Re: Leggere il testo biblico originale
Inviato: martedì 2 maggio 2023, 6:24
Naza caro, buongiorno. Tutte le tue prime risposte sono esatte e date in modo preciso. Hai dimostrato ormai di essere padrone del “meccanismo” delle declinazioni. Di tutte e tre, possiamo anche dire, perché – desinenze a parte (ciascuna delle tre ha le sue) – il dispositivo di declinazione tramite i casi è il medesimo.
Su νεανίαις di Pr 20:29 hai scritto un trattato!
In verità, sei partito da una premessa sbagliata, ma ci sono ciononostante alcuni aspetti lodevoli che dirò alla fine.
Il presupposto immotivato da sui sei partito è che νεανίαις, non avendo l’articolo, potesse indicare due casi. Temo tu sia caduto in una svista. Guarda bene:
νεανίαις
νεανίας
Il nostro termine, quello di Pr 20:29, presenta uno iota in penultima posizione:
νεανίαις
Non può quindi che essere dativo plurale, come tu stesso hai poi indicato.
Veniamo alla tua analisi.
Hai detto bene: κόσμος è il soggetto (nominativo singolare maschile, seconda declinazione). Sempre nella prima frase del versetto hai identificato bene anche σοφία: nominativo singolare femminile, prima declinazione.
Per la seconda frase del versetto hai invece fatto errori di valutazione. Vediamoli.
Per il termine πρεσβυτέρων dici bene: è al genitivo plurale, che però non risponde alla domanda “a chi, a che cosa?” (che è per il dativo), ma “di chi, di che cosa?”. Il secondo errore sta nell’identificare in πολιαί un accusativo plurale neutro. Hai detto bene: si tratta dell’aggettivo πολιός, -ή, -όν (= biancheggiante). Per cui, se fosse accusativo plurale neutro, farebbe πολιά. Il termine πολιαί può essere unicamente il nominativo plurale femminile di πολιός, -ή, -όν.
Definiamo prima i vocaboli e poi passiamo alla traduzione, così capiremo meglio.
Il termine κόσμος indica una disposizione armoniosa, dall’universo all’ornamento (pensa a cosmesi e cosmetico, da esso derivati). La δόξα indica qui la gloria (questo vocabolo si usa anche per la luminosità del sole e della luna). Delle altre parole abbiamo già detto.
Ora traduco in modo assolutamente letterale:
κόσμος νεανίαις σοφία, δόξα δὲ πρεσβυτέρων πολιαί
ornamento a giovani sapienza, gloria invece di vecchi bianche.
Ci sono in questa traduzione assolutamente letterale due cose che vanno comprese per tradurre bene in italiano. La prima è intuitiva: manca il verbo e questo non può che essere un “è” sottinteso (in greco accade spesso; ancor di più in ebraico). La seconda è quel “bianche”, che di primo acchito manda fuori di testa. Essendo un aggettivo, deve riferirsi a qualcosa che è femminile. Nella frase abbiamo solo δόξα e πρεσβυτέρων, ma siccome uno è al singolare e l’altro è al genitivo, πολιαί non può riferirsi a uno dei due, perché in tal caso sarebbe scoordinato. Conclusione: deve riferirsi a qualcosa di sottinteso. Prova a leggere la frase in italiano: ‘La gloria invece dei vecchi sono i bianchi’. È chiaro che la parola sottintesa è “capelli”. La quale in greco è θρίξ, τριχός, ἡ, femminile della terza declinazione. (Da questa parola greca deriva il nostro tricologia, lo studio del capello). Ora traduciamo per bene in italiano:
“[L’]ornamento per giovani [è la] sapienza, [la] gloria invece de vecchi [sono i capelli] bianchi”. Il dativo νεανίαις è un dativo di vantaggio: per i giovani.
Siamo di fronte ad un parallelismo: di fatto i capelli bianchi senili indicato la saggezza dovuta all’esperienza, mentre per i giovani (che hanno dalla loro la bellezza e il vigore) gloria sarebbe la sapienza, di cui mancano.
Il testo ebraico recita, letteralmente: “Onore di giovani forza di loro, e ornamento di anziani canizie”. La LXX aggiusta, come abbiamo visto.
Da questa analisi e da come tu l’hai condotta possiamo imparare molto.
Prima di tutto, a ragionare avvalendosi della logica. Poi a seguire le nostre intuizioni, però verificandole sempre.
Tu, pur confondendo νεανίαις e νεανίας, hai seguito una certa strada. Da ciò impariamo che una intuizione deve basarsi su dati certi. Poi l’intuizione va seguita e, se non porta a nulla, va abbandonata. Nell’applicazione: sto leggendo un brano biblico e mi fermo su un particolare e penso “vuoi vedere che …?”. Ho un’intuizione e formulo un’ipotesi. Poi la verifico in modo intransigente. Il più delle volte non porta a nulla; in tal caso l’abbandono. Più raramente posso trovare conferma e allora ne certo altre per essere sicuro, la critico io stesso per metterla alla prova e, se è confermata, ho avuto un colpo di genio. Morale: non trascurate mai le vostre intuizioni e verificate.
Ops ... solito corsivo messo dal sistema. Non è voluto.
Su νεανίαις di Pr 20:29 hai scritto un trattato!
In verità, sei partito da una premessa sbagliata, ma ci sono ciononostante alcuni aspetti lodevoli che dirò alla fine.
Il presupposto immotivato da sui sei partito è che νεανίαις, non avendo l’articolo, potesse indicare due casi. Temo tu sia caduto in una svista. Guarda bene:
νεανίαις
νεανίας
Il nostro termine, quello di Pr 20:29, presenta uno iota in penultima posizione:
νεανίαις
Non può quindi che essere dativo plurale, come tu stesso hai poi indicato.
Veniamo alla tua analisi.
Hai detto bene: κόσμος è il soggetto (nominativo singolare maschile, seconda declinazione). Sempre nella prima frase del versetto hai identificato bene anche σοφία: nominativo singolare femminile, prima declinazione.
Per la seconda frase del versetto hai invece fatto errori di valutazione. Vediamoli.
Per il termine πρεσβυτέρων dici bene: è al genitivo plurale, che però non risponde alla domanda “a chi, a che cosa?” (che è per il dativo), ma “di chi, di che cosa?”. Il secondo errore sta nell’identificare in πολιαί un accusativo plurale neutro. Hai detto bene: si tratta dell’aggettivo πολιός, -ή, -όν (= biancheggiante). Per cui, se fosse accusativo plurale neutro, farebbe πολιά. Il termine πολιαί può essere unicamente il nominativo plurale femminile di πολιός, -ή, -όν.
Definiamo prima i vocaboli e poi passiamo alla traduzione, così capiremo meglio.
Il termine κόσμος indica una disposizione armoniosa, dall’universo all’ornamento (pensa a cosmesi e cosmetico, da esso derivati). La δόξα indica qui la gloria (questo vocabolo si usa anche per la luminosità del sole e della luna). Delle altre parole abbiamo già detto.
Ora traduco in modo assolutamente letterale:
κόσμος νεανίαις σοφία, δόξα δὲ πρεσβυτέρων πολιαί
ornamento a giovani sapienza, gloria invece di vecchi bianche.
Ci sono in questa traduzione assolutamente letterale due cose che vanno comprese per tradurre bene in italiano. La prima è intuitiva: manca il verbo e questo non può che essere un “è” sottinteso (in greco accade spesso; ancor di più in ebraico). La seconda è quel “bianche”, che di primo acchito manda fuori di testa. Essendo un aggettivo, deve riferirsi a qualcosa che è femminile. Nella frase abbiamo solo δόξα e πρεσβυτέρων, ma siccome uno è al singolare e l’altro è al genitivo, πολιαί non può riferirsi a uno dei due, perché in tal caso sarebbe scoordinato. Conclusione: deve riferirsi a qualcosa di sottinteso. Prova a leggere la frase in italiano: ‘La gloria invece dei vecchi sono i bianchi’. È chiaro che la parola sottintesa è “capelli”. La quale in greco è θρίξ, τριχός, ἡ, femminile della terza declinazione. (Da questa parola greca deriva il nostro tricologia, lo studio del capello). Ora traduciamo per bene in italiano:
“[L’]ornamento per giovani [è la] sapienza, [la] gloria invece de vecchi [sono i capelli] bianchi”. Il dativo νεανίαις è un dativo di vantaggio: per i giovani.
Siamo di fronte ad un parallelismo: di fatto i capelli bianchi senili indicato la saggezza dovuta all’esperienza, mentre per i giovani (che hanno dalla loro la bellezza e il vigore) gloria sarebbe la sapienza, di cui mancano.
Il testo ebraico recita, letteralmente: “Onore di giovani forza di loro, e ornamento di anziani canizie”. La LXX aggiusta, come abbiamo visto.
Da questa analisi e da come tu l’hai condotta possiamo imparare molto.
Prima di tutto, a ragionare avvalendosi della logica. Poi a seguire le nostre intuizioni, però verificandole sempre.
Tu, pur confondendo νεανίαις e νεανίας, hai seguito una certa strada. Da ciò impariamo che una intuizione deve basarsi su dati certi. Poi l’intuizione va seguita e, se non porta a nulla, va abbandonata. Nell’applicazione: sto leggendo un brano biblico e mi fermo su un particolare e penso “vuoi vedere che …?”. Ho un’intuizione e formulo un’ipotesi. Poi la verifico in modo intransigente. Il più delle volte non porta a nulla; in tal caso l’abbandono. Più raramente posso trovare conferma e allora ne certo altre per essere sicuro, la critico io stesso per metterla alla prova e, se è confermata, ho avuto un colpo di genio. Morale: non trascurate mai le vostre intuizioni e verificate.
Ops ... solito corsivo messo dal sistema. Non è voluto.