Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiviso

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Gianni
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Gianni »

Caro Vittorio, abbiamo fatto bene a chiarire i termini.
Circa quella che tu proponi come regola ermeneutica/esegetica N.1 (Nella Bibbia non ci sono tutte le informazioni necessarie per la sua corretta interpretazione, occorre preliminarmente accordarsi su punti fondamentali, usando criteri esterni alla Bibbia stessa, per poter raggiungere risultati condivisi), mi pare contenga una premessa la cui conseguenza porta a una necessità che per forza di cose diventa regola. Mi pare anche che siamo all’impostazione preliminare, senza essere ancora entrati nel merito. Va benissimo. Stiamo procedendo in modo molto logico, un passo alla volta.
Siccome è del tutto condivisibile, perché imprescindibile, che “occorre preliminarmente accordarsi su punti fondamentali”, ti pregherei di esporre tali punti fondamentali, in modo da porre – dopo averli esaminati e accolti - un altro punto fermo per poi procedere.

Riguardo all’uso degli schemi matematici nella Bibbia, credo sia opportuno parlarne quando toccheremo questo argomento. Penso che i numeri abbiamo un loro ruolo delle regole ermeneutiche: si pensi, solo per fare un esempio, al simbolismo del numero 7, che è indubbiamente una chiave di lettura. Ci arriveremo, ma ora mi pare prematuro.

Credo anche che non vadano esagerate le possibilità di lettura di un testo supposto come criptato attraverso il valore numerico delle lettere. A volte nella Bibbia troviamo testi così. Ma occorre essere prudenti. Ad esempio, si prenda la genealogia di Yeshùa presentata in Mt 1:1-11.
La genealogia mattaica è alquanto artificiale, poiché giunge fino ad Abraamo mediante una serie di tre gruppi di quattordici elementi ciascuno, per poi concludere trionfalmente con le parole: “Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni” (1:17). Di solito le “generazioni” di una persona parlano nella Bibbia della sua discendenza. Qui, al contrario, le generazioni non riguardano la posterità di Yeshùa ma piuttosto la sua ascendenza o i suoi antenati. Non si parla di gente venuta da Yeshùa, ma di persone che hanno condotto a Yeshùa. Egli è quindi il coronamento, il fine cui tende tutta la storia biblica del popolo ebraico.
Perché tre serie di quattordici nomi? Secondo alcuni, forse perché il numero 3 in cui si divide la genealogia (3 x 14) vuole indicare che è Dio a preparare la venuta di Yeshùa, essendo il tre un numero divino. Il sette (14 ne è multiplo) indica la totalità: con il messia si è terminato il periodo della preparazione ed è venuto il tempo del nuovo popolo di Dio. Secondo altri, il numero 14 richiama Davide: le lettere del nome דוד (Davìd) danno come somma 14. Anche se questa ipotesi non è sicura (Davìd può anche essere scritto דויד, Dvyd, che darebbe 24), va notato che Mt più di altri esalta l’appellativo “figlio di Davide”. Così le folle in 12:23;21:9,15; la cananea in 15:22; e nei passi paralleli tale epitèto manca. I farisei, alla domanda: “Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?”, essi rispondono: “Di Davide” (Mt 22:42). Anche Giovanni riporta che il messia non doveva venire dalla Galilea, ma da Betlemme e “dalla discendenza di Davide” (Gv 7:41,42). Matteo vorrebbe sottolineare questo fatto sin dall’inizio, proprio con la sua genealogia che inizia con: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo” (1:1). Il richiamo ad Abraamo significa che le benedizioni promesse al patriarca stanno ora avverandosi tramite questo discendente di Davide.

Chi pretende di leggere la Scrittura come se contenesse un secondo testo criptato, esagera. L’ebraico, essendo solo consonantico, si presta a questi giochi, ma non è affatto detto che dietro ci sia la volontà dell’agiografo.
Si può fare una prova con qualsiasi testo in cui indubbiamente non si sono messaggi cifrati. Si prenda una pagina dei Promessi Sposi o della Divina Commedia o perfino di un numero di Topolino. Si trascurino le vocali e si prendano solo le consonanti (italiane, ovviamente); poi, attraverso il loro valore numerico, si trasformino in altre serie di consonanti; a quel punto si aggiungano vocali a piacere. Se ne ricaveranno presunti messaggi nascosti!

Quanto al numero dei libri sacri, tutti concordiamo che quelli ebraici sono 39. Ma sono 39 davvero? Gli ebrei univano alcuni di questi libri e quindi ne avevano solo 22 o 24, ma il materiale era sempre quello. Non bisogna dimenticare che si trattava di rotoli, non di pagine rilegate come nei libri moderni. Comunque, ciò attiene al testo e alla sua trasmissione.

Lasciando da parte la questione del cosiddetto secondo canone per attenerci al canone delle Scritture Ebraiche accolto dagli ebrei (e condiviso da cattolici e protestanti) ed evitando di dare i numeri ;) , inviterei Vittorio a procedere. Siamo sulla strada giusta. :-)
Vittorio
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Vittorio »

Caro Gianni, tu mi chiedi di esporre i punti fondamentali, ma direi che innanzitutto il punto fondamentale è proprio il canone, e capisci che se ci accordassimo su 66 o 73 libri, lasceremmo inevitabilmente fuori dalla possibilità di trovare un metodo condiviso i nostri fratelli ebrei, perché i 27 libri che loro non riconoscono sono proprio quelli che a noi servono per dare il senso a tutto l'insieme.

Quindi siamo ad un dilemma: dobbiamo procedere nella ricerca di un metodo condiviso solo per noi, escludendo gli ebrei?
chelaveritàtrionfi
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da chelaveritàtrionfi »

Caro Armando , un credente non ha bisogno della matematica per credere che la bibbia sia parola di Dio e un non credente nemmeno la matematica lo convincerà che Dio esiste. Riguardo allo studio è interessantissimo per molti, certamente. Però hai ragione. La numerologia è attinente alla discussione in qualche modo. Tutte le relazioni esistenti in funzione di numeri comuni nella bibbia come il 7, l'11 ecc.. non sono una coincidenza. Anzi. Non si tratta di forzature ma di scoperte. Forzature sono le interpretazioni in funzione di una credenza. Forzature possono essere quei risultati ottenuti mediante imbrogli dello studioso. Ma sono tanti gli studi sulla numerologia biblica.
Ho letto della possibilità di poter stabilire il numero esatto dei libri da considerare. Non mi esprimo più di tanto perchè non posso verificare quei calcoli. Certamente non concordo con Vittorio il quale sostiene che non abbiamo tutti gli elementi per interpretare correttamente le scritture essendo che non sappiamo il numero esatto di libri da considerare. Quindi ci dovremmo affidare ad una qualche tradizione (quella cattolica) per la corretta interpretazione.
Vittorio dovrebbe dimostrare , e non può, che quella tradizione presunta rivelatrice della corretta interpretazione sia attendibile più della stessa scrittura. Stando così le cose, facendo questo ragionamento avremmo da una parte una scrittura poco comprensibile perchè mancante di elementi, dall'altra una tradizione di dubbia veridicità. In cosa stiamo credendo allora ? A chiacchiere?
Per me contano i documenti scritti perchè li possa verificare. "Ora i bereani .. accolsero il messaggio con grande entusiasmo e esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se questi insegnamenti erano veri". Atti 17:11 BSB
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Gianni
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Gianni »

Caro Vittorio, pensavo che la questione del canone fosse stata superata. Comunque, va bene. Affrontiamola.

Il canone ebraico annovera 39 libri, l’erroneamente detto Vecchio Testamento.
La Chiesa Cattolica accoglie altri 7 libri, apocrifi, più alcune aggiunte ai libri canonici.
I 27 libri delle Scritture Greche sono accolti da cattolici e protestanti ma non dagli ebrei.

La parola “apocrifo” deriva dal greco απόκρυφος (apòkrüfos): ἀπό (apò) = da; κρύπτω (krǜpto) = nascondere. Indica quindi "ciò che è tenuto nascosto", ma non si deve pensare a chissà quale mistero occultato: il senso è quello di ciò che è tenuto lontano dall'uso. Si tratta dei seguenti libri: 1 Esdra, 2 Esdra, Tobia*, Giuditta*, parti di Ester*, La sapienza di Salomone*, Ecclesiastico*, Baruc*, La lettera di Geremia*, Il cantico dei tre giovani*, La storia di Susanna*, Bel e il dragone*, La preghiera di Azaria*, La preghiera di Manasse, 1 Maccabei*, 2 Maccabei* (l’asterisco* indica i libri accettati dalla Chiesa Cattolica, con il Decreto di Damaso De explanatione fidei, promulgato da papa Damaso I nel 382; nel 1546, al Concilio di Trento; la Chiesa Cattolica Romana confermò così definitivamente l’inclusione di queste aggiunte nel suo catalogo canonico e quindi furono incorporati nella Bibbia cattolica, chiamandoli “deuterocanonici” ossia appartenente ad un secondo canone). Comunque, il Concilio di Trento non accettò tutti gli apocrifi già approvati dal precedente Concilio di Cartagine, ma ne scartò tre: La preghiera di Manasse, 1 Esdra e 2 Esdra.

Tu dici che accogliendo il canone di 66 libri (39 + 27) o di 73 (39 + 27 + 7 apocrifi) lasceremmo inevitabilmente fuori la possibilità di trovare un metodo condiviso con gli ebrei, che non riconoscono né i 27 libri dell’erroneamente detto Nuovo Testamento né i 7 apocrifi.

Credo che per dirimere la questione occorra rispondere prima a questa domanda: per chi accoglie Yeshùa quale Messia, sono le Scritture Ebraiche a far luce sulla comprensione delle Scritture Greche o viceversa?
Sono fermamente convinto che è la Bibbia ebraica a far luce sulle Scritture Greche. Per due ordini di motivi.
Uno semplicemente logico: senza le Scritture Greche la Bibbia ebraica sussiste da sola; senza le Scritture Greche saremmo ancora in attesa del Messia, ma fin lì si può costruire una corretta ermeneutica. Senza le Scritture Ebraiche, quelle Greche raccoglierebbero unicamente la storia di un gruppo di galilei al seguito di un nazareno.
Secondo: per ragioni bibliche. Paolo afferma che “tutto ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza” (Rm 15:4; cfr. 2Tm 3:16); Pietro afferma che abbiamo “la parola profetica più salda” e che facciamo “bene a prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro”. - 2Pt 1:19.
Considerato che le Scritture Greche sono pensate in ebraico, sebbene scritte in greco, le regole interpretative sono le stesse.
L’ermeneutica valida per i 39 libri del canone ebraico è quindi del tutto valida per le Scritture Greche. La non condivisione con gli ebrei non riguarderebbe quindi l’ermeneutica ma solo il canone. E a noi qui interessa l’ermeneutica.

Per ciò che riguarda gli apocrifi, è questione che attiene ai soli cattolici. Se vogliono applicare le regole ermeneutiche che andremo a definire a quello che ritengono un secondo canone oppure costruirsi un’apposita ermeneutica per quei libri, è questione loro.

Pensi di poter accettare questa soluzione?
Vittorio
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Vittorio »

Caro Gianni, credo che la questione sia più complessa di come la poni tu, infatti il tuo metodo potrebbe essere applicabile ad ogni singolo libro preso singolarmente. Ad esempio, noi potremmo applicare la tua ermeneutica a Genesi, sul quale siamo tutti d’accordo, per tutte e tre le confessioni religiose è un libro canonico, ed otterremmo certi risultati, ma così facendo perderemmo la visione d’insieme, che è fondamentale per comprendere il tutto. E’ quello che viene fatto con il metodo storico-critico: si spezza la Bibbia in libri, ed a loro volta i libri vengono spezzati in unità letterarie, e per ogni unità si cerca il significato che l’autore voleva dare nel suo tempo. Per fare questa operazione non serve nessuna fede, può farla anche un ateo. Infatti l’ateo dirà che l’autore credeva nel suo dio, uno come tanti delle culture antiche, ed esprimeva la sua fede in quei testi, comunicando il messaggio agli uomini di allora, utilizzando diversi generi letterari: il racconto, la poesia, la narrazione storica, ecc. Ma questo tipo di metodo non ci serve a nulla, serve solo agli studiosi, non di certo a noi che attraverso le Scritture cerchiamo una guida per la nostra vita. Infatti sapere cosa l’autore del testo voleva comunicare allora non ci dice nulla su quello che Dio vuole comunicare a noi oggi.
Pensa, ad esempio, al caso di Pietro citato in Atti 2,25-28:
 
“Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,
e anche la mia carne riposerà nella speranza,
perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi
né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto conoscere le vie della vita,
mi colmerai di gioia con la tua presenza.”
 
L’autore del Salmo 16  citato da Pietro (tra l’altro in versione non corretta) non aveva di certo in mente Gesù di Nazaret, ma parlava di un uomo che non avrebbe visto la corruzione.
Soltanto dopo la Risurrezione gli apostoli sono in grado di rileggere le Scritture e di capirle alla luce delle loro esperienze, del loro incontro con il Risorto. Chi non accetta questo incontro, come gli ebrei oggi, leggerà in modo completamente diverso le scritture antiche, non condividendo le nostre conclusioni.
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Gianni
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Gianni »

Caro Vittorio, non parlare di “mia” ermeneutica. Questa discussione è per cercare metodi ermeneutici condivisi.
Attendo le tue proposte che salvaguardino la visione biblica d’insieme. O pensi che una strada non ci sia?
Vittorio
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

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Caro Gianni, il discorso di Pietro in Atti 2,25-27 è molto significativo ai nostri fini. Pietro cita il Salmo 16, ma non nella versione originale ebraica, bensì in quella greca dei LXX. In particolare il verso 10 del salmo: "né lascerai che il tuo fedele veda la fossa," nella citazione di Pietro diventa: "né permetterai che il tuo santo subisca la corruzione". Pietro altera il testo originale ebraico per esprimere il kerigma, l'annuncio del Cristo Risorto, egli vuole evidenziare il fatto che il corpo di Gesù non ha subito la corruzione, e non semplicemente che non ha visto la fossa, gli inferi, perché in effetti Gesù ha visto la fossa, è andato nel regno dei morti.
Immagina se oggi il Papa facesse come il suo predecessore, tutti griderebbero allo scandalo e direbbero che il Papa altera la Parola di Dio. Invece in quel caso non si scandalizza nessuno, anzi il discorso di Pietro ha molto successo: "Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone". (At 2,41)
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Gianni »

Caro Vittorio, il tuo ultimo intervento mi lascia perplesso per diversi motivi.

Tu apri una discussione alla ricerca di metodi ermeneutici, poni delle premesse e poi sollevi la questione del canone. Io ti seguo fin qui, accolgo le tue premesse e poi ti chiedo di proporre come risolvere concordemente la questione del canone. Per tutta risposta tu ti metti ad applicare l’ermeneutica su un passo biblico preciso. Non mi pare molto logico.

Diciamo allora, per salvare la logica, che tu hai voluto fare un esempio delle difficoltà di individuare un metodo ermeneutico condiviso. Ma pur così, fai un altro salto di logica, perché non ti limiti a fare un esempio ponendo domande ma dai pure la soluzione, applicando di fatto una certa ermeneutica.

Che dovrei fare io adesso? Cercare di riportare la discussione in carreggiata o seguirti fuori dal percorso che stavamo seguendo? Farò ambedue le cose.

Iniziamo vedendo il testo. In At 2:27 Pietro cita Sl 16:10. Cita dalla versione greca della LXX, in cui il passo corrisponde a Sl 15:10. Ciò è perfettamente conforme all’uso del Tanàch nel primo secolo, in quanto la versione biblica in uso era proprio la LXX.
Tu dici che “Pietro altera il testo originale ebraico”. E qui fai un’affermazione molto grave perché falsa. Infatti, tu stesso riconosci poco prima che Pietro usava la LXX. Pietro legge dalla LXX esattamente come sta scritto. Non altera nulla. Casomai, quindi, dovrebbe essere stata la LXX ad alterare il testo ebraico. Ma siamo sicuri che sia così? Proprio per niente.

Prima di esaminare la parola incriminata (quella che dovrebbe risultare alterata), ti faccio notare che la LXX fu tradotta da ebrei di alcuni secoli prima di Yeshùa. Essi non avevano alcuna ragione per alterare quel passo, per il semplice fatto che non era oggetto né di polemiche né di applicazioni. Il primo che ne fece una certa applicazione fu infatti Pietro.

La traduzione del testo ebraico di Sl 16:10 nel greco della LXX (in cui corrisponde a Sl 15:10) è del tutto conforme al testo ebraico. C’è un’unica parola che può essere oggetto di discussione: διαφθορά (diafthorà), “corruzione”. Questo vocabolo fu scelto dai traduttori ebrei della LXX per rendere il vocabolo ebraico שָׁחַת (shàkhat). Che cosa significa shàkhat? Significa sia “fossa” che “corruzione”. In Sl 35:7 significa “fossa”: “Senza motivo, m'hanno teso di nascosto la loro rete, senza motivo hanno scavato una fossa [שָׁחַת (shàkhat)] per togliermi la vita”. In Gb 17:14 indica la “corruzione”, sebbene i traduttori traducano “sepolcro”: “Alla שָׁחַת [shàkhat] dico: ‘Tu sei mio padre’, e ai vermi: ‘Siete mia madre e mia sorella’”; qui shàkhat è in parallelo a “vermi”. (Tra parentesi, ecco una regola ermeneutica: il parallelismo sinonimo è un mezzo per definire il senso esatto dei vocaboli); chi parla è Giobbe colpito “con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo” (Gb 2:7, CEI): del tutto malmesso ma vivo, per cui fa riferimento alla “corruzione” della sua carne e ai “vermi”.
A dimostrazione che sia in Gb 17:14 quanto in Sl 16:10 il termine ebraico שָׁחַת (shàkhat) significa “corruzione” c’è l’autorevolissimo Analytical Hebrew and Chaldee Lexicon (pag. 710) che cita ambedue i passi dando a שָׁחַת (shàkhat) il significato di “corruption / putridity”.
La stessa LXX è testimone del senso che va dato a שָׁחַת (shàkhat), e i suoi traduttori ebrei non alterarono nulla. Tantomeno Pietro.
La LXX greca accoglie per שָׁחַת (shàkhat) il significato di “corruzione”: διαφθοράν (diafthoràn). Inoltre, si noti che qui nel salmo la parola שָׁחַת (shàkhat) è congiunta con il verbo “vedere”: “Non permetterai che il tuo leale veda שָׁחַת [shàkhat]” (TNM con inserimento della parola ebraica). Occorre quindi, come fa la LXX, attribuirle il senso di “corruzione”. Se si trattasse di “tomba” il verbo usato sarebbe “scendere”. Ma l’ebraico usa proprio לִרְאֹות (liròt), “vedere”.

Gli apostoli Pietro e Paolo intendono שָׁחַת (shàkhat) come “corruzione”. Pietro, citando il salmo, dice: “Davide dice di lui: ‘Avevo di continuo Geova dinanzi agli occhi; poiché egli è alla mia destra, affinché io non sia mai scosso. Per questo il mio cuore si è rallegrato e la mia lingua ha giubilato. Inoltre, anche la mia carne risiederà nella speranza; poiché non lascerai la mia anima nell’Ades, né permetterai che il tuo leale veda la corruzione” (At 2:25-27, TNM). E Paolo conferma: “In un altro salmo dice: ‘Non permetterai che il tuo leale veda la corruzione” (At 13:35, TNM). Ciò che il salmista intende dire – usando uno stile da poeta - è che già si vede morto e pone in Dio la sua fiducia perché sia liberato dalla morte che inevitabilmente gli procurerà la corruzione del corpo. Egli ha fede nella resurrezione. Lo stesso libro di Atti intende così perché vede preannunciata nel salmo la resurrezione di Yeshùa e la sua liberazione dalla tomba e dalla corruzione. La via della vita, cui il poeta aspira, è la vita imperitura e incorruttibile. “Il sentiero della vita è diretto verso l’alto per chi agisce con perspicacia, per allontanare dallo Sceol di sotto”. - Pr 15:24, TNM.

Ora, rimettendo la discussione in carreggiata per tornare a parlare di ermeneutica, in At 2:27 si ha quella che nell’ermeneutica è chiamata ACCOMODAZIONE BIBLICA. Si tratta di un’applicazione che nella Bibbia viene fatta a persone o cose completamente diverse da quelle che l’autore ispirato intendeva. La somiglianza reale è presa a prestito per significare altro. Esempi: Melchisedec era “re di Salem . . . era sacerdote del Dio altissimo” (Gn 14:18) al tempo di Abraamo. Di lui non sappiamo altro: la Bibbia tace i particolari della sua vita. Lo scrittore di Eb assume questa mancanza d’informazioni anagrafiche per dedurne che egli era “senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fin di vita”, che “rimane sacerdote in eterno” (Eb 7:3); l’agiografo lo vede “simile quindi al Figlio di Dio” (Ibidem). Questa non è una sua opinione: lo scrittore era ispirato, in più c’è l’appoggio biblico di Sl 110:4: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: ‘Tu sei Sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedec’”.
L’accomodazione biblica è appunto biblica ovvero fatta dalla Bibbia stessa. È sbagliato farla di propria iniziativa. Così, ad esempio, voler vedere nello schiavo di una semplice parabola (Mt 24:45) un particolare pastore di chiesa o un gruppo specifico di persone che soprintendono a un’opera religiosa, è molto scorretto, oltre che antiscritturale.

Il Salmo 16 è un salmo regale messianico. Pietro fa un’accomodazione biblica. Era una pratica normale presso gli ebrei. Lo stesso Yeshùa la usò, proprio con un salmo: “Egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: ‘Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi’? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?»”. - Mt 22:43-45.

Il Sl 16 è riferito a Yeshùa in senso tipico. Il salmista, in ogni parte del salmo parla solo a suo proprio nome. È Davide e solo lui che parla. È Davide che pone il suo unico bene in Dio e si allontana da coloro che offrono i loro omaggi alle false divinità. È sempre Davide che, esultante di gioia per il possesso della sua terra, gode di una profonda pace che si ripercuote nel suo stesso corpo che vive in sicurezza. Quello che desidera è che la sua felicità non finisca mai e ha fiducia che Dio non lo abbandonerà nella tomba in preda alla corruzione. Come farà Dio a realizzare questo suo desiderio? Il salmista non si turba pensando a come ciò potrebbe avvenire. Non manifesta neppure alcun presentimento di resurrezione. Ma sa e dice che il suo Dio saprà ben mostrargli il cammino della vita, di quella vita in cui le delizie della compagnia del Signore non avranno mai fine. Se non pensava alla resurrezione come unico mezzo perché gli fosse assicurata la felicità eterna, è tuttavia certo che essa era necessaria per realizzare il suo desiderio. Ma la fede del salmista va oltre: saprà Dio come fare. Nella Scrittura si trovano non pochi esempi di questo stato d’animo in cui il credente tocca una realtà che egli attende con certezza di fede anche se ignora in che modo si potrà attuare.
I sentimenti del salmista sono, sotto questo aspetto, tipo dei sentimenti simili del messia. E la resurrezione? Anche se il salmista non ne parla, essa si imponeva per la realizzazione dei suoi desideri. Il concetto di resurrezione era implicitamente e oscuramente incluso nel salmo. Gli apostoli di Yeshùa fecero di questo tratto appena accennato una dottrina rilevante. Il fatto è che il desiderio di Davide si realizzerà in futuro. Questo è certo. E come certezza di ciò la resurrezione di Yeshùa è una “caparra”.

Sul papa presunto successore di Pietro, risparmiaci, per favore. Pietro non era affatto il regnante di uno stato. Non era neppure capo della prima chiesa. E non ebbe successori.
Vittorio
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Vittorio »

Caro Gianni, ti ringrazio per la tua consueta precisione filologica, io non conosco né il greco, né l’ebraico, quindi è giusto e utile tu faccia delle puntualizzazioni sulle mie citazioni, ma quello che volevo sottolineare è un'altra cosa: è quantomeno strano che un ebreo per parlare ad altri ebrei a Gerusalemme non usi la versione ebraica della Scrittura, ma quella greca. Noi non sappiamo nemmeno se il discorso di Pietro sia storico, e non entro nel merito di tale questione, il mio intento era porre l’attenzione sul fatto che già allora gli ebrei convertiti al cristianesimo non erano legati agli originali, ma si servivano di traduzioni per far comprendere meglio il messaggio. In questo senso sta “alterando” la Scrittura. Per sostenere le sue affermazioni Pietro sta usando una versione non originale della Bibbia, e questo per gli ebrei è senz’altro una grave alterazione. Se io nel citarti lo stesso salmo, usassi la LXX, tu cosa diresti? Il loro metodo ermeneutico era diverso dal nostro, Pietro cita la Scrittura in versione non originale reinterpretandola ed applicandola a Gesù, della cui risurrezione era stato testimone: lo aveva visto, incontrato dopo la risurrezione. Alla luce di quel fatto egli reinterpreta la Scrittura, che prima evidentemente non capiva.
Questo mi serve per tornare al nostro discorso, e rispondere alla tua domanda: se un ebreo non accetta l’incontro con Gesù Risorto, non è possibile per lui interpretare le Scritture come le intendiamo noi, non gli è possibile accettare il nostro canone. Occorre innanzitutto una fede, la fede nel Risorto, come Pietro aveva avuto, per capire, altrimenti quella strada rimarrà preclusa, e rimane tuttora preclusa per gli ebrei.
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Re: Interpretare la Bibbia, alla ricerca di un metodo condiv

Messaggio da Gianni »

Caro Vittorio, approfittando del fatto che accetti le mie precisazioni, vorrei intanto specificare che la tua espressione “ebrei convertiti al cristianesimo”, contiene due inesattezze.
La prima è che non si può affatto parlare di conversione degli ebrei. Essi adoravano già l’unico vero Dio. A chi mai avrebbero dovuto convertirsi? Allo stesso modo è una falsità parlare di “conversione di San Paolo”, come si usa fare. Shaùl di Tarso rimase sempre fedele al Dio d’Israele. Dovremmo dire, più correttamente, che quegli ebrei e Paolo accettarono Yeshùa quale Messia. Furono i gentili a doversi convertire, non gli ebrei.
Il secondo errore è storico: “cristianesimo”, che non è una bella parola, designa la religione sorta dall’apostasia della prima chiesa nel secondo secolo.

Riguardo alla LXX, non puoi dire che la usassero “per far comprendere meglio il messaggio”.
Le parole di Pietro che abbiamo esaminato fanno parte del suo discorso alla Pentecoste. A Gerusalemme erano giunti molti ebrei e proseliti dall’Asia, dall’Egitto, dalla Libia, da Roma e da Creta (At 2:9-11), tutte zone in cui si parlava il greco. Era giocoforza che leggessero la Bibbia nella versione greca della Settanta.
Tieni anche conto che per gli ebrei nati durante l’esilio babilonese l’ebraico divenne una lingua secondaria. A Babilonia gli ebrei (giudei, per essere più precisi) iniziarono a parlare l’aramaico. Lingua che si inserì anche in alcuni brani biblici, tutti postesilici. Al tempo apostolico di certo i sapienti di Israele conoscevano l’ebraico, ma il popolo?

Non puoi quindi assolutamente dire che “per sostenere le sue affermazioni Pietro sta usando una versione non originale della Bibbia, e questo per gli ebrei è senz’altro una grave alterazione”.
I presenti (“Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia cirenaica e pellegrini romani, tanto Giudei che proseliti, Cretesi e Arabi” – At 2:9-11) non avrebbero capito l’ebraico. Ammesso che Pietro lo conoscesse!

Mi domandi ‘nel citarmi tu lo stesso salmo, se tu usassi la LXX, io cosa direi’. Che risposta dovrei darti? Se fossi stato presente con Pietro e fossi stato uno di quegli ebrei, direi grazie, perché diversamente non avrei capito. Piuttosto, tu cosa diresti se ti citassi quel salmo in ebraico originale? Non capiresti. Infatti ti avvali di una traduzione in italiano.

La tua dichiarazione che “il loro metodo ermeneutico era diverso dal nostro” mi pare molto grave, perché basata su premesse del tutto errate e soprattutto perché inserisci le traduzioni nel metodo ermeneutico! È dalla Bibbia stessa e solo dalla Bibbia che occorre ricavare una corretta ermeneutica.

Ultima considerazione, su questa tua affermazione: “Se un ebreo non accetta l’incontro con Gesù Risorto, non è possibile per lui interpretare le Scritture come le intendiamo noi”.
Ma tu, Vittorio, cosa intendi fare? Costituire un comitato ecumenico interreligioso? Io non ci penso neppure! Perché ti preoccupi degli ebrei?
Dio sa badare al suo popolo. Ci pensa lui al suo popolo.

“Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! Perché anch'io sono israelita, della discendenza di Abraamo, della tribù di Beniamino. Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha preconosciuto”. – Rm 11:1.2.
“Per quanto concerne il vangelo, essi sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l'elezione, sono amati a causa dei loro padri; perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili”. - Rm 11:28,29
“Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? Qual è l'utilità della circoncisione? Grande in ogni senso. Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di Dio. Che vuol dire infatti se alcuni sono stati increduli? La loro incredulità annullerà la fedeltà di Dio? No di certo!”. - Rm 3:1.

Preoccupiamo di noi stessi, “stranieri di nascita”, “esclusi dalla cittadinanza d'Israele ed estranei ai patti della promessa”. - Ef 2:11,12.
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