spirito Santo’ Davide compose i Salmi, Salomone compose i Proverbi, il Cantico dei Cantici e Ecclesiaste, e del pari Daniele, Giobbe, Cronache e gli altri testi non profetici della Scrittura vennero composti grazie a questo genere di ‘Spirito Santo’ – e per questo tali testi sono chiamati ‘Scritti’ nel senso di ‘scritti grazie allo Spirito Santo’”. [...] Occorre fare attenzione al fatto che Davide, Salomone e Daniele appartenevano a questa categoria, mentre non appartenevano a quella di Isaia, Geremia, ‘il profeta Natan’, ‘Achia di Silo’ e simili, perchè costoro – ossia Davide, Salomone e Daniele – parlavano e dicevano ciò che dicevano ‘grazie allo Spirito Santo’; quanto al detto di Davide: ‘II Dio d’Israele mi disse, parlò la Roccia d’Israele’, esso significa che Dio gli aveva fatto una promessa per mano di un profeta, foss’egli Natan o un altro, come quando sta scritto: ‘E disse il Signore a lei’, e: ‘E il Signore disse a Salomone: “Poiche tu hai fatto questo e non hai rispettato il Mio patto’” – il che è indubbiamente una minaccia nei suoi confronti per mano del profeta ‘Achia di Silo’ o di un altro; del pari, il detto biblico a proposito di Salomone: ‘A Gabaon apparve Dio a Salomone in sogno di notte, e Dio disse ecc,’ non è una vera e propria profezia, come: ‘parlò Dio ad Abramo in un’apparizione dicendo’, e come: ‘E disse Dio ad Israele in una visione di notte’, e come la profezia di Isaia e Geremia, perchè, anche se ognuno di questi ultimi ricevette la rivelazione ‘in sogno’, gli venne fatto notare che quella rivelazione era una profezia, e che egli stava ricevendo una rivelazione, mentre in questa vicenda di Salomone si dice alla fine: ‘E Salomone si risvegliò ed ecco, era un sogno’; e parimenti, nella seconda vicenda, si dice: ‘E apparve il Signore a Salomone una seconda volta, come gli era apparso a Gabaon’ – ed è evidente che si tratta di un ‘sogno’. Questo grado e al di sotto del grado del quale si dice: ‘In sogno io gli parlerò’, perchè coloro che profetizzano ‘in sogno’ non chiamano affatto questo un ‘sogno’, dopo che la profezia è giunta loro ‘in sogno’, bensì affermano risolutamente che si tratta di una rivelazione – come disse ‘Giacobbe nostro padre’: in effetti, egli, quando tornò cosciente dopo quel ‘sogno di profezia’, non disse che questo era stato ‘un sogno’, ma risolutamente disse: ‘Certo, c’e il Signore in questo luogo ecc.’; e disse: ‘Dio Onnipotènte e apparso a me a Luz in terra di Canaan’, e dunque concluse che si trattava di una rivelazione.” [...]

Il terzo grado “Si tratta del primo dei gradi di coloro che dicono: ‘E fu rivolta a me la parola del Signore’, e le espressioni che indicano questo concetto significano che il profeta vede una raffigurazione allegorica ‘in sogno’, in tutte quelle condizioni di cui abbiamo parlato prima a proposito della reale natura della profezia, e in quello stesso ‘sogno di profezia’ gli diventa chiaro che cosa voglia dire quell’allegoria, come accade nella maggior parte delle metafore di Zaccaria”.

Nel quarto grado “II profeta ascolta un discorso chiaro ed evidente ‘in un sogno di profezia’, e non vede chi lo pronuncia, come accadde a Samuele la prima volta che egli ricevette la rivelazione, secondo quanto abbiamo spiegato al suo riguardo”.

Nel quinto grado “Un uomo, in sogno parla al profeta, come sta scritto in alcune profezie di Ezechiele: ‘E quell’uomo mi parlò: “Figlio d’uomo”’ ecc.”.

Nel sesto grado “Un angelo, in sogno parla al profeta. Questa è la condizione della maggior parte dei ‘profeti’, come sta scritto: ‘E mi disse l’angelo di Dio ecc’”

Nel settimo grado “Al profeta appare, ‘in un sogno di profezia’, come se Dio gli parlasse, come dice Isaia: ‘Ho visto il Signore ecc.’; ’E disse: “Chi inviero?” ecc.’; e come dice Michea ben Imla: ‘Ho visto il Signore ecc.’”

Nell'ottavo grado “II profeta riceve la rivelazione ‘in una visione di profezia’, e vede delle raffigurazioni allegoriche, come ’Abramo nella visione tra i pezzi’, perchè quelle raffigurazioni si verificarono ‘in una visione’ diurna, come è stato spiegato.”

Nel nono grado “II profeta ascolta un discorso ‘in una visione’, come accade ad Abramo: ‘Ecco, il Signore gli parlò dicendo: “Non sarà il tuo erede costui’””.

Nel decimo grado “Il profeta vede ‘un uomo’ che gli parla ‘in una visione profetica’, come sempre Abramo alle ‘querce di Mamre’ e come Giosuè a Gerico.”.

Nell'undicesimo e ultimo grado “II profeta vede ‘un angelo’ che gli parla ‘in una visione’, come ‘Abramo nel momento del sacrificio (di Isacco)’. Questo, secondo me, è il più alto dei gradi profetici attestati dalle Scritture, dopo il perfezionamento delle virtù dianoetiche dell’individuo, secondo quanto richiede la speculazione, ed eccezion fatta per ‘Mosè nostro maestro’. Se poi sia possibile che al profeta, nella ‘visione profetica’, appaia come se Dio gli parlasse, questa è, secondo me, cosa remota: a ciò non arriva la potènza dell’azione immaginativa, e noi non troviamo questa situazione in tutti gli altri profeti. Per questo è spiegato chiaramente nella Torah: ‘In visione a lui Mi farò conoscere, in sogno a lui parlerò’, dove si pone che il ‘discorso’ avvenga solo ‘in sogno’, e si attribuisce alla ‘visione’ la congiunzione e l’emanazione dell’intelletto – ossia, ‘a lui mi farò conoscere’, perchè si tratta di una forma riflessiva di ‘conoscere’. Non viene dunque affermato esplicitamente che in una ‘visione’ si ascolta un discorso da parte di Dio. Giacché ho trovato passi che testimoniano che il profeta ha udito un discorso, ed è evidente che questo discorso e avvenuto ‘in una visione’, io dico per supposizione che, nel caso di questo discorso udito ‘in sogno’ e delle cose del genere non verificatesi ‘in una visione’, potrebbe essere che il profeta si immagini che Dio stesso glielo abbia detto – tutto questo stando al senso letterale. Si potrebbe dire che ogni ‘visione’ nella quale si trovi l’ascolto di un discorso era all’inizio una ‘visione’, ma poi è finita con un’immersione nel sonno ed e diventata un ‘sogno’, come abbiamo spiegato a proposito del detto: ‘E un sonno cadde su Abramo’ – e i ‘sapienti’ hanno detto: ‘Si tratta del sonno della profezia’. Qualunque discorso venga udito, in qualunque modo venga udito, è ‘in sogno’, come dice il testo biblico: ‘In sogno a lui parlerò’. Invece, in una ‘visione profetica’ non si percepiscono altro che metafore o congiunzioni intellettuali con le quali si apprendono cognizioni simili a quelle apprese per via speculativa, come abbiamo spiegato – e questo è il senso del detto biblico: ‘In visione a lui Mi farò conoscere’.
Dunque, secondo quest’ultima interpretazione, i gradi della profezia sono otto, e il più alto e più perfetto di essi e quello che fa profetizzare ‘in una visione’ in generale, anche se al profeta parla ‘un uomo’, come si e detto. Forse tu obietterai dicendo: tu hai annoverato tra i gradi della profezia quello in cui il profeta ascolta il discorso di Dio che gli parla, come Isaia e Michea; ma come può essere questo, se noi abbiamo stabilito che tutti i profeti ascoltano i discorsi per mezzo di un ‘angelo’, con l’eccezione di ‘Mosè nostro maestro’, del quale si dice: ‘Bocca a bocca Io gli parlò’? Ebbene, sappi che la cosa sta proprio così, e che l’intermediario è qui la potènza immaginativa, perchè il profeta ascolta Dio parlargli ‘in sogno di profezia’, mentre ‘Mosè nostro maestro’ lo ascoltò ‘da sopra il propiziatorio, tra i due cherubini’, senza influenza della facoltà immaginativa. Ora, noi abbiamo spiegato nel Mishneh Torah le peculiarità di quella profezia, e abbiamo spiegato il senso di ‘bocca a bocca’, di: ‘Come parla un uomo al suo compagno’, e di altri passi. Comprendi la questione stando a quel mio scritto, sicché non ci sarà bisogno di ripetere ciò che ho già detto”.
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Tony
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da Tony »

Scusate se faccio quà e la tra i post .
Grazie Antonio davvero per la ricerca completa , la leggerò con calma e la studierò .
grazie mille
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antoniodigiorgio
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da antoniodigiorgio »

Buonasera.

Voglio rispondere a q uanto chiedi su Yaakov cioè Giacobbe.
Anzitutto: la Torà fu consegnata, e tutti i racconti sono in vista della consegna della Torà (Torah). Inoltre vi è da ricordare che spesso si scorda che in Tanach si parla di una corte divina: essa è descritta nell'incipit di Giobbe. Inoltre spesso si scorda che l'Eterno dice sui suoi Malakim: "Ho trovato difetti nei miei messaggeri..." Ora: perché il giudaismo crede nei Malakim? Chi sono? Sono Angeli? La risposta è "si". La risposta si motiva soprattutto dalla descrizione dell'arca che conteneva le pietre incise della Torah. Questa descrizione è nel 1 dei Re, nella dedicazione del Tempio, si legge questo prima delle preghiere di Salomone e di quanto D-io poi dice a Salomone. La parasha di Yakoov è quella di questo shabbath. Le "miriadi di miriadi" espressione iperbolica la si trova pure nel libro apocrifo di Enoch. Che c'è da sapere su Yaakov?
a) Era gemello di Esaù;
b) vi sarà l'inganno ad Isacco suo padre per la benedizione,
c) dopo l'inganno scappa per sfuggire dalla vendetta di Esaù.
d) s'imbatte in un uomo che lo colpisce nei fianchi (anca zona riproduttiva) e che sollecitato a benedirlo, la sovrumana potenza gli imporrà un nuovo nome: Israele traslitterato anche Ysrael.
Ma prima di questo mistico incontro Giacobbe aveva in sogno visto gli angeli salire e scendere una scala infinita.
Il testo ebraico è chiaro: è la "sfida" che fa compiere il destino di Giacobbe/Israele. Questa stessa sfida prosegue con Joseph suo figlio.
Gli angeli e gli "ex angeli" fanno parte della corte divina: lo spiega magnificamente E.Wiesel in un saggio sul Talmud.

Con la speranza di aver contribuito a una maggior consapevolezza sull' angelo.
Antonio Di Giorgio
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amos74
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da amos74 »

Io ritengo che esistano due sostanziali concezioni dell’angelologia presso la tradizione ebraica.

Una prima sostiene la reale esistenza di questi esseri, ed è profondamente radicata nel Talmud.Ricordiamo a tal proposito l’antologia del Talmud medesimo redatta nel 1931 da Abraham Cohen ( 1887-1957,già rabbino-capo della comunità di Birmingham in Inghilterra),nella traduzione effettuata da Alfredo Toaff edita da Laterza (terza edizione del 2003).L'autore dedica un intero paragrafo all'angeologia ( pagg. 76-89), dove scrive: "Sebbene grande abbondanza di notizie sugli angeli si trovino nell'insegnamento rabbinico,l'angeologia non è creazione di esso.Una corte celeste,con Dio Re e un esercito di ministri intorno a Lui,si trova già descritta nella Bibbia (Cohen cita a proposito I Re 22,19;Isaia 6,1;Giobbe 1,6)".Cohen poi prosegue dicendo che "gli angeli furono creati" e che "da tutti si credeva che gli angeli fossero immortali e non propagassero la loro specie (Gen. R. ,8,11),ma Dio può distruggerne un certo numero,quando si oppongono alla Sua volontà (Sanh., 38 b)".

Nel corso della millenaria storia ebraica, si è però anche sviluppata un’altra concezione, oggi probabilmente maggioritaria, secondo cui gli “angeli” hanno un’esistenza soltanto apparente, in quanto sono manifestazioni teofaniche ovvero, per usare le parole di Rav Elia Benamozegh, “provvidenziali allucinazioni, volute e preordinate da Dio e create apposta perché la obiettività, l’esteriorità, l’autonomia, la impersonalità del Vero fossero dagli uomini apprese come le possono apprendere”.A tal proposito consiglio vivamente la lettura delle pagine 46 e 47 del "Nuovo Commento alla Torah” di Rav Dante Lattes, che delinea magnificamente questa posizione;è proprio per questa dimensione solo apparentemente reale che nel Tanakh troviamo episodi in cui HaShem ed un angelo "si succedono e si sostituiscono l'un l'altro nello stesso racconto" ( parole di Rav Lattes),come nel caso della lotta di Giacobbe in Genesi 32:25-31 così come la stessa è descritta in Osea 12:3-5 ,dove il profeta prima dice che il patriarca ha combattuto con D-o (“Elohim”), e subito dopo afferma che ha combattuto con un "malakh", oppure come accade in Genesi 16:7-13, dove prima leggiamo che fu il "Malakh YH**" a parlare ad Agar, e poi al verso 13 si dice che "Agar chiamò YH**,che le aveva parlato"
amos74
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da amos74 »

Esatto, le "allucinazioni provvidenziali" di cui parla Rav Benamozegh sono appunto le "visioni profetiche" di cui parla Rambam. E' vero che il testo di Genesi 32 usa la parola uomo ("ish"), ma costui poi si autoqualifica come D-o ( "non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele,perché hai combattuto con D-o"), e lo stesso Giacobbe dice di aver visto faccia a faccia "D-o".Sembra appunto una manifestazione teofanica,ed infatti Maimonide interpreta anche questo episodio in chiave di visione profetica.

Ecco l'illuminante esegesi di Rav Lattes su questo brano:

L'episodio è evidentemente allegorico e più che all'individuo Giacobbe si riferisce alla sua discendenza, a quel popolo che si chiamerà il popolo dei figli d'Israele e che dovrà combattere, nella lunga notte della sua storia, contro gli dèi del paganesimo e contro i loro seguaci e che, per quanto ferito, uscirà dalla lotta sempre invitto.

Non è facile spiegare - come accade spesso nei miti e nelle allegorie - tutti i particolari dell'episodio. L'uomo che Giacobbe si trovò improvvisamente di fronte era un angiolo - i dottori del Midrash dicono che era il « genio » di Esaù,- sarò shel Esav-, (perchè ogni popolo ha, secondo la concezione rabbinica, il suo angiolo in Cielo, cioè la sua specifica e immutata individualità nella storia); quell'angiolo era dunque la personificazione delle inimicizie, delle lotte, delle rivalità che per l'uomo giacobbe erano in quel momento rappresentate dal fratello Esaù e che per il popolo d'Israele dovevano incarnarsi prima negli Idumei e al tempo di Erode l'idumeo, nei Romani che, nella terminologia rabbinica, ne ereditarono il nome e i caratteri di fiera ostilità.

Secondo J.H.Hertz (Rav Joseph Herman Hertz,Rabbino Capo del Regno Unito dal 1913 al 1946,n.d.r.) l'episodio rappresenta la crisi della storia spirituale di Gíacobbe: la storia narra cioè il suo incontro coll'essere celeste, il cambiamento del suo nome in quello d'Israel, la benedizione dell'angiolo che aveva lottato con lui e la conseguente trasformazione del suo carattere che, liberatosi dalle cattive e basse passioni, eleva l’anima ai più nobili ideali; (egli non è più Jaaqov, colui che ingannò suo padre e sostituì suo fratello nella primogenitura e nella benedizione, ma è Israel, il campione di D-o, il milite del Signore, il combattente contro le avverse situazioni provocate dalle imponderabili forze della storia, dalle inimicizie teologiche, o dalla malvagità degli uomini e dalle sue proprie passioni).

Bisognerebbe ammettere, secondo la spiegazione data dal dr. J.H. Hertz, che l'angiolo sia l'incarnazione esteríorizzata di quanto c'era di impuro, di immorale, di basso, nello spirito di Giacobbe; ciò che è poco plausibile, perché si tratta di un essere divino, anzi della personificazione di D-o medesimo, d'un angiolo in figura umana con cui - come in altri casi – D-o si scambia e si immedesima: tanto è vero che Giacobbe dice di aver veduto Idd-o coi propri occhi (XXXII, 31), ed una delle interpretazioni date al nome Isràel è- ish raàh el- (l'uomo che- vide D-o). Si potrebbe spiegare l'allegoria, rispettando tutti i simboli e, per dir così, le persone dell'episodio, in questo modo: cioè che fino a quel momento Giacobbe aveva adoperato mezzi poco onesti per ottenere quanto credeva che gli spettasse di diritto, cioè l'astuzia e le vie coperte, e aveva approfittato più delle occasioni propizie che delle sue buone ragioni; ora egli aveva invece combattuto a viso aperto, per quanto fosse solo e fosse stato assalito all'improvviso, come in un'insidia nottuma, da un essere incommensurabilmente più forte di lui e non aveva tratto motivo di orgoglio dalla sua vittoria, ma anzi di profonda umiltà. Sono i due momenti áella sua vita, le due espressioni del suo carattere che il profeta Osea (XII, 4) riassume molto brevemente così: «Nell'alvo materno afferrò il fratello per il calcagno - e colla sua forza combattè contro un essere divino, - combatte coll'angiolo e vinse, - pianse e lo supplicò. – D-o lo trovò a Beth-el, - e là parlo con lui».

Israele deve seguire questo secondo metodo; solo allora la vittoria sarà meritata.

Secondo una leggenda che deriva da antiche fonti della letteratura mistica, l'episodio avrebbe rivestito il carattere e il valore d'una specie di atto di riabilitazione di Giacobbe, sarebbe stato cioè il riconoscimento della sua onestà. L'angelo si sarebbe presentato a Giacobbe sotto le sembianze di Esaù e gli avrebbe detto: «Tu sei un impostore, pechè avevi detto a tuo padre di essere Esaù, il suo primogenito, ciò che era una menzogna». Di fronte a questa accusa, con cui dopo tanti anni egli veniva colpito tornando a casa, Giacobbe si sarebbe difeso, asserendo che quando aveva acquistato la primogenitura egli era diventato di pieno diritto il successore di Esaù. A quest'argomento l'angiolo avrebbe replicato, pronunziando una sentenza di piena assoluzione: «Da ora in poi non ti dovrai più chiamare Giacobbe,- l'impostore- ma Israele, cioè shèar-el, il rimanente di dio di cui parla il profeta Zefaniah (III,13)”. Il rimanente Israele non commette iniquità nè dice menzogne”. Non sarebbe la crisi spirituale di Giacobbe, quale ha voluto scoprirvi il dott. J.H. Hertz, ma la ribellione della sua coscienza, la lotta della sua onestà contro l'accusa d'inganno e d'impostura e contro il dubbio e il rimorso che forse lo mordevano, rivedendo i luoghi della sua giovinezza e preparandosi a incontrare il fratello. Nella notte silenziosa, solo colla sua coscienza, egli aveva vinto la lotta contro il rimorso, ma nelle carni gli erano rimasti i segni dell'aspra battaglia.
amos74
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Re: Giacobbe e gli angeli di Dio

Messaggio da amos74 »

Grande mimymattio!
Questo brano de La Guida dei Perplessi, un'opera grandiosa ed ...impegnativa (ho faticato molto nel leggerla a suo tempo) si sposa a meraviglia con quanto dice Rav Lattes .
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