“Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorroissa

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Gianni
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

Messaggio da Gianni »

Caro Maximus55, prima di tutto, complimenti per la tua competenza biblica analitica! Sai muoverti molto bene nei testi originali ebraico e biblico. Complimenti davvero!

Ho letto le tue considerazioni. Tu parli di scelte terminologiche intenzionali operate da Marco, in cui nome ebraico era Giovanni; costui era figlio di Maria di Gerusalemme (At 12:12,25) ed era cugino di Barnaba, un levita della diaspora (Col 4:10). Marco era quindi un ebreo, per cui mi sembra che – più che intenzionali – le sue scelte terminologiche furono dettate dalla conoscenza terminologica della Scrittura. Tu sottolinei anche: dall’evangelista (Giovanni Marco) o dalla sua fonte. Quale fonte? Il vangelo marciano fu il primo ad essere scritto. Le fonti di Marco furono Pietro e la fonte Q (i lòghia), ma non possiamo spingerci troppo oltre facendo risalire a tali fonti le scelte terminologiche. Piuttosto, il Vangelo marciano fu la fonte degli altri due sinottici, Matteo e Luca, che seguirono la trafila di Marco. Ora, Luca (che era medico) nel passo parallelo di Lc 8:43,44 si limita a dire che nessuno aveva potuto guarire la donna, attenuando così le responsabilità dei suoi colleghi medici. Marco precisa però che la poveretta si era sottoposta alle cure di molti medici e aveva speso tutto ciò che aveva, ma anziché stare meglio era peggiorata (Mr 5:26). Vorrei farti notare questo particolare: δαπανήσασα τὰ παρ' αὐτῆς πάντα, letteralmente: “avente speso [femminile singolare] le di lei cose tutte”. Chi aveva speso tutto era lei e “le cose tutte” erano “di lei”. Dal che deduciamo che non era sposata.

Senza entrare nel merito della patologia dell’emorroissa, di cui tu tuttavia presenti un’accurata diagnosi, vado al punto: tu dici che “l’emorroissa può essere identificata verosimilmente con Cipro, la moglie di Erode Agrippa I il Grande”.
Ora, Erode Agrippa I e sua moglie Cipro ebbero una figlia (Berenice), nata verso l’anno 28. Se l’emorroissa fosse stata Cipro, avremmo una donna con una figlia di uno o due anni e senza un soldo che, avendo spesso tutto i suoi averi, va da sola da Yeshùa. C’è poi un altro particolare che riguarda la figura di Giovanna, donna nota perché moglie di Cuza (Lc 8:3). Luca la menziona al seguito di Yeshùa (Lc 8:1-3) mentre Marco non ne fa il nome (Mr 15:40,41). Non sarebbe quindi strano – ammesso e non concesso che l’emorroissa fosse Cipro – che Marco non la chiami per nome, però perché Luca nel passo parallelo non lo fa? Da lui ce lo aspetteremmo.

Personalmente la tua ipotesi non mi convince.
maximus55
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Iscritto il: martedì 5 dicembre 2017, 17:31

Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

Messaggio da maximus55 »

Gentilissimo Gianni, mi scuso innanzitutto per l’enorme ritardo, quasi dieci mesi, con cui ti giunge questa mia risposta. In verità, non avendo più io ricevuto altri messaggi dal dicembre 2017, ero ormai convinto che le comunicazioni con il Forum si fossero interrotte in maniera definitiva. Successivamente, sono intervenuti dei problemi tecnici con il mio computer, e solo recentemente sono riuscito a recuperare i dati che temevo di aver perduto. In secondo luogo, grazie per i complimenti che, fatti da uno studioso come te, mi onorano sinceramente e grazie ancora per la cortese attenzione che hai voluto riservarmi. Infine, come ho avuto già modo di scrivere a bgaluppi, nel tentare di offrirti una risposta il più possibile esauriente e articolata, forse rischierò, spero a vantaggio della chiarezza, di essere prolisso o ripetitivo. Chiedo pertanto anche a te, caro Gianni, un surplus di pazienza e di empatia. Fatta questa doverosa premessa, vengo subito al punto. Per semplicità ho suddiviso il tuo intervento critico in cinque parti.
1. Tu parli di scelte terminologiche intenzionali operate da Marco, il cui nome ebraico era Giovanni; costui era figlio di Maria di Gerusalemme (At 12:12,25) ed era cugino di Barnaba, un levita della diaspora (Col 4:10). Marco era quindi un ebreo, per cui mi sembra che – più che intenzionali – le sue scelte terminologiche furono dettate dalla conoscenza terminologica della Scrittura.
RISPOSTA. Sono perfettamente d’accordo con la tua osservazione: Marco/Giovanni è ebreo, conosce le scritture nella lingua originale e conosce anche la traduzione dei LXX. Le sue competenze linguistiche e le sue conoscenze bibliche gli consentono quindi di scegliere le espressioni più opportune e funzionali alle proprie intenzioni narrative. Ora le domande da porsi sono: nel caso della guarigione dell’emorroissa quali sono le espressioni scelte da Marco? E perché sceglie proprio quelle?
In primo luogo Marco sceglie l’espressione “ῥύσει αἵματος” di Mc 5,25, (identico a Lc 8,43; letteralmente: “[un] flusso di sangue”). Si tratta di una locuzione tratta dalla traduzione dei LXX di Lv 15,25 (in ebraico דָּמָהּ זֹוב “zōḇ dāmāh”), e viene usata dall’evangelista per definire, in modo sintetico e preciso, non solo lo stato d’impurità levitica della donna, che la escludeva di fatto dal culto pubblico del tempio, ma anche la patologia che ne era la causa.
“καὶ γυνή ἐὰν ῥέῃ ῥύσει αἵματος ἡμέρας πλείους οὐκ ἐν καιρῷ τῆς ἀφέδρου αὐτῆς ἐὰν καὶ ῥέῃ μετὰ τὴν ἄφεδρον αὐτῆς πᾶσαι αἱ ἡμέραι ῥύσεως ἀκαθαρσίας αὐτῆς καθάπερ αἱ ἡμέραι τῆς ἀφέδρου ἀκάθαρτος ἔσται” (Lv 15,25);
“La donna che ha un flusso di sangue per molti giorni, fuori del tempo delle mestruazioni, o che lo abbia più del normale, sarà impura per tutto il tempo del flusso, come durante le sue mestruazioni.” (Lv 15,25).
E’ da notare che questa particolare espressione possiede una singolarità: Lv 15,25 è l’unica occorrenza infatti, nella traduzione dei LXX, in cui la frase “ῥύσει αἵματος” è riscontrabile esattamente [1]. Questa singolarità potrebbe essere interpretata come una semplice coincidenza casuale senza alcun significato particolare, dettata appunto, come tu dici, “dalla conoscenza terminologica della Scrittura”. Ma a convincerci del contrario, nel brano di Marco, vi è un’altra espressione assai particolare. Essa riguarda la terminologia con cui l’evangelista, o la sua fonte, descrive la guarigione dell’emorroissa:
“καὶ εὐθὺς ἐξηράνθη ἡ πηγὴ τοῦ αἵματος αὐτῆς” (Mc 5,29); “E subito si seccò la fonte del sangue di lei”
Anche in questo caso siamo di fronte ad una espressione tratta da un brano del Levitico nella traduzione dei LXX, “πηγὴ τοῦ αἵματος” (pēgē toy haímatos “fonte del sangue”), e precisamente di Lv 12,7, ed anche in questo caso siamo in presenza di un’unica occorrenza: Lv 12,7 infatti è l’unico passo dei LXX in cui compare la locuzione “πηγὴ τοῦ αἵματος”.
La singolarità di queste espressioni ci costringe naturalmente a riflettere attentamente sui motivi che hanno spinto Marco ad utilizzare delle locuzioni così particolari. Le sue conoscenze linguistiche e bibliche gli consentivano certamente di scegliere delle espressioni diverse: basti pensare ad esempio al “καὶ ἀπέχυννε τὸ αἷμα ἐκ τῆς πληγῆς” (LXX) “fluebat autem sanguis plagæ” (Vulgata) di 1Re 22,35. Ma se Marco sceglie di utilizzare queste locuzioni così singolari, tratte per di più non da un testo narrativo, ma da un codice di natura giuridica come il Levitico, è perché esse rispondono ad una precisa intenzionalità dell’evangelista che con esse vuole suggerire evidentemente un ben preciso messaggio (un messaggio che non poteva esplicitare maggiormente e di cui spiegherò i motivi nell’ultima parte del mio post).
In particolare con l’espressione “πηγὴ τοῦ αἵματος”, che viene usata per descrivere la purificazione/guarigione dell’emorroissa, Marco ci sorprende, è il caso di dirlo, “letteralmente”: egli utilizza infatti una locuzione (Lv 12,7) che, nel testo biblico dei LXX, non solo compare una sola volta, ma soprattutto in un brano, dove non si accenna ad una generica purificazione da un flusso di sangue, ma si fa uno specifico riferimento alla purificazione di una puerpera:
“καὶ προσοίσει ἔναντι κυρίου καὶ ἐξιλάσεται περὶ αὐτῆς ὁ ἱερεὺς καὶ καθαριεῖ αὐτὴν ἀπὸ τῆς πηγῆς τοῦ αἵματος αὐτῆς οὗτος ὁ νόμος τῆς τικτούσης ἄρσεν ἢ θῆλυ” (Lv 12,7).
“Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei; ella sarà purificata dal flusso del suo sangue. Questa è la legge che riguarda la donna, quando partorisce un maschio o una femmina” (Lv 12,7).
La conclusione, nella sua logica consequenzialità, s’impone, a mio modesto parere, con il carattere della semplice evidenza: l’emorroissa, non molto tempo prima del suo incontro con Gesù, aveva partorito un figlio.
2. Tu sottolinei anche: dall’evangelista (Giovanni Marco) o dalla sua fonte. Quale fonte? Il vangelo marciano fu il primo ad essere scritto. Le fonti di Marco furono Pietro e la fonte Q (i lòghia), ma non possiamo spingerci troppo oltre facendo risalire a tali fonti le scelte terminologiche. Piuttosto, il Vangelo marciano fu la fonte degli altri due sinottici, Matteo e Luca, che seguirono la trafila di Marco.
RISPOSTA. Anche a questo riguardo non posso che concordare con la tua osservazione. Nel sottolineare Marco o la sua fonte, la mia intenzione non era quella di “indovinare”, dietro il testo del vangelo, fonti diverse da quelle già correttamente individuate dalla critica biblica, ma molto più semplicemente quella di ricordare al lettore che Marco poteva aver trovato le espressioni di cui abbiamo parlato già pronte e confezionate dalla tradizione.
3. Ora, Luca (che era medico) nel passo parallelo di Lc 8:43,44 si limita a dire che nessuno aveva potuto guarire la donna, attenuando così le responsabilità dei suoi colleghi medici. Marco precisa però che la poveretta si era sottoposta alle cure di molti medici e aveva speso tutto ciò che aveva, ma anziché stare meglio era peggiorata (Mr 5:26). Vorrei farti notare questo particolare: δαπανήσασα τὰ παρ' αὐτῆς πάντα, letteralmente: “avente speso [femminile singolare] le di lei cose tutte”. Chi aveva speso tutto era lei e “le cose tutte” erano “di lei”. Dal che deduciamo che non era sposata.
RISPOSTA. Concordo ovviamente con la tua analisi testuale, ma devo dissentire dalla conclusione che ne trai, e questo per un ben preciso motivo. E’ vero, come ha ben dimostrato Joachim Jeremias nello splendido saggio La situazione sociale della donna, posto in appendice al suo Gerusalemme al tempo di Gesù [2], che una donna sposata, pur potendo possedere dei beni (in particolare i cosiddetti “beni parafernali”), non poteva disporne liberamente poiché l’usufrutto spettava al marito, ma dalla generica espressione che “le cose tutte” erano “di lei” è una forzatura dedurne che l’emorroissa non fosse sposata. Si confronti a questo proposito il brano di Lc 8,1-3 in cui sono citate alcune donne che fungevano da supporto logistico e da sostentamento materiale del gruppo degli apostoli, sfruttando la loro posizione sociale e i beni di cui godevano, come sembra ricordare Luca, citando Giovanna, moglie di Cusa, sovraintendente di Erode, e i beni posseduti da queste donne. Questo consentiva loro di fornire a Gesù e ai suoi non solo un sostentamento materiale, ma probabilmente anche una certa protezione sociale.
1 Καὶ ἐγένετο ἐν τῷ καθεξῆς καὶ αὐτὸς διώδευεν κατὰ πόλιν καὶ κώμην κηρύσσων καὶ εὐαγγελιζόμενος τὴν βασιλείαν τοῦ θεοῦ, καὶ οἱ δώδεκα σὺν αὐτῷ, 2 καὶ γυναῖκές τινες αἳ ἦσαν τεθεραπευμέναι ἀπὸ πνευμάτων πονηρῶν καὶ ἀσθενειῶν, Μαρία ἡ καλουμένη Μαγδαληνή, ἀφ’ ἧς δαιμόνια ἑπτὰ ἐξεληλύθει, 3 καὶ Ἰωάννα γυνὴ Χουζᾶ ἐπιτρόπου Ἡρῴδου καὶ Σουσάννα καὶ ἕτεραι πολλαί, αἵτινες διηκόνουν αὐτοῖς ἐκ τῶν ὑπαρχόντων αὐταῖς.

1In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. 2 C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, 3 Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

Anche in questo caso vengono citati “i loro beni”, ἐκ τῶν ὑπαρχόντων αὐταῖς , letteralmente “con i beni di loro”, ma da ciò non si può trarre assolutamente la conclusione che non fossero sposate. Se ciò può essere forse sostenuto per la Maddalena, non può dirsi però certamente di Giovanna moglie di Cusa.



4. Senza entrare nel merito della patologia dell’emorroissa, di cui tu tuttavia presenti un’accurata diagnosi, vado al punto: tu dici che “l’emorroissa può essere identificata verosimilmente con Cipro, la moglie di Erode Agrippa I il Grande”. Ora, Erode Agrippa I e sua moglie Cipro ebbero una figlia (Berenice), nata verso l’anno 28. Se l’emorroissa fosse stata Cipro, avremmo una donna con una figlia di uno o due anni e senza un soldo che, avendo spesso tutto i suoi averi, va da sola da Yeshùa.
RISPOSTA. Per valutare esattamente l’ipotesi che sostengo, cioè l’identità tra l’emorroissa evangelica e Cipro, la moglie di Erode Agrippa I, occorre tenere ben presenti le coordinate spazio-temporali della vicenda. Secondo la cronologia tradizionale che ho adottato, l’episodio della guarigione dell’emorroissa va collocato nel gennaio dell’anno 29 d.C.[3], verosimilmente a Cafarnao[4]. Nel capitolo 5 del mio studio Chi mi ha toccato il mantello?, ho dimostrato che, tra il 28 e il 29 d.C., Agrippa era al servizio di Erode Antipa come agoranomo di Tiberiade (a circa 16 Km da Cafarnao) e che, pressappoco nello stesso intervallo di tempo, lui e sua moglie Cipro, avevano avuto da poco il loro figlio primogenito. Il bambino, il futuro “re Agrippa” di At 25,13, per la storia Agrippa II ( re di Batanea, Traconitide, Gaulanitide, Abilene e di un territorio alle falde del Libano chiamato Eparchia di Varo), doveva essere nato tra l’ottobre del 27 e il settembre del 28 d.C., poiché nella primavera-estate del 44, alla morte di suo padre, egli era nel suo 17° anno di età, cioè aveva compiuto 16 anni (cfr. Antichità Giudaiche 19,354). Inoltre è possibile anche affermare con relativa certezza che, nel gennaio del 29 d.C., Cipro era già incinta, o stava per esserlo, di Berenice, la sua secondogenita, nata tra l’ottobre del 28 e il settembre del 29 d.C..
L’ufficio di agoranomo di Tiberiade, cioè di commissario dei mercati, non solo elevava di rango Agrippa, ma prevedeva anche l’assegnazione di un’abitazione e di un adeguato stipendio. In queste circostanze, la situazione finanziaria di Cipro, non era già più come quella patita, pochi mesi prima, durante il soggiorno a Malatha in Giudea in cui Agrippa era stato assalito da turbe suicide a causa delle ristrettezze economiche in cui si era cacciato. A questo proposito, tornando per un attimo sul tema dei beni delle donne sposate, merita di essere ricordato che, per risolvere la congiuntura, Cipro «tra l’altro scrisse a Erodiade sorella di lui (di Agrippa ndr), moglie di Erode, tetrarca, spiegandole la determinazione presa da Agrippa e la necessità che lo aveva spinto a un tale passo e pregava Erodiade di volere soccorrere un suo congiunto: “Tu vedi, le diceva, quanta cura ho di sollevare in ogni modo il marito, benché le mie risorse non siano proprio come le tue”» (Antichità Giudaiche XVIII,148-149, traduzione di L. Moraldi).
Sulla figura dell’emorroissa va detto inoltre che, sulla base della concisa rappresentazione offerta dai racconti evangelici, molti autori, combinando intuizioni letterarie e deduzioni esegetiche, hanno ricostruito un’immagine dell’emorroissa particolarmente drammatica. Essa viene descritta come una donna ebrea, nata sotto la legge, ma che “ha paura della legge, delle regole, dei divieti […], ha vissuto in questa condizione durante dodici anni e ormai si è convinta di essere non soltanto impura, ma portatrice d’impurità. E, di conseguenza, indegna e peccatrice”[5]. Viene immaginata come una donna matura, di età media[6] , che, sebbene in grado cronologicamente di avere dei figli, soffrendo però di una emorragia da dodici anni, quasi sicuramente, non è mai rimasta incinta[7] . Il testo non fa menzione di alcun assistente, ne di una serva che l’accompagni, ne di un parente: sembra essere una donna sola al mondo. Anche se malata, può ancora muoversi, ma risiedendo, come sostengono alcuni, molto probabilmente a Cafarnao, essa è costretta a nascondersi, tra la folla dei suoi concittadini, travestendosi pesantemente e coprendosi il volto per non essere riconosciuta[8] . Anche se Marco nella sua narrazione racconta dei dettagli molto specifici, egli però tace su qualcosa che ogni donna che ascolta o legge la sua storia realizza immediatamente: la vita dell’emorroissa è un continuo lavare e asciugare panni assorbenti. Inoltre, nella sua condizione, essa potrebbe emettere degli odori sgradevoli e come tale, essere potenzialmente molto imbarazzante. La sua condizione d’impurità rituale che la esclude non solo dal culto e dalla vita comunitaria, ma che è anche fonte d’impurità per chiunque la tocchi, costituisce probabilmente un peso enorme per la sua famiglia da cui forse è stata infine emarginata. La sua vita, si ipotizza, è senza l’affetto di amici, genitori e figli; segnata dall’assenza di un normale contatto umano; priva dei diritti coniugali e delle garanzie che ne derivano; appesantita dalla fatica, a causa dell’anemia che quasi sicuramente l’affligge, dalla necessità di lavare costantemente i propri indumenti, oberata dalle spese a causa delle implicazioni economiche di una malattia cronica[9].
In base a questi elementi, a parere di molti, sembra dunque che i vangeli, parlando dell’emorroissa, vogliano trasmetterci l’immagine di una donna sola, isolata, impoverita, malata, anemica e sterile; forse addirittura in pericolo di vita. E’ lecito però domandarsi se i testi autorizzino completamente una simile ricostruzione, oppure se essa non sia il frutto, più o meno consapevole, di una visione preconcetta dei fatti. In realtà, altri autori, analizzando l’episodio biblico da un’altra angolazione, ci consegnano un’immagine dell’emorroissa completamente diversa. Per Marla J. Selvidge, ad esempio, “il ritratto della ‘donna con un flusso di sangue’ è in diretto contrasto con il ritratto che gli autori levitici, con la loro visione androcentrica, offrono. La donna marciana è attiva. Non è limitata nella sequenza del racconto. Essa tocca, conosce, scopre, e poi agisce (Mc 5,27.29.33). I suoi problemi ginecologici l’hanno terribilmente angosciata, però non l’hanno isolata dalla società (Mc 5,26), come avrebbero invece stabilito gli autori del Levitico. (Lv 15,19.28)”[10]. N. Calduch fa notare che “nessuna donna in stato d’impurità oserebbe mai di propria iniziativa toccare un uomo sconosciuto in pubblico […], (ma l’emorroissa) vuole essere guarita, e questo suo desiderio è più forte della legge, della cultura, della tradizione […]. Con il gesto azzardato di toccare il mantello di Gesù la donna esprime fiducia in se stessa; esprime capacità di decisione ed un coraggio inaudito. Vuole vivere e così non esita a sfidare l’ordine stabilito”[11]. In tal modo, anche il suo comparire in pubblico da sola, senza alcun aiuto, più che il segno di una solitudine e di un’emarginazione sociale, può essere riguardato, invece, come l’espressione di una libertà d’azione e di movimento che la stessa autonoma gestione delle proprie risorse economiche (“spendendo tutti i suoi averi”) lascia intravvedere. In questa prospettiva, colpisce allora la contraddizione tra lo stato di debolezza fisica indotto normalmente da una grave metrorragia ed il comportamento attivo della donna che tra l’altro, come si è già detto, appare agire da sola. In realtà la discrepanza è soltanto apparente; infatti, sulla base di quanto si è detto, abbiamo motivo di credere che l’iniziativa, il coraggio e la determinazione mostrata dall’emorroissa fossero dovute, non tanto, o almeno non solo, al suo desiderio, peraltro comprensibilissimo, di guarire definitivamente dalla sua malattia, quanto piuttosto al fatto di avere un figlio da accudire: un figlio che doveva essere nato non molto tempo prima.
5. C’è poi un altro particolare che riguarda la figura di Giovanna, donna nota perché moglie di Cuza (Lc 8:3). Luca la menziona al seguito di Yeshùa (Lc 8:1-3) mentre Marco non ne fa il nome (Mr 15:40,41). Non sarebbe quindi strano – ammesso e non concesso che l’emorroissa fosse Cipro – che Marco non la chiami per nome, però perché Luca nel passo parallelo non lo fa? Da lui ce lo aspetteremmo.
RISPOSTA. Per comprendere adeguatamente non solo perché Luca non citi Cipro tra le donne che assistevano Gesù con i loro beni, ma anche la riservatezza con cui l’episodio viene trattato, occorre far riferimento alle circostanze storiche in cui i vangeli sinottici e gli Atti degli apostoli vengono redatti, e in particolare ai protagonisti della scena politica. Senza entrare in dettagli o discussioni specialistiche, per quanto concerne il nostro scopo, è sufficiente riconoscere che, entro gli anni 80-90 del I secolo d.C., tutti i vangeli sinottici e gli Atti degli apostoli avevano già visto la luce.
A questa data regnava ancora Agrippa II, il “re Agrippa” di At 25,13, il figlio primogenito di Cipro e Agrippa I. Allevato a Roma, nel 50 d.C., Agrippa II era stato nominato tetrarca della Calcide nel Libano; nel 53 l’imperatore Claudio gli aveva concesso il potere di nominare i sommi sacerdoti di Gerusalemme e nello stesso anno, in cambio della Calcide, lo nominò re della Batanea, Traconitide, Gaulanitide, Abilene e di un territorio alle falde del Libano chiamato Eparchia di Varo. Fu sempre amico dei romani e governò sempre secondo il loro volere, anche durante la rivolta giudaica del 66, che si concluse con la distruzione del tempio di Gerusalemme, in cui tentò di indurre gli Ebrei alla resa e per questo venne ricompensato da Roma con ingrandimenti territoriali. Nella vita privata, Agrippa II fu anche noto per le voci che corsero intorno ai suoi particolari rapporti con la sorella Berenice, presente anche lei nell’udienza di Paolo narrata in At 25,13. Costei, rimasta vedova a soli vent'anni visse per qualche tempo alla corte del fratello, all’epoca ancora tetrarca di Calcide, destando scalpore per una supposta storia d'incesto. Quando lo scandalo divenne pubblico, Berenice, per mettere a tacere le voci maligne, riuscì ad indurre il re Polemone II di Cilicia a sposarla e a sottoporsi alla circoncisione. Il matrimonio probabilmente avvenne dopo il 64, ma la principessa non resistette a lungo a fianco di Polemone, e ritornò dal fratello. Invaghitasi successivamente del generale Tito lo raggiunse a Roma nel 79, quando, alla morte di Vespasiano, salì al potere. Tuttavia malelingue costrinsero i due a lasciarsi. La tradizione ebraico-cristiana la descrive come donna dedita ai vizi più immondi, come emerge anche dall'epiteto "Berenice la meretrice".
Con queste premesse, non è difficile capire perché il nome di Cipro non compare esplicitamente nel Nuovo Testamento: non era affatto consigliabile coinvolgere in modo sconsiderato simili personaggi, così vicini ai vertici del potere imperiale, in un periodo di persecuzioni e di ribellioni in cui giudei e cristiani non si distinguevano ancora sufficientemente l’uno dall’altro. Non si deve poi dimenticare che il padre di Agrippa II e di Berenice, cioè Agrippa I il marito di Cipro, fu colui che “cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni”, e che “vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro.” (At 12,1-3). Agrippa II non giunse mai a questi eccessi, anzi nell’udienza di Paolo a cui fu invitato dal governatore Festo, il suo atteggiamento fu improntato alla massima tolleranza. A questo riguardo è interessante rilevare come la certezza di Paolo nel ritenere Agrippa un uomo che crede nei profeti, primo fra tutti Gesù “che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo” (Lc 24,19), possano suggerire discretamente, che le conoscenze di Agrippa erano basate su una fonte particolarissima, quella appunto, secondo me, trasmessagli da sua madre Cipro.
“Mentre egli (Paolo ndr) parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: «Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!». E Paolo: «Non sono pazzo - disse - eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge. Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso infatti che niente di questo gli sia sconosciuto, perché non sono fatti accaduti in segreto. Credi, o re Agrippa, ai profeti? Io so che tu credi»”.( Atti 26,24-27).
Vi è infine un ultimo elemento che giustifica la riservatezza di cui è circondato l’episodio dell’emorroissa e cioè il fatto che, se accettiamo l’identità Cipro = emorroissa, il figlio Agrippa risulterebbe concepito in stato di grave impurità dei genitori, e di conseguenza sarebbe stato dichiarato un mamzer, cioè un “bastardo”. Come è noto, il sostantivo ebraico mamzer (in ebraico: ממזר‎), nella Bibbia ebraica (Tanakh) e nella Legge ebraica (Halakhah), indica una persona nata da una relazione proibita o discendente da tale persona.
Nella tradizione ebraica l'atteggiamento speciale nei confronti del mamzer appare già nel Pentateuco. Deuteronomio 23,1-9 contiene una raccolta di leggi incluso quella del mamzer:
“Nessuno sposerà una moglie del padre, né solleverà il lembo del mantello paterno. Non entrerà nella comunità del Signore chi ha i testicoli schiacciati o il membro mutilato. Il bastardo (=mamzer) non entrerà nella comunità del Signore; nessuno dei suoi, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. L'Ammonita e il Moabita non entreranno nella comunità del Signore; nessuno dei loro discendenti, neppure alla decima generazione, entrerà nella comunità del Signore. Non vi entreranno mai, perché non vi vennero incontro con il pane e con l'acqua nel vostro cammino, quando uscivate dall'Egitto, e perché, contro di te, hanno pagato Balaam, figlio di Beor, da Petor in Aram Naharàim, perché ti maledicesse. Ma il Signore, tuo Dio, non volle ascoltare Balaam, e il Signore, tuo Dio, mutò per te la maledizione in benedizione, perché il Signore, tuo Dio, ti ama. Non cercherai né la loro pace né la loro prosperità; mai, finché vivrai. Non avrai in abominio l'Edomita, perché è tuo fratello. Non avrai in abominio l'Egiziano, perché sei stato forestiero nella sua terra. I figli che nasceranno da loro alla terza generazione potranno entrare nella comunità del Signore” (Dt 23,1-9).
Su questo specifico argomento sono illuminanti le parole di Jeremias[12] secondo il quale, nel I secolo d.C., erano considerati mamzer “tutti i discendenti di una unione vietata nella Torah”, un’interpretazione, che trovava i suoi massimi esponenti in Rabbi Aqiba e Rabbi Yoshua, e che risultava molto più rigorosa di quella che invece prenderà piede nel secolo successivo. Tra le unioni vietate c’era appunto quella di avere rapporti con una donna mestruata:
“Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l'immondezza mestruale” (Lv 18,19)
Se ne deduce che “il gruppo di popolazione che con i propri discendenti veniva designato da questo termine (mamzer ndr) era abbastanza importante. Le persone segnate dalla macchia grave del mamzer erano ben note, anche se, come è facilmente intuibile, cercarono di nasconderla […]. Ai bastardi era vietato contrarre matrimonio, anche quello leviratico, con membri delle famiglie di sacerdoti, di leviti e di Israeliti e con figli illegittimi di sacerdoti. Essi potevano sposarsi soltanto con membri di famiglie di proseliti, di schiavi affrancati e di Israeliti gravemente macchiati […]. Egli non aveva accesso alle dignità pubbliche; la sua partecipazione a una decisione del Sinedrio o di un tribunale di 23 membri rendeva invalida quest’ultima. Gli era soltanto consentito di essere giudice nelle decisioni di diritto civile in un tribunale di tre membri. Se si pensa che la macchia del bastardo colpiva tutti i discendenti maschi per sempre e in modo indelebile, e che si discuteva, persino vivacemente, per sapere se le famiglie dei bastardi avrebbero preso parte alla liberazione finale d’Israele, si comprende come la parola bastardo abbia costituito una delle ingiurie peggiori; chi la usava veniva punito con 39 colpi di frusta”[13] Giova notare che Agrippa II fu l’unico maschio della dinastia erodiana di cui si sa con certezza che non si sposò mai. Secondo Photius , Agrippa morì, senza figli, all'età di settant'anni, nel terzo anno del regno di Traiano, cioè 100 d.C., ma secondo gli studi moderni sembra che sia morto prima del 93/94. Fu l'ultimo principe della dinastia nata da Erode il Grande.
CONCLUSIONE. Se la mia ricerca fosse di natura esegetica, anch'io riterrei, come qualcuno mi ha detto, che non "sia così indispensabile conoscere il nome dell'emorroissa per comprenderne la pericope" e del resto, a questo scopo, non lo hanno ritenuto necessario neppure gli evangelisti. Tuttavia, poiché la mia ricerca è invece di natura storica credo che se riuscissimo a dimostrare, con sufficiente certezza, che l'emorroissa e Cipro siano la stessa persona ciò rappresenterebbe, non solo un nuovo ed interessante elemento biografico per inquadrare la figura storica di Gesù, ma aiuterebbe ad illuminare anche alcuni eventi di non lieve importanza. Ne cito solo due tra i primi che mi sovvengono:
A) Come certo ricorderai, a proposito della morte di Giovanni Battista, Marco scrive che "Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea." (Mc 6,21). A questo riguardo ci si presentano tre casi: o Erode era d'accordo con la moglie sin dall'inizio e la sua tristezza è una finzione; oppure egli pensava di liberare il Battista servendosi del banchetto e dell'approvazione ufficiale dei commensali alle sue nozze con Erodiade; oppure quello che dice Marco è vero: Erode non era d'accordo con la moglie, non aveva intenzione di liberare il Battista e decise di eliminarlo solo perché aveva fatto un giuramento davanti a testimoni di prestigio”: "Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto." (Mc 6,26). A questo proposito si può ben ipotizzare che tra i “notabili della Galilea” invitati al banchetto dell’ Antipa ci fossero anche Cipro e suo marito Erode Agrippa e che quest’ultimo, visto il suo interesse perché si stabilizzasse la posizione di sua sorella Erodiade, avesse svolto un’attiva e pubblica opera di persuasione affinché Antipa si impegnasse con un giuramento. Quest’opera d’istigazione potrebbe poi essere alla base dell’ostilità, che sorgerà di lì a poco, tra Antipa e Agrippa stesso (cfr. Antichità Giudaiche 18,150).

B) In Atti 12,5-19 si narra la “miracolosa” liberazione dal carcere di Pietro. Ora, se Cipro può identificarsi con l’emorroissa, avremmo una simpatizzante cristiana addirittura a fianco di re Erode Agrippa I, e costei potrebbe aver svolto un ruolo notevole nella liberazione del capo degli apostoli.
Spero vivamente che tu abbia il tempo, e la voglia, di approfondire questa mia ipotesi , il tuo giudizio e le tue critiche, sia positive che negative, mi aiuterebbero moltissimo.
Grazie e a presto.
NOTE:
[1]: In Lv 15,19 troviamo un’espressione simile, ma non identica: “καὶ γυνή ἥτις ἐὰν ᾖ ῥέουσα αἵματι ἔσται ἡ ῥύσις αὐτῆς ἐν τῷ σώματι αὐτῆς ἑπτὰ ἡμέρας ἔσται ἐν τῇ ἀφέδρῳ αὐτῆς πᾶς ὁ ἁπτόμενος αὐτῆς ἀκάθαρτος ἔσται ἕως ἑσπέρας”; “Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, per sette giorni resterà nell’impurità mestruale; chiunque la toccherà sarà impuro fino alla sera.” (Lv 15,19). Anche nell’originale ebraico le due espressioni sono simili, ma non identiche: “זָבָ֔ה דָּ֛ם” (Lv 15,19), “דָּמָהּ זֹוב” (Lv 15,25).
[2]: J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù: ricerche di storia economica e sociale per il periodo neotestamentario. Bologna, 1989, pp. 539-563, cfr. in particolare p. 550, nota 73.
[3]: Cfr. Pietro Vanetti,Il Vangelo, unificato e tradotto dai testi originali(schema cronologico). Con la collaborazione di Alfonso Mattedi, Fabio Bertoli, Gabriele Casolari, Nereo Venturini. Presentazione di Alberto Vaccari. Missioni. 1961.
[4]: Schmidt vorrebbe spostare la storia a Betsaida, sulla riva nord-orientale del lago di Tiberiade. Egli infatti è convinto, ma su basi insufficienti, che l’espressione eis to peran sia un elemento formale che fa sempre riferimento alla sponda orientale: cfr. K. L. Schmidt, Der Rahmen der Geschichte Jesu: literarkritische Untersuchungen zur ältesten Jesusüberlieferung. Trowitzsch, 1919, p. 145.
[5]: N. Calduch-Benages, La guarigione dell’emorroissa (Mc 5,25-34). Un dialogo corporale terapeutico, in Insieme per servire 54 (2002), pp. 8-20, con alcune varianti, pp. 8-9.
[6]: R. G. Branch, A study of the woman in the crowd and her desperate courage (Mark 5: 21-43), in Die Skriflig 2013, 47.1, pp. 319-331, p. 2.
[7]: Cfr. L. L. Wall, 2010, Jesus and the unclean woman. How a story in Mark’s gospel sheds light on the problem of obstetric fistula, in Christianity Today, gennaio 2010, 48–52. (L. Lewis Wall è professore di ostetricia e ginecologia nella Scuola di Medicina e professore di antropologia nel College of Arts and Sciences della Washington University di St. Louis, MO).
[8]: R. G. Branch, A study, cit.. p. 2.
[9]: R. G. Branch, A study, cit.. p. 2.
[10]: M. J. Selvidge, Mark 5: 25-34 and Leviticus 15: 19-20. A Reaction to Restrictive Purity Regulations, in Journal of Biblical Literature 1984, 103.4, pp. 619-623, p.623.
[11]: N. Calduch-Benages, La guarigione dell’emorroissa, cit., p. 9.
[12]: J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù, cit., pp. 508-515.
[13]: Cfr. J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù, cit., pp. 513-515.
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Gianni
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Caro Maximus55, ti rinnovo i miei complimenti per la tua competenza biblica analitica. :YMAPPLAUSE:

Personalmente devo attenermi al testo sacro, in cui all’emorroissa i tre sinottici non danno un nome. La tua, quindi, rimane un’ipotesi. E non è l’unica. La tradizione diede all’emorroissa il nome di Berenice; Eusebio, nella sua Storia Ecclesiastica, dice in VII, 18 di aver visto a Cesarea di Filippo (la città di Berenice) il monumento da lei fatto erigere a ricordo della sua miracolosa guarigione.

Tu hai comunque svolto un gran lavoro, e sarebbe un peccato accantonarlo. Ti propongo di ricavarne uno studio. Potresti usare come base ciò che hai scritto, arricchendolo – se ritieni -, e presentare la tua valutazione indipendente, ovvero senza dibattito, da studioso. Te ne garantisco sin da subito la pubblicazione integrale in Ricerche Bibliche, la rivista della Facoltà Biblica. Che te ne pare? :-)
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Caro Gianni, sulle tue amichevoli parole "getterò le reti". Cercherò di preparare al più presto una sintesi ragionata delle mie ricerche e appena sarà pronta te la farò leggere in anteprima. Grazie di nuovo per i complimenti.
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Gianni
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Caro Maximus55, non una sintesi, ma uno studio completo. :-) Grazie.
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

Messaggio da maximus55 »

Sarai esaudito. Dovresti dirmi però i limiti di spazio che eventualmente avrei a disposizione.
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Gianni
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Quelli che vuoi. Se lo studio è troppo lungo, abbiamo a disposizione la pubblicazione Studi controversi (http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=4348" onclick="window.open(this.href);return false;).
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Benissimo. Grazie
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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:-)
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Re: “Chi mi ha toccato il mantello?”. L'identità dell'emorro

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Carissimo Gianni, come ti avevo promesso ho riordinato i miei appunti riguardo la ricerca sull'identità dell'emorroissa evangelica e ho provveduto a dar loro anche una veste grafica più o meno accettabile. Ne è scaturito un lavoro di circa 200 pagine corredato di schemi, cartine e fotografie. Ora però dovresti spiegarmi come inviartelo. Tieni presente che io non sono un esperto informatico. Grazie e a presto.
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