“Dio era la parola”

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Gianni
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da Gianni »

Grazie, Naza, per la tua chiara e sintetica esposizione. Hai ripercorso ben 8 secoli di storia del lògos, da Omero a Giovanni, passando per la filosofia. Hai elencato tutti i sensi che assunse il termine greco. Ne hai dimenticato solo uno: lògos come “conto” in senso contabile (computo, calcolo). Questo aspetto di lògos, che può stupire, lo troviamo anche nella Bibbia. Nelle versioni di At 20:24 è ben difficile scorgere il termine lògos dietro le diverse traduzioni. Va comunque detto che tale senso non lo troviamo in Gv 1:1, per cui possiamo tralasciarlo.

Tu rilevi che “per i libri sapienziali il logos è personificazione (come se fosse una persona ma non è una persona) della sapienza”, e citi tra l’altro Pr 8 e Gb 28. Ma siamo sicuri che qui “il logos è personificazione della sapienza”? So benissimo che molti esegeti la vedono così, ma - a ben vedere - in Pr 8 è una donna a impersonare la sapienza. Ai vv. 22-25 la sapienza dice di essere stata partorita prima della creazione e al v. 27 dice si essere stata accanto a Dio mentre Lui predisponeva i cieli, come fosse un’artefice (v. 30). È ovvio che siamo di fronte ad una allegoria, ma la sapienza non va confusa con il lògos. Oltretutto, il davàr (דָבָר), “parola”, in ebraico è maschile (come il lògos greco), mentre la khochmàh (חָכְמָה), “sapienza”, in ebraico è femminile (come la sofìa greca).

Anche in Gv 1:1-3 il lògos mantiene la concretezza della parola parlata. Il lògos non è mai nella Bibbia un’entità a sé stante. La parola-lògos rimanda sempre a chi la dice. L’essenza della parola non consiste nel vocabolo come tale, ma nel rapporto concreto con chi parla.

Ho delle perplessità quando dici che il termine lògos assume nuovi significati incontrando la cultura semitica. Prima di tutto, la cultura greca non fu mai minimamente influenzata dalla cultura semitica, men che mai da quella ebraica (non dimenticare come l’ebreo Paolo fu trattato ad Atene dai filosofi greci: come un ciarlatano). Quanto alla cultura, avvenne invece esattamente il contrario. Si pensi alla filosofia. Gli ebrei, molto concreti, non amavano affatto ragionare in astratto. Vedi, ad esempio, il caso della sapienza di Pr 8: i greci scrissero interi trattati sulla sofìa; per gli ebrei, molto più pratici, era una donna (nota la concretizzazione) che agiva, esortava, invitava. Fu con la conquista della Palestina da parte di Alessandro Magno che gli ebrei vennero in contatto con la filosofia greca. Novità assoluta per loro, ne furono affascinati. E l’ebraismo vi rivestì di una veste ellenica.
Manteniamoci però sul lògos giovanneo.

In merito a Gv 1:1 hai colto il punto chiave, Naza: Giovanni fa riferimento alla LXX, che era la versione della Bibbia ebraica usata dalla prima chiesa. Egli si richiama a Gn 1:1 usando la stessa identica espressione (ἐν ἀρχῇ).

Riguardo a pròs (πρὸς) hai citato vocabolario e grammatica, da cui non si può prescindere, ma non possiamo fermarci lì. La traduzione “presso” ha l’appoggio di Girolamo che lo tradusse col latino apud.
Se ci atteniamo alla grammatica greca, πρός (pròs) + accusativo (che è la costruzione nel nostro passo) può indicare:
- Determinazione di direzione: “verso” (esempio: “verso casa”);
- Approssimazione temporale: “verso” (esempio: “verso sera”);
- Determinazione di confronto: “in confronto a” (esempio: “in confronto [πρὸς] al padre”);
- Per indicare conformità o modo (esempio: “secondo [πρὸς] le forze”).
Quale di questi quattro sensi dare al πρός (pròs) + accusativo dell’incipit giovanneo?
Possiamo sicuramente escludere l’approssimazione temporale; sebbene la pericope inizi con “in principio”, il lògos non denota alcuna indicazione di tempo. La determinazione di confronto (“in confronto a”) richiederebbe qualcosa in più che un semplice “era”. Se facciamo l’esempio “in confronto [πρὸς] al padre”, possiamo anche dire “in confronto [πρὸς] al padre era”, ma poi ci si aspetta un seguito, come “era più alto” o “era più intelligente” oppure “era calmo”. Nel nostro passo manca il termine di confronto. Rimangono quindi due possibilità:
- Determinazione di direzione: “verso” (esempio: “verso casa”);
- Indicazione di conformità o modo (esempio: “secondo [πρὸς] le forze”).
La prima è scelta dall’interlineare curata da P. Beretta delle Edizioni San Paolo. La seconda dall’interlineare di Armando Vianello, che traduce il pròs con “conforme”. Nel primo caso avremmo che la parola era rivolta verso Dio, nel secondo che era conforme a Dio. Per il momento possiamo osservare che se accettiamo il primo, la parola sarebbe un’entità a sé stante rivolta verso Dio; nel secondo sarebbe qualcosa di conforme a Dio. Dobbiamo quindi proseguire la nostra indagine.

Caro Naza, avevi iniziato dicendo: “Mizzica Gianni... mi devi fare impegnare”. Ora hai visto quanto. E abbiamo solamente posto le basi minime. ;)
stella
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da stella »

Mistica Gianni ...mistica Naza , ;) Mizzica volevo dire ,ma da qui partono strafalcioni ... :ymblushing: ..la bibbia allora e stata scritta per i filosofi?...
No magari scritta da filosofi ,ma nn on per i filosofi ..
La bibbia è parola di Dio ,la filosofia e cosa umana :-??

Mi sembra che solo nel nuovo testamento ,ce il problema della filosofia umana ,nel V.T. non vedo filosofia ...
O meglio nella genesi ...nessuno discute di filosofia ...
:-??
Okei ...io sono sempre mercoledì in mezzo alla settimana ... :ymblushing:
Ma finché posso dire la mia ...la dico, . E mo dobbiamo studiare. Greco e filosofia per comprendere la parola di Dio?? :-)
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Gianni
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da Gianni »

Stella, certo che puoi dire la tua! Ma dilla giusta. Cosa mai c'entra la filosofia in Gv 1:1?!
stella
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da stella »

Buon giorno Gianni ... :-)

Come faccio a dirla giusta ,,voi andate sulla filosofia .. :-( ...il greco ...

Il vostro parlare (( scrivere ;) )) e filosofo ....come i greci ...
Volevo dire che se nel V.T. ci si attiene al pensiero ebraico ,nel nuovo non si capisce più a quale pensiero ebraico greco ..ecc..ecc..

Perché allora sarebbe incomprensibile un versetto così semplice ,? ...

Gianni mi sto zitta ,mi limito a seguirvi :-) ...altrimenti entro in un labirinto ...
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Maria Grazia Lazzara
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da Maria Grazia Lazzara »

Buon giorno a tutti , vorrei condividere con voi ciò che ho letto dalla Treccani enciclopedia :
Logos , voce greca λόγος , il cui significato oscilla tra ragione , discorso, ( interiore ed esteriore ) pensiero e parola due significati che tuttavia si raccolgono in uno : il primo è infatti come un discorrere interiore secondo ragione , la seconda è l'espressione o manifestazione del pensiero che in questo esprimersi si concreta .

Nella sua forma originaria il logos torna nello stoicismo a significare la divina ragione , questo anima il mondo è lo dirige verso il suo perfetto destino ( ( λόγος σπερματικός , lago spermatico , seminale , cioè generatore della realtà )

Targum , il concetto di logos anche nei targum ( traduzioni aramaiche della Bibbia ebraica ) il termine memra ( aramaico per parola ) è spesso usato al posto di " il Signore "

Questa interessante lettura mi porta a confermare la mia opinione che la parola non è una persona a sè in Giov 1:1

Tornando alla frase : " In principio era la parola e la parola era verso Di ( conforme a Dio , assimilabile a Dio ) .

La parola denota una parte componente di Dio , parte costituente da pensiero ragione manifestazione . Che ne pensate ?
chelaveritàtrionfi
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da chelaveritàtrionfi »

Caro Gianni, ho riportato “sottilmente” anche tracce riguardanti una spiegazione opposta. Anche dai commenti che leggo (vedi Stella), riguardo alla comprensione del testo, occorre considerare che soprattutto il vangelo di Giovanni è molto complesso da comprendere senza un percorso nelle scritture più antiche, un lungo cammino previo (suggeriscono alcuni esegeti teologi) perché carico di allusioni. Non un vangelo filosofico ma sicuramente allegorico e non scritto per essere compreso da tutti, specialmente in un ambiente dove la “conoscenza” veniva trasferita (in parte) da maestro a discepolo.

Per l’analisi di ogni passo, come in altri casi, il testo di riferimento pare essere appunto la LXX. Molti studiosi sostengono che questo vangelo sia polemico contro gli eretici gnostici ma anche verso i seguaci del Battista (secondo alcuni studiosi, come esegeti della Università di Oxford) poiché quest’ultimo viene presentato come colui che annuncia la luce ecc..

Occorre anche considerare chi sia la penna, chi il pensiero, chi i destinatari ecc..

Il pensiero iniziale è quello di Giovanni figlio di Zebedeo. Questo pensiero ha attraversato la Palestina finendo all’estero, per esempio in Egitto. E’ stato ritrovato (credo all’inizio del XX secolo da due ricercatori), un papiro risalente all’inizio del II secolo (120-130 E.V.) in cui vi erano impressi dei capitoli (18-31,33, 37,38) del vangelo di Giovanni (papiro di Rylands o papiro 52) - in questo caso trattasi di un testo scritto circolante in Egitto. Riguardo alla penna (lo scrittore), molti studiosi ritengono che sia un discepolo di Giovanni che, molto probabilmente, non era un Palestinese e non aveva vissuto l’esperienza del pescatore figlio di Zebedeo. Possiamo dire che la parola orale di Giovanni attraversò la Palestina arrivando all’estero, dove si stavano formando le prime chiese ed è qui che questa parola incontra lo scrittore del vangelo, probabilmente lungo le coste dell’Asia Minore. Possiamo quindi chiamare costui Giovanni l’Evangelista, il discepolo che ha scritto, che ha messo per iscritto il pensiero di Giovanni il pescatore figlio di Zebedeo, uno scrittore che aveva una cultura assorbita all’interno di queste città culturali. L'autore del testo si nasconde forse dietro l’idea, dietro al "nome" del proprietario effettivo del pensiero, ma in ogni caso le espressioni utilizzate rimarcano quelle note della cultura greca circolanti tra i grandi letterati dell’epoca dove erano ben conosciute le filosofie aristoletiche, platoniche ecc.. Sul lògos considererei comunque la visione di Eraclito seppur il senso del tutto credo sia diverso rispetto all’utilizzo comune e letterario dei termini utilizzati. Secondo Ireneo di Lione lo scrittore è Giovanni figlio di Zebedeo. Papia di Gerapoli, parla di Giovanni apostolo ma anche di un Giovanni il presbitero (l’anziano), personaggio diverso dal primo. Le lettere di Giovanni sono anche lasciate da un presbitero e vengono utilizzati termini come “figli”, così come fa Paolo nei confronti di Timoteo che poi a sua volta insegna ciò che ha appreso. Anche per Apocalisse vale la stessa cosa in tema di autori.

Riguardo ai destinatari non credo che siano Giudei per via di alcuni elementi. Per esempio, l’autore fa una specifica sul significato di Messia: “Io so che il Messia (che è chiamato Cristo) deve venire; (GV 4:25)”.

Infine, forse, la cosa più importante è la struttura dell’opera che non messa a caso, così come i segni. Sono uscito un po' fuori dal tema specifico Gv 1:1 semplicemente perché prima di analizzare qualsiasi passo, come già scritto, occorre considerare tutte queste cose e quindi anche il passo in questione. Conoscere le filosofie greche sul lògos può anche aiutare a comprenderne la distinzione ed un probabile senso diverso. Queste sono questioni accademiche ed è ovvio che non sono alla portata del semplice lettore che crede di capire leggendo una traduzione. Tuttavia, anche così facendo, con molta attenzione, anche solo dalla traduzione si possono intuire tantissimi elementi basilari lettura dopo lettura, meditazione dopo meditazione e soprattutto cercando di spogliarsi dai condizionamenti esterni.
Ecco perchè è giusto che ognuno dica anche la sua, ma tenendo conto di tutto ciò

Per me contano i documenti scritti perchè li possa verificare. "Ora i bereani .. accolsero il messaggio con grande entusiasmo e esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se questi insegnamenti erano veri". Atti 17:11 BSB
AEnim

Re: “Dio era la parola”

Messaggio da AEnim »

Esistono antichi miti indiani secondo i quali la parola, il linguaggio, sono una divinità, "un" dio (non è corretto come ho scritto, sono divinità, e non sono il Brahman, quindi non sono dio, sono devata), tanto che tale divinità possiede anche delle forme (più d'una) con le quali viene raffigurata, ed anche diversi nomi.
Quale è l'idea retrostante?
L'idea retrostante è che la parola, ovvero il linguaggio, conforma il pensiero, e senza di essa all'uomo non sarebbe possibile veramente pensare, e quindi ragionare. Una cosa, dicono gli antichi linguisti indiani, non può essere pensata se non ha almeno un nome (nama e rupa, nome e forma sono due fondamentali).
Questo è il primo item di una articolata sequenza di ragionamenti che approda al fatto che dunque la parola è creatrice di mondi, che non sono il mondo fisico che consciamo, ma strutturazioni mentali effettuate da parte dell'uomo del materiale percebile e percepito, cosa che l'uomo può fare solo grazie al linguaggio.
E' curioso come in questo filone indiano ritroviamo ad esempio cose identiche a quelle che troviamo nell'ebraismo e nell'islam su cose che sono scritte in cielo prima dell'inizio dei tempi e di realizzarsi in terra, troviamo concetti di lingua se non sacra comunque 'riservata' a qualcosa, e narrazioni simili a quelle riservate alle lettere ebraiche.

In diverse civiltà sembra che l'uomo fosse consapevole, percepisse, il passaggio di qualità della sua esistenza derivante da momenti cruciali come l'acquisizione del linguaggio e le successive strutturazioni che questo comportava, ed in seguito l'acquisizione della scrittura, al punto di 'divinizzare', 'deificare', queste cose (addirittura divinizzare qualcosa perchè è scritto a discapito del c.d. testo orale).

Da quando ho scoperto che idee che io ho conosciuto come indiane siano fortemente presenti, a volte quasi del tutto identiche, pure nell'ebraismo, quando leggo il primo capitolo di bereshit non percepisco più che si intenda parlare della creazione del mondo fisico, ma di un particolare mondo, ovvero di una particolare strutturazione percettiva.

Temo mi abbiano condizionato i cabbalisti, perchè qualcuno mi ha fatto notare che prob. certe idee risultano entrare nell'ebraismo in epoca medioevale, almeno se la guardiamo secondo la prospettiva storica alla occidentale (che mi dà problemi perchè qualcosa non è esistito se non lo trovi, e magari invece è solo sepolto, tu non lo trovi, ma è esistito). Fattostà che con le loro parole essi sono riusciti a strutturare il mio campo percettivo in modo tale che quando leggo il primo capitolo di Bereshit io veda un certo mondo. Le parole (e le forme, aggiungo io) creano questa possibilità nella mia mente.

E' come se si avesse una stanza vuota e - che sò - una ventina di oggetti (di 'percepibili' o 'percepiti') diversi: a seconda di come essi vengono 'strutturati', cioè organizzati, all'interno della stanza, possono costituire un gran numero di ambienti (mondi) anche molto diversi fra loro. Questa organizzazione, questa architettura, la compie il pensiero attraverso la parola (il dar nome alle cose) così distinguendole secondo la loro forma, assegnando loro una funzione o significato, disponendole.

Da questo punto di vista è interessante il fatto che - voi sapete che alcuni passi del TaNaKh hanno la possibilità di essere letti in più modi - l'incipit di bereshit, anzichè essere letto "bereshit bara elohim et ha eretz ve et ha shammaim" può essere tranquillamente letto "be rosh itberà elohim et/ata (qui non so, questa particella non mi è ancora chiara) hashammaim ve et/ata haeretz".
be, nel, rosh, capo, nel senso di inizio o testa, e allora, se capo in senso di testa, quindi mente/pensiero (e allora anche qualcosa di simile a saggezza, nel testo aramaico si trova behukema, che traducono saggezza).
Itberà pare un riflessivo, quindi qualcosa che succede riflessivamente ... sembra quasi che quella mente stia creando se stessa oltre che un ambiente esterno.

Come io leggo ciò: in un certo luogo/tempo che è sia rosh che reshit (inizio/capo-germe/seme), capace evidentemente di produrre tale fenomeno, prima di tutto avvenne una processo di 'distinzione' (bara) anche in senso riflessivo (distinguo me da altro da me) fra determinati elementi facendo passare questi da una condizione di tohu ve vohu ve oshekh ad una condizione di haEretz e haShammaim.
Io nella mia mente comincio a distinguere: tu sei cielo, tu sei terra, io sono io, ed in questo processo esco dall'informità e le cose vengon alla luce, me compreso.
Ha, in verità, poca importanza stabilire se ciò avvenga nella mente di chi.
Sta di fatto che D-o porta ad Adamo tutte le cose e in pratica gli dice: dagli un nome!

Peccato che non conoscendo l'ebraico non riesco a procedere oltre in questa riflessione (n.b. mi manca la parola, in questo caso i campi semantici per cui non so come andare avanti e sviluppare tutto quello che si può far sviluppare a queste prime parole di Bereshit, o forse no, è la grammatica che mi manca e ristrutturando le prime parole non sono più capace di proseguire oltre un tot).

Alla prima impressione non mi sembra che abbia grande importanza distinguere se tale processo avvenga (itberà riflessivo) dove o in chi, mente di D-o e/o mente dell'uomo. Essendoci qui solo Elohim e non il nome, potrei pensare che sia riferito ad entrambi.

Elohim è una parola che può essere riferita a uomini(persone), a malakim, a consessi (p.e. il Bet-Din).
Qui il tetragramma ancora non compare.

Posso dire: avviene nella mente di D-o, avviene nella mente dell'essere umano, avviene nella mente di un consesso, avviene in una qualche mente particolare che è 'azione di D-o' (boh, non so, devo indagare).
Posso dire "avviene contemporaneamente in tutte".

Potrei anche dire che l'uomo, nella sua mente, crea D-o. Forse potrei dire che un consesso di 'pensatori' o 'legislatori' che devono portare un ambiente da una condizione di informità ad una di ordine, partoriscono il pensiero di distinguere più enti e fra essi porre una idea di D-o.

Posso ragionare portando avanti contemporaneamente tutte queste idee/possibilità senza mai scartarne nessuna in favore di un'altra, senza mai preferirne una anzichè un'altra, senza mai dover scegliere una e abbandonare un'altra. Cioè senza mai dire questo è vero questo è falso, no è così, no è cosà, ad esempio senza mai decidere se "è presso D-o" oppure "è D-o" (senza mangiarmi il frutto del dualismo tov/ra).

Dicono: non c'è filosofia nell'ebraismo. Li mortè, dicono dalle parti mie, qui c'è un mondo!
Non perchè lo voglio sostenere, ma perchè mi hanno detto "non c'è filosofia nell'ebraismo!" e la parola ha conformato, anzi, in questo caso reciso, il mio pensare.

Dove è la diversità? La diversità è nel non mangiarsi il frutto del dualismo tov-ra, non parteggiare, non scegliere, mantenere tutto, tutto ciò che è possibile, tutte le potenzialità vive.

Non mi stupisce che sia nominati gli stoici: facevano spesso merenda con dei buddhisti.

Grecia: crocevia di culture.

Uno dice che è dio, l'altro dice che no, è solo presso ma non è, ma magari è solo quello che sembra e più a fondo non è veramente vera nè che l'uno dica davvero solo quello, nè che l'altro dica davvero solo quello.
Giovanni si scoccia, non sa come metterla e le dice tutte e due.
Non ha scelto e si è risparmiato una fatica! :)
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Gianni
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da Gianni »

Stella, ma che dici? Andiamo sulla filosofia?! :-O
Vedo che hai modificato il tuo precedente intervento, in cui asserivi sarcasticamente: Per capire Gv 1:1 adesso dobbiamo studiare greco e la filosofia? Ti rispondo.
Se vuoi capire Gv 1:1, sì, devi conoscere il greco, perché è in greco che è scritto (e questa è biblistica).
Se invece vuoi tentare di capire cosa hanno fatto del lògos nei secoli successivi, devi studiare filosofia, cominciando da Plotino (e questa è religione).
Che nel V.T. ci si attiene al pensiero ebraico è una ovvietà. Se nel nuovo non capisci più a quale pensiero ci si attenga, prova a considerare che è il vecchio che spiega il nuovo, non viceversa.
Infine domandi perché sarebbe incomprensibile un versetto così semplice. Incomprensibile, no; molto difficile, sì. Che mai ci trovi di semplice?
Pensa solo a questo: Giovanni dice che in principio la parola era presso il Dio, con l’articolo; poi dice che Dio (senza articolo) era la parola. Ora prendi questa ultima frase: “Dio era la parola”. Chi è il soggetto e quale è il predicato nominale? È Dio, il Dio, ad essere la parola oppure è la parola ad essere Dio?

Maria Grazia, hai fatto un’osservazione molto importante: nei targumìm il termine memra (aramaico per parola) è spesso usato al posto di "il Signore". Brava. Con ciò, si conferma che la parola non è una persona a sé in Giov 1:1.
La parola denota una parte componente di Dio, parte costituita da pensiero, ragione, manifestazione? Bella domanda. Dovremo rispondere, alla fine.

Naza, per quanto sia interessante ripercorrere tutte le tappe del lògos nelle antiche civilità – tappe per certi versi obbligate -, alla fine è il pensiero biblico che deve emergere. E anche questa è biblistica.
stella
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da stella »

GIANNI non ho modificato ,ma solo corretto ...mi sembra una parola e a volte sicuramente può cambiare un po il senso della frase ...
IO ''poverina'' ..che non conosco come detto greco e altro vado dietro a logica ..
poi mi chiedo , e mai possibile che tra i tanti ''trinitari'' nessuno capisce conosce il greco?? :-?
NEANCHE M. LUTERO ...?? conosceva il greco? Eppure si staccò modifico il dogma cattolico ,ma Giov.1..
Comunque prima era una lingua che si studiava più di adesso ,,e poi perché Giovanni ebreo scrive in greco? ,,ecco forse era li che io sono andata sulla filosofia nel senso che i greci filosofi allora GIOVANNI si esprime da filosofo ..
IO non vedo credo nella trinità come tre persone già la parola '''PERSONA '''suona male DIO non e' una persona ..
io credo vedo il TIMBRO DI DIO IN CRISTO ... :-?? CRISTO NON ERA SOLO UOMO ..

di giorno io ho poco tempo poca concentrazione ..ma mi leggero ..
cio' che riporto qui sotto ...
((Infine domandi perché sarebbe incomprensibile un versetto così semplice. Incomprensibile, no; molto difficile, sì. Che mai ci trovi di semplice?
Pensa solo a questo: Giovanni dice che in principio la parola era presso il Dio, con l’articolo; poi dice che Dio (senza articolo) era la parola. Ora prendi questa ultima frase: “Dio era la parola”. Chi è il soggetto e quale è il predicato nominale? È Dio, il Dio, ad essere la parola oppure è la parola ad essere Dio?))

ci mediterò sopra okei .. :-)
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Re: “Dio era la parola”

Messaggio da chelaveritàtrionfi »

Gianni, ripartiamo dalla grammatica con tanta fatica per me che ancora non mi so muovere con il greco, ma ci provo. .. male che vada mi prendo una batosta :-T :-T

Nestle Greek New Testament 1904
Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ Λόγος, καὶ ὁ Λόγος ἦν πρὸς τὸν Θεόν, καὶ Θεὸς ἦν ὁ Λόγος.

En archè èn o Lògos, kài o Lògos èn pròs tòn Theòn, kài Theós èn o Lògos.
In principio era la parola, e la parola era presso il Dio, e Dio era la parola

in neretto-grassetto ho segnato tutte le parole con l'articolo ed in rosso quelle senza articolo. In verde il verbo.

Analizzo tutte le parole separate dalle virgole:

1) Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ Λόγος En archè èn o Lògos, ..: qui Λόγος [Lògos] è soggetto ed è posto dopo il verbo ἦν [èn]. Lògos ha l’articolo “ὁ[o]”.

2) καὶ ὁ Λόγος ἦν πρὸς τὸν Θεόν,[ kài o Lògos èn pròs tòn Theòn],…: il soggetto è sempre Λόγος [Lògos] con l’articolo “ ὁ [o]” e qui è posto prima del verbo ἦν [èn]. τὸν Θεόν [tòn Theòn] è “il Dio” con l’articolo τὸν [tòn] al caso accusativo singolare.

3) καὶ Θεὸς ἦν ὁ Λόγος [kài Theós èn o Lògos] e Dio era la Parola. Qui invece abbiamo Θεὸς [Theós] senza l’articolo ed è un nome che si riferisce grammaticalmente al soggetto, quindi abbiamo un complemento predicativo del soggetto. Il verbo “ἦν èn” unisce il nome Θεὸς, in questo caso, al soggetto della frase ὁ Λόγος.

Nell’analisi logica, il complemento predicativo del soggetto è un nome o un aggettivo che completa il significato del verbo e si riferisce al ➔soggetto della frase.
https://www.treccani.it/enciclopedia/pr ... aliana%29/

Il nome del predicato e il complemento predicativo del soggetto, in greco, si rendono con il caso nominativo.
Θεὸς è al caso nominativo

Consideriamo la frase sistemata così in italiano: La parola era Dio.

La parola = soggetto che compie l'azione
era Dio = predicato nominale

Il predicato nominale è formato dall’unione di due elementi:
– una voce del verbo essere o di un altro verbo ➔copulativo
– un nome o un aggettivo che completa il significato del verbo e nello stesso tempo si riferisce al ➔soggetto della frase e svolge la funzione di complemento ➔predicativo del soggetto


Letteralmente in greco: Θεὸς ἦν ὁ Λόγος Dio era la Parola, con soggetto e predicato invertiti.

Nella parte finale della frase presa in considerazione, “ Θεὸς Theós” precede il verbo “ἦν èn”.

Lo studioso greco E.C. Colwell, nel 1933 ha descritto una regola grammaticale:

ʺun predicato nominale determinato tende a perdere l'ʹarticolo quando precede il verbo essere, mentre tende a prendere l'ʹarticolo quando segue il verbo"ʺ, osservazione valida nove volte su dieci nell’ambito giovanneo, E.C. COLWELL, A Definite Rule for the Use of the Article in the Greek New Testament., in Journal of Biblical Literature 52 (1933), 12-‐ 21.

Colwell, a quanto pare, ritiene che Giovanni 1:1 andrebbe compreso in questo modo : “e [il] Dio era la Parola”.

Un principio generale del greco classico afferma che: "la mancanza dell’articolo davanti ad un sostantivo viene generalmente resa con l’articolo indeterminativo" e secondo Colwell :" l' articolo indeterminativo [“un”] si inserisce soltanto se lo richiede il contesto.

Τale principio, tuttavia, non è valido indifferentemente in ogni circostanza né nel greco classico né in quello biblico e neotestamentario. Già M. ZERWICK, (Graecitas biblica Novi Testamenti, Pontificio Istituto Biblico, Roma, 19665, § 171-‐ 172, 179-‐ 180) faceva notare che spesso nel greco della LXX e del NT la mancanza di articolo è associata alla connotazione qualitativa del lessema (unità minima che costituisce il lessico di una lingua) privo di articolo.

Tuttavia occorre analizzare in che casi il testo greco usa l'articolo.

In Giovanni 7:46: Οὐδέποτε ἐλάλησεν οὕτως ἄνθρωπος, il termine ἄνθρωπος indica, secondo alcuni esegeti, il genere umano e non un certo uomo.

Nella LXX abbiamo diversi casi come questo:
Ezechiele 28:9 ….. σὺ δὲ εἶ ἄνθρωπος καὶ οὐ θεός ma tu sei umano e non Dio

da intendersi, sempre secondo alcuni esegeti, in senso qualitativo e non “un certo uomo / un certo Dio”

Da notare, infine, che: Θεὸς, Θεόν, Λόγος [Theós, Theòn, Lògos] sono tutti termini che cominciano con la lettera maiuscola.

PS. non solo greco ma anche un bel ripasso anche della grammatica italiana :-\ #:-S

Conclusione.

Riguardo all'analisi della storia e della filosofia greca, in generale parlando di filosofia, possiamo dire che i filosofi hanno elaborato concetti che travalicano i limiti della comprensione umana: il tempo, lo spazio, la materia ecc.. Quindi, dato che anche in campo filosofico vi erano diverse correnti, o assumiamo che l'evangelista ne seguì o ne stabilì una nuova (ma qui dovremmo asserire che l'ebraismo fu eclissato dall'ellenismo), oppure che si attenne semplicemente agli insegnamenti diretti di un maestro che era Giudeo - Galileo.

Fermandoci ad una notazione di carattere linguistico, vi è la possibilità di un'analisi oggettiva dell'intero testo biblico ricercando l'armonia con tutta la scrittura e cercando di comprendere un versetto seguendo una logica contestuale del testo.

Riguardo all'interpretazione, i testi antichi suggeriscono che tale via proviene da Dio (es. Daniele, Giuseppe e tutti i profeti).

Testo modificato inserendo le conclusioni

Per me contano i documenti scritti perchè li possa verificare. "Ora i bereani .. accolsero il messaggio con grande entusiasmo e esaminarono ogni giorno le Scritture per vedere se questi insegnamenti erano veri". Atti 17:11 BSB
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