SOFONIA 3:8

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francesco.ragazzi
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Re: SOFONIA 3:8

Messaggio da francesco.ragazzi »

Poiché allora darò ai popoli un linguaggio puro, affinché tutti invochino il nome dell'Eterno, per servirlo di comune accordo.
Potrebbe attuarsi durante il Millennio ...
Giovanni 15 : 9 Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. 10 Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. 11 Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia dimori in voi e la vostra gioia sia completa.

In questi versi vi sono dei termini che nella lingua ebraica sono molto importanti e difficilmente traducibili...
Chesed o “amore misericordioso”. Il termine è intraducibile. Il nostro testo ha come tema l’amore. In greco sarebbe agape, un amore altruista. In ebraico è “chesed” e appare almeno 180 volte nella Bibbia, riferendosi solo a Dio. Affonda il significato nella parola ebraica “grembo”, paragonando l’amore divino a quello assoluto di una madre per il figlio, un amore irriducibile. Chesed è l’amore di Dio per l’umanità e non chiede contraccambio. È l’inaspettato e costante amore che il Signore estende al mondo ed è uno dei suoi attributi essenziali, include gentilezza, misericordia, bontà e costanza. Chesed non è dato perché ci siamo comportati bene. È nel patto del Signore con la creazione. Gesù sparge questo chesed immeritato, che non si trasmette come dottrina ma con gesti che comunicano vita. “Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi”. Gesù ha trasformato la sua capacità di amare in servizio. Il chesed non si tiene per se ma si condivide.
Yashab o “dimorare”, rimanere. Gesù dice: rimanere nel mio amore. Dimorare trasmette l’idea di stare ai margini, inattivi, sospesi. Per Gesù però, yashab, dimorare, non è mettersi seduti, ma “stare ammollo” nel suo amore. Yashab è abitare e vivere attivamente nell’amore di Cristo, senza attendere con le mani in mano. È dimorare in quell’amore, lasciando che ci impregni dentro e diventi la nostra casa. I discepoli di Cristo non dimorano in un paese o Chiesa ma nell’amore di Cristo. L’amore che il Signore ci offre è la nostra patria, in cui noi abitiamo nella pienezza divina. Alloggiare e abbondare.
Mitzvah o “comandamento”. Nelle Scritture ci sono dei comandamenti ma a nessuno piace essere comandato. In ebraico però un mitzvah, non è un obbligo ma un onorare, celebrare e portare nel mondo la presenza divina. Quando Gesù rassicura i discepoli, se osserverete i miei comandamenti dimorerete nel mio amore, non è un dare per avere in cambio. Onorando l’amore divino, si sta nella dinamica di un amore ricevuto e comunicato. Un comandamento, diventa un mitzvot, un atto umano di grazia che riflette la misericordia divina che colma e coinvolge chi porta e crede nell’amore.
Simchat/Chedvah, o “gioia”. La gioia è una risposta quasi sconosciuta nel secolo XXI. Noi straparliamo di essere felici, realizzati o soddisfatti. Per Gesù, gioia non è uno stato della mente ma un modo di essere nel mondo. Gesù riversa sui credenti la sua gioia, affinché sia completa in noi. La gioia del credente è perché si sente amato di incontrare Dio e si moltiplica nella misura in cui si riesce a condividerla. Questa gioia di Gesù è per noi e per la creazione.
B’rit o “patto”. Nel v. 16, Gesù ricorda ai discepoli: non siete voi che avete scelto me ma sono io che ho scelto voi. Nell’AT il Signore stringe il patto con Noè, con Abramo e Mosè. Se pensiamo a un patto, immaginiamo un impegno tra due parti. B’rit, si riferisce a “vitello ingrassato”. Confonde vero? Nell’AT quando era stabilito un patto tra due parti, si sacrificava un vitello ingrassato. Il sacrificio era tagliato in due e la parte richiedente camminava tra i due pezzi: se rompo il patto, possa anch’io essere tagliato in due. Nel testo di Giovanni, non c’è il termine “patto”, ma il legame tra il Signore che offre Chesed e chi dimora in quest’amore, sì, ed è descritto come vincolante: se manterrete i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore. È un patto “tagliato” con la vita di Gesù: questo calice è il nuovo patto nel mio sangue versato per voi.
Chaver o “amico”. Oggi, chi ti mette un “pollice su” è considerato amico. Se un amico è qualcuno che non conosci e non sei legato, allora la parola “amico” non vale nulla. Nell’AT, lo status di amico aveva senso. Abramo fu dichiarato amico di Dio, Isaia 41.8. Dio parlava faccia a faccia con Mosè come con un amico, Esodo 33.11. Così, Gesù dichiara i suoi discepoli amici. Un vero amico è come se lui fosse me! Gesù chiama amici i suoi discepoli perché gli ha fatto conoscere il volere del Padre. L’amore nel servizio ci rende amici di Gesù, collaboratori/trici nel progetto del Padre.
Hineni o “sono qui”. Pronunciare Hineni fa tremare i polsi. Sono qui manda me! Tanti nell’AT lo hanno detto. Abramo dice Hineni a Dio al sacrificio del figlio. Mosè dichiara Hineni a Dio quando è nel cespuglio ardente. Samuele, dopo tre inviti, offre se stesso: hineni. Isaia risponde a Dio: hineni, manda me. Hineni muove le parole di Gesù ai suoi discepoli: andate e portate molto frutto durevole. Per portare frutto i discepoli non attendono che le persone vengano, ma devono andare. Verso dove? Gli emarginati, gli invisibili, le persone disprezzate. Abbracciare i comandamenti, i mitzvah per chesed, significa offrirsi alla nascita di quell’amore nel mondo. Signore manda me. Lasciami essere il vino che porta il frutto d’amore, misericordia e grazia per altri.
Mishpat o giustizia / Tzadequah, giustificazione. Come facciamo a portare frutti durevoli? Per Gesù, “mishpat” e “tzadequah” è: offrire vera giustizia e comportarsi con rettitudine. Non c’è l’una senza l’altra. Non vale: fai come dico ma non come faccio! Per portare i frutti di Cristo, giustizia e rettitudine cooperano in armonia. Il profeta Michea 6.8 ci ricorda che la giustizia mishpat, è qualcosa che tu fai, mentre la misericordia, chesed, è qualcosa che ami: Che cosa richiede da te il Signore sennonché tu pratichi la giustizia, ami la misericordia e cammini umilmente con il tuo Dio? Solo così i frutti saranno durevoli.
Yada o “conoscere”. S’intende la conoscenza del cuore e non della testa. Il tipo di conoscenza che arriva quando le scritture dicono “Adamo conobbe Eva”, o, “fermati e riconosci, Yada, che io sono Dio”, Salmo 46. Il Signore vuole essere in una relazione intima, cuore a cuore, con noi. Il massimo della conoscenza però è riconoscere la nostra dipendenza da Dio. Senza di Lui siamo niente.
Shalom o pace. Come chesed, shalom è intraducibile. La parola esprime il significato di: interezza, santità, totale benessere. Shalom intreccia i fili della frammentarietà in integrità. Dalla diversità crea unità, annulla la separazione. La scrittrice Virginia Woolf disse che i grandi temi della letteratura sono: amore battaglia e gelosia. Il grande tema biblico è peccato e grazia, shalom e amore. Shalom è il migliore saluto che possiamo augurare a qualcuno...
(Tratto dal web)
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Gianni
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Re: SOFONIA 3:8

Messaggio da Gianni »

Bravo, Francesco. :-)
speculator2
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Re: SOFONIA 3:8

Messaggio da speculator2 »

Alcune considerazioni sul linguaggio tratte da una centuria di Nostradamus.

"una lampada di fuoco inestinguibile "
(la mente umana che produce il linguaggio)

"al tempio delle vestali "
(una religione di purezza)

"acqua passante per un setaccio "
(il linguaggio=acqua viene sottoposto ad un vaglio)

"scompare l'acqua"
(Scompare il linguaggio non fitrato o rimangono solo piccole gocce - forse di riferisce alla leggenda di una vestale che provo' la sua purezza con dell'acqua, qualcosa provato dai fatti)

"chiudono " (cioè finiscono)

"Toulouse ( in inglese 'to loose' cioè perdere, le perdite)

"mines" (scoppi, minacce)
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francesco.ragazzi
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Re: SOFONIA 3:8

Messaggio da francesco.ragazzi »

Grazie Besasea per la precisazione, io non conosco l'ebraico ma mi affascina...
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