Yeshùa ed il divorzio

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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Salvatore, ma Paolo non sta parlando di matrimonio, fa solo un esempio per esporre il suo pensiero su altro (il vincolo della legge del peccato, di cui parla al cap. 6 e da cui Cristo libera con la morte, e da cui siamo liberi con la "morte in Cristo"). E poi, a chi sta parlando? A giudei, forse? Sta parlando "a gente esperta di legge", non "della legge". Non parla della Torah, perché nòmos non fa riferimento esclusivo alla Torah, ma anche alla legge in genere. Se qui facesse riferimento alla Torah, vorrebbe dire che i destinatari di Romani erano esclusivamente giudei maestri della legge, perché i pagani convertiti non erano affatto esperti "della legge", ma potevano essere esperti "di legge", come Paolo dichiara.

“Infatti la donna sposata è legata per legge al marito mentre egli vive; ma se il marito muore, è sciolta dalla legge che la lega al marito.” - Rm 7:2

Non parla di legame indissolubile o di regole matrimoniali, ma di legame di legge quando si è sposati, che cessa di esistere con la morte. La morte libera dalla legge. Nota bene che non dice che la donna è libera dal legame col marito, ma dalla legge che la lega al marito. E non dall'ex marito da cui ha divorziato (parla di due sposati, non divorziati, quindi è ovvio che siano legati per legge). Lo stesso vale per l'uomo, che certamente è legato per legge alla moglie mentre quella vive, ma se lei muore è libero dalla legge che lo lega a lei. Dunque non parla di vincolo matrimoniale come fa Yeshùa, ma di vincolo della legge. “La legge ha potere sull'essere umano [ànthropos] per tutto il tempo ch'egli vive” vuol dire che l'uomo, in vita, è soggetto alla legge (e se muore non lo è più). La morte libera dal vincolo della legge, e libera dal vincolo del peccato (per cui chi è "morto in Cristo", è libero dalla legge del peccato, di cui parla subito prima al cap. 6). Che c'entra il matrimonio?

Poi, che Yeshùa vieti ad un uomo di sposare una ripudiata in senso assoluto è assolutamente impossibile, perché aggiungerebbe un comandamento alla Torah, anzi insegnerebbe a non fare ciò che la Torah non vieta ma ammette. Il libello di ripudio serviva alla donna proprio per potersi risposare in serenità. È per questo che - come abbiamo discusso - Yeshùa sta parlando di una ripudiata senza giusta causa.
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Tony
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da Tony »

Ciao , in questo post è stato preso in considerazione anche quello che fece Giuseppe quando lascio segretamente sua moglie per non esporla ad infamia , la bibbia dice che era un uomo giusto (Matteo 1:18-20) . C'entra niente col discorso del divorzio ?
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Provo a risponderti biblicamente, anche se ci sono delle cose che a mio parere non tornano in questi versetti. Mt 1:18 dice che Maria "era stata promessa sposa a Giuseppe". Dunque i due avevano formalizzato il kiddushin, il fidanzamento, ma non erano ancora formalmente sposati perché lei "prima che fossero venuti a stare insieme [coabitazione], si trovò incinta per opera dello Spirito Santo". Si era formalmente sposati nel momento in cui si andava a vivere insieme e si consumava (nissuin). Tuttavia, come abbiamo già detto, i fidanzati erano già considerati sposati con la promessa di matrimonio, tanto che per ripudiare una fidanzata occorreva il ghet (atto di ripudio).

Vediamo il v.19, traducendolo letteralmente:

Ἰωσὴφ δὲ ὁ ἀνὴρ αὐτῆς δίκαιος ὢν καὶ μὴ θέλων αὐτὴν δειγματίσαι ἐβουλήθη λάθρᾳ ἀπολῦσαι αὐτήν

Yosef il marito di lei giusto essente e non desiderante lei esporre come esempio decise segretamente mandare via lei

L'aggettivo δίκαιος (dìkaios) significa "giusto" in senso biblico, ossia di chi osserva la legge. Il termine δειγματίζω (deigmatìzo) è un verbo usato pochissimo anche negli autori classici e nella Bibbia lo troviamo unicamente qui e in Col 2:15, dove è usato col suo significato proprio di "esporre come esempio" (Rocci, Thayer). Non significa affatto "esporre ad infamia", come rende la NR, ad esempio; ossia, il termine non ha necessariamente una connotazione negativa.

A cosa si riferisce dunque il testo quando dice che Yosef era "giusto" e non voleva esporla come esempio, per cui decide di ripudiarla in segreto? Si capisce leggendo Num 5:11-31. Ai vv. 20-21 è scritto:

"Ma se ti sei sviata ricevendo un altro invece di tuo marito e ti sei contaminata, se un altro che non è tuo marito ti ha fecondata, allora il sacerdote farà giurare la donna con un giuramento di maledizione e le dirà: 'Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di esecrazione in mezzo al tuo popolo, facendoti dimagrire i fianchi e gonfiare il ventre'".

Esporla come esempio significava portarla al sacerdote, per cui lei sarebbe divenuta "oggetto di maledizione e di esecrazione" in mezzo al popolo. Ecco forse perché la NR traduce con "esporla ad infamia" in senso negativo. Giuseppe, essendo giusto, avrebbe dovuto obbedire a questo comandamento, secondo la legge, ma non volle farlo, per cui decise di ripudiarla di nascosto. Il ghet non necessitava di un'approvazione della corte, bastava il consenso tra le parti. Giuseppe tuttavia non intendeva trasgredire la legge perché era giusto, dunque aveva due possibilità: 1.condurla dal sacerdote ed esporla inevitabilmente ad infamia, perché era assodato che lei fosse incinta, o 2. ripudiarla. Scelse la seconda opzione, da realizzare "in segreto", per non esporla ad infamia in mezzo al popolo.

Quello che non capisco è come potesse Giuseppe ripudiarla in segreto, visto che sul documento di ripudio doveva essere riportato ovviamente anche il nome del ripudiante e dunque Maria sarebbe stata una donna incinta ripudiata con in mano un documento che indicava il nome di chi la ripudiava. Non ci sarebbe stato modo che Maria non risultasse esposta. Altra cosa che non torna è che il testo afferma che Giuseppe era giusto, ossia ligio osservante, ma allo stesso tempo non voleva obbedire al comandamento esposto in Num 5:11-31 per non esporla. La sua giustizia però gli imponeva di ripudiare la fidanzata, ma il ripudio non avrebbe potuto in alcun modo restare segreto, né sarebbe stato possibile mandarla via senza atto di ripudio, perché la Torah lo comanda.

Molti critici sostengono che i capp. 1-2 di Matteo non siano originali e siano scritti da qualcuno che non conosceva bene il Tanach e la legge ebraica. A sostegno di questa teoria ci sono molti elementi.
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Voglio dire che il termine dìkaios sembra qui usato più in senso "cristiano" che biblico.
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Tony
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da Tony »

In che senso "cristiano" ?
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bgaluppi
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da bgaluppi »

Biblicamente, il senso di "giusto" è "osservante della legge". Qui sembra usato in senso di chi fa un'azione giusta, un'opera buona, che sarebbe il non voler esporre Maria ad infamia. Ma la Torah, in un caso simile, prescrive di condurre la moglie dal sacerdote; un giusto, biblicamente parlando, avrebbe obbedito a questo comandamento, perché altrimenti sarebbe un "ingiusto". La condotta giusta è intesa come ligia obbedienza alla Torah, perché è scritto: "Metterete in pratica le mie prescrizioni e osserverete le mie leggi, per conformarvi a esse. Io sono il SIGNORE vostro Dio." (Lv 18:4, cfr. Lv 20:22; 22:31; 25:18; Num 15:40; Dt 4:6; 7:12 etc.). Giuseppe non vuole che Maria fosse esposta, dunque decide di ripudiarla. Ma il ripudio “in segreto” non ha senso, biblicamente, né praticamente. Maria sarebbe stata una giovane donna incinta senza marito, con in mano un atto di ripudio (obbligatorio) che doveva attestare il nome del ripudiante.
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Tony
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da Tony »

immaginavo , grazie
speculator

Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da speculator »

Aveva deciso di divorziare da lei per un unico motivo scritturalmente permesso: Fornicazione, oggi corna."

"in segreto" perché, essendo incinta non la abbandonava ma l'avrebbe aiutata ad avere il bambino e allevarlo per 2,3 anni e poi ognuno per la sua strada. Nessuno avrebbe saputo niente,
animasalvata
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da animasalvata »

Un caso:
Un uomo e una donna consenziente si fidanzano. Per l'ebraismo il fidanzamento è come se fosse gia matrimonio.
Supponiamo che i due pur avendo la possibilità naturale di fare figli non hanno mai avuto l'intenzione di avere figli fin dal'inizio. Quell'unione sarà matrimonio vero benedetto che non può essere rotto se non per la cosa indecente di deuteronomio 24 oppure è una unione nulla fin dal principio per cui vi è la possibilità di separarsi in seguito e risposarsi?
noiman
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Re: Yeshùa ed il divorzio

Messaggio da noiman »

Il matrimonio “qiddushim” era considerato sacro, ma a differenza di quello cristiano poteava essere rescisso, il diritto biblico prevedeva che a certe condizioni il marito poteva rescindere il contratto attraverso un atto di divorzio “ghet”, questo lo apprendiamo in Dvarim 24/1, questo documento era un atto ufficiale in riferimento alla “ketubbàh” contratto matrimoniale composto nel periodo dei “qiddushin”, l’insieme delle regole che il marito era chiamato ad osservare, in caso di ghet la dote patrimoniale e alcuni aspetti morali erano argomento per concludere la separazione e definire soprattutto la parte economica, in genere a favore della donna, l’eventuale restituzione della dote e le regole di condivione e gestione di eventuali proprietà, inoltre era prevvisto una aspetto di tutela della donna che usciva dalla casa del marito, garanzie a tutela della donna in modo che il “ghet” non diventasse un abuso e causa di ingiustizia.
Nonostante il maschilismo la norma consentiva alla donna di risposarsi in un secondo matrimonio.
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