In particolare tu premetti che Yeshùa non avrebbe potuto modificare la Torah, salvo poi attribuirgli una modifica consistente, dove affermi che anche il ripudio da parte della donna è ammesso da Yeshùa nonostante non sia ammesso dalla Torah.
Di fatto, è Yeshùa stesso ad affermare: “Chiunque manda via la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei. Similmente, se la moglie
manda via il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mr 10:11-12, ND).
In entrambi i casi è usato il verbo
ἀπολύω (apolùo), che significa “sciolgo da” (ἀπό, “da”, “via da” e λύω, “sciolgo”), dunque “prosciolgo”, “libero”, “lascio andare” all’attivo, e “mi libero da”, “allontano da me”, “vado via” al medio e passivo (Rocci, Strong, Thayer). Nel caso dell'uomo abbiamo ἀπολύσῃ (apolùse), terza singolare del congiuntivo aoristo
attivo; nel caso della donna abbiamo ἀπολύσασα (apolùsasa), participio aoristo
attivo. In entrambi i casi, dunque, il verbo è usato nella diatesi attiva e il significato nel contesto è “mandare via”. Yeshùa stesso ammette senza ombra di dubbio la possibilità che la donna potesse mandare via il marito (e i farisei non controbattono). Tale possibilità è confermata dai costumi del tempo, e ciò risulta chiaro dalla tradizione. Se non fosse stato possibile, Yeshùa avrebbe detto semplicemente che non è consentito divorziare. La sua proibizione non riguarda tanto il divorzio, che ammette (“se”), ma il nuovo matrimonio in caso di divorzio senza giusta causa.
Dunque, se la Torah non contempla la possibilità che la donna possa mandar via il marito, Yeshùa sta insegnando a violare la Torah, oppure, dalle sue parole, si comprende che il comandamento di Dt 24:1 è formulato secondo una
prospettiva di genere e in virtù della società maschilista dell'epoca in cui fu scritto. In epoca mosaica, la Torah comanda la pratica dello cherem (anatema), che chiedeva lo sterminio totale di un intero popolo; oggi dovremmo applicare lo stesso principio? Il fatto che nel I secolo la donna potesse sciogliersi dal marito sulla base di precise circostanze invocando l'intervento del tribunale, conferma la prospettiva di genere in cui deve essere inteso oggi Dt 24:1; oppure significherebbe che anche il sinedrio consentiva una pratica in aperta violazione della Torah (e ciò è poco credibile). Del resto, è Yeshùa stesso ad affermarlo: “È per la durezza del vostro cuore che Mosè scrisse per voi quella norma” (Mr 10:5); e non è certo l'unica norma che fu data “per la durezza del cuore” degli uomini in un periodo storico ancora buio, basta pensare alla pratica dello cherem, o alla pena di morte per vari motivi.
Non dobbiamo dimenticare anche che le parole di Yeshùa sono una risposta ad una specifica domanda dei farisei sul tema del divorzio, dibattutissimo a quel tempo. Yeshùa sta rispondendo ad una loro domanda, in un confronto tra maestri che inevitabilmente sottintende la conoscenza delle norme giuridiche sul divorzio, sancite dalla tradizione orale.
"se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro commette adulterio" non significa che può ripudiarlo in altri casi
La donna poteva chiedere il divorzio in tutti i casi riportati dalla tradizione (Ketuboth, Nedarim, Eben ha-'Ezer, Mishneh Torah); oggi, la donna israelita è libera di divorziare dal marito “per un motivo qualsiasi” (ossia se per qualche motivo non vuole più stare con lui), al pari dell'uomo. Si tratta di
divorzio legale; il tribunale esaminava i presupposti della donna e poteva costringere il marito a scrivere l'atto di ripudio. Yeshùa tratta questa possibilità, poiché dice “se la donna manda via il marito”; tuttavia, la sua proibizione non riguarda il divorzio legale — da parte dell'uomo o della donna — ma piuttosto
un secondo matrimonio nel caso il divorzio sia avvenuto per un motivo qualsiasi che non sia la fornicazione. È questo che Yeshùa proibisce. Risulta evidente che Yeshùa distingue il divorzio legale — praticabile da entrambi uomo e donna — dalla rottura del vincolo sacro tra uomo e donna — che si attua solo in presenza di fornicazione.
Similmente tu affermi che una donna ripudiata legittimamente può risposarsi, ma ciò non lo si può evincere, se non con un'altra forzatura, dai versi che citi, poichè "chi sposa una donna ripudiata commette adulterio" non ammette eccezioni (le due affermazioni sono separate e "salvo il caso di fornicazione" vale solo per la prima)
Da cosa evinci che il caso di fornicazione riguarda solo l'uomo? Perché non mi pare che ciò sia evidente dal testo greco, anzi vedo che è evidente il contrario. Il testo dice:
“Chiunque manda via la propria moglie, eccetto in caso di fornicazione, la fa essere adultera e chiunque sposa una donna ripudiata, commette adulterio” (Mt 5:32).
Il che, ribaltato, significa: “in presenza di fornicazione, chiunque manda via sua moglie e ne sposa un'altra non commette adulterio e chi sposa una ripudiata (per fornicazione), non commette adulterio”. La logica vuole che se la fornicazione rompe il vincolo sacro, quel vincolo non sussista più per entrambe le parti; se una corda si spezza, entrambi i capi risultano separati. Inoltre, Dt 24:1-2 afferma: “Quando un uomo sposa una donna che poi non vuole più, perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo, le scriva un atto di ripudio, glielo metta in mano e la mandi via.
Se lei, uscita dalla casa di quell'uomo [perché ripudiata], diviene moglie di un altro...”; è chiaro che la donna ripudiata poteva risposarsi liberamente, dunque nelle parole di Yeshùa la fornicazione si applica necessariamente ad entrambi i casi, altrimenti sarebbe entrato in contrasto con la Torah, che consente alla ripudiata di risposarsi. Nel pensiero di Yeshùa, è proprio la fornicazione o l'adulterio che consentiva alla donna (e all'uomo) di risposarsi; in assenza di fornicazione, non avrebbe potuto farlo, né lei né l'uomo, perché il vincolo sacro restava intatto. Potevano divorziare legalmente ma il nuovo matrimonio sarebbe stato possibile solo se il vincolo sacro è sciolto, e se è sciolto non può esserlo certo solo per una parte.