Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Da questi versetti si comprende bene il significato di essere “figlio di Dio”
Perdonami Antonio, ma non è una vera spiegazione questa. La mia domanda era specifica.
Usando gli stessi versi da te citati appare in realtà ancora più evidente un differente utilizzo del concetto di figli di Dio tra SG e SE. Innanzitutto l'espressione letterale "figli di Dio" al plurale non compare nei passi da te citati (infatti quelli in cui compare li ho già citati quasi tutti).
Dove l'espressione compare nelle SG è sempre subordinata a qualcosa che l'uomo deve fare per "guadagnarsi" l'essere figlio di Dio. C'è sempre un requisito, che tra l'altro non è nemmeno lo stesso in tutti i passi.. Io agisco in un certo modo ----> allora divento figlio di Dio. Nelle SE il concetto appare presentato in maniera differente e non c'è quella parvenza di "classe" dei figli di Dio che permea le SG. Piuttosto è Dio, senza che un'azione precisa venga compiuta dall'uomo, che decide di chiamarlo suo figlio. Negare questa differenza sarebbe un'arrampicata sugli specchi.
Per precisione, l'espressione figli di Dio compare quasi il doppio delle volte nelle SG rispetto a quelle ebraiche.
Tu dici che i benè haElohim di Genesi non centrano niente con i figli di Dio nelle SG....e forse hai più ragione di quanto pensi. Infatti la domanda è: che ebrei erano coloro che hanno usato quell'espressione nelle SG, sapendo bene a cosa era riferita nel Tanakh (a prescindere dal fatto che si trattasse di angeli o di principi umani)? Potevano usare decine di sinonimi o altre espressioni..invece hanno scelto precisamente di parlare di figli di Dio (in riferimento all'uomo) e di come fare per diventarlo. Concetto, quello del "guadagnarsi" l'essere figli di Dio che, all'atto pratico, non esiste nelle scritture ebraiche.
L'unico passo che sembra mostrare coerenza con le SE è quello di Lc che ho citato: "e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio". Qui si dice che chi morirà e risorgerà sarà uguale agli angeli e quindi figlio di Dio e sembra proprio evidente il riferimento ai benè HaElohim di Gn. Resta comunque incoerente con diversi altri passaggi... per non parlare del fatto che non tutti all'interno dell'ebraismo vedevano e vedono nell'espressione figli di Dio di Gn un riferimento agli angeli, bensì a principi umani..e qui ci sarebbe da aprire un dibattito a parte.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=3138" onclick="window.open(this.href);return false;

Ai tempi di Yeshùa si attendeva un messia re, che avrebbe portato ad Israele quella gloria promessa dalle Scritture. Inutile dire che Yeshùa deluse le aspettative dei giudei, in quanto finì appeso ad una croce (o palo) come un comune malfattore. Yeshùa non divenne il re che tutti si attendevano, e non innalzò Israele su tutti gli altri popoli come ci si aspettava. Il problema fu che gli ebrei avevano delle aspettative preconcette. Egli, per volontà di Dio, fece molto di più, e ciò è ben espresso da Eb 8 e 9.

Tutto si fonda sulla risurrezione. Naturalmente, chi non crede alla risurrezione di Yeshùa e, quindi, non crede che Yeshùa fosse il messia, non crede nel regno di Dio ultraterreno e nella trasformazione e rinascita degli uomini in "figli di Dio", ossia in qualcosa di infinitamente diverso e superiore a ciò che siamo adesso. Yeshùa disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà” (Gv 11:25) e “chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5:24). Egli afferma che Dio ha per gli uomini, Sue creature predilette, un progetto infinitamente superiore a quello della mera "sopravvivenza" terrena. Ci possiamo credere oppure no, ma questo è ciò che afferma.

Difficile, però, pensare che Dio, l'Eterno Signore onnipotente e trascendente alla creazione, crei degli esseri "a Sua immagine e somiglianza", così superiori agli animali, perché vivano eternamente in un mondo materiale, che certamente non rispecchia la natura divina e spirituale del Creatore.

Anche l'ebraismo "classico" afferma la necessità della fede nella risurrezione dei morti, che è indissolubilmente legata alla figura del messia (vedi i 13 principi di fede di Maimonide); e davvero possiamo pensare che, dopo che un essere umano ha vissuto in una condizione materiale ed è morto, il Dio Eterno e puro spirito trascendente lo faccia risorgere nella stessa condizione materiale? Soprattutto, abbiamo la conoscenza e l'autorità per affermare con certezza come sarà il messia e in che modo i morti risorgeranno? La abbiamo attraverso Yeshùa, che lo dimostrò, e rivelò il disegno di Dio per ogni uomo che crede in lui e in Colui che lo ha mandato. Ma, di nuovo, è una questione di fede. Se non si crede in Yeshùa, le risposte dipendono comunque dall'interpretazione.

È interessante chiedersi: la rivelazione di Yeshùa è conforme al Tanach, ossia non lo contraddice, oppure trattasi di qualcosa di nuovo ed estraneo ad esso? Esaminando le Scritture Greche senza il preconcetto del rifiuto di Yeshùa a prescindere, possiamo fare delle considerazioni molto interessanti, anche svincolate dalla fede.
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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Se non si crede in Yeshùa, le risposte dipendono comunque dall'interpretazione.
Io posso anche crederci, ma questo non cambia nulla. E soprattutto non risponde alla domanda: che ebrei erano coloro che nelle SG parlano di Figli di Dio in maniera del tutto diversa da come viene fatto nelle SE?
Ora, anche se ritenessi che Gesù non è stato "solamente" un maestro ebreo sul quale è stata inventata una storia a scopi politici, resterebbe comunque da capire il perchè di una simile scelta da parte di persone come Luca Matteo e soprattutto Giovanni che erano ebrei e, nonostante non fossero dei maestri di alto livello, si presuppone che conoscessero almeno le basi della loro lingua e cultura. Alla luce di ciò, sempre ammesso che fossero davvero ebrei, ribadisco la domanda... perchè un ebreo dovrebbe usare una precisa espressione (con un preciso significato) contenuta nel Tanakh con un'intenzione e un significato diversi da quello che la tradizione insegna?
Sono certo che i nostri amici ebrei saprebbero argomentare egregiamente sulla questione :YMHUG:
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Ripeto che l'essere "figlio di Dio" non indica un rapporto generativo, come nelle culture pagane, ma relazionale. Il re e Israele non sono forse figli di Dio? Ma non sono i bene haelohim di Genesi. Ora, se il re è figlio di Dio, e se Israele è figlio di Dio, e se tutti gli uomini (anche i pagani) sono figli di Dio, quale sarebbe la differenza tra il re, Israele e tutti gli uomini? Forse i pagani sono uguali al re di Israele e a Israele stesso? No di certo; Dio distingue i "Suoi figli" da quelli che non lo sono. Prova a capire l'uso che viene fatto del termine "figlio".

Anche gli israeliti come gruppo di persone sono figli di Dio, distinti da chi non è israelita:

אֹמַ֤ר לַצָּפֹון֙ תֵּ֔נִי וּלְתֵימָ֖ן אַל־תִּכְלָ֑אִי הָבִ֤יאִי בָנַי֙ מֵרָחֹ֔וק וּבְנֹותַ֖י מִקְצֵ֥ה הָאָֽרֶץ
“Dirò al settentrione: «Da'!» E al mezzogiorno: «Non trattenere»; fa' venire i miei figli da lontano e le mie figlie dalle estremità della terra” (Is 43:6)

Il messia, piú di ogni altro, è figlio di Dio.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

כִּ֛י נַ֥עַר יִשְׂרָאֵ֖ל וָאֹהֲבֵ֑הוּ וּמִמִּצְרַ֖יִם קָרָ֥אתִי לִבְנִֽי
Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto (Os 11:1)

לִבְנִֽי da בֵּן (ben)

Ma in che senso Israele è figlio di Dio? Nello stesso senso con cui il messia è figlio di Dio, e “tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio” (Rm 8:14), secondo un rapporto relazionale intimo, come spiega chiaramente Paolo. Bisogna capire l'uso dell'epiteto "figlio di Dio" a seconda del messaggio che il testo trasmette e all'interno di un contesto.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Nella letteratura tarda e post-biblica il termine figlio assume un uso piú colloquiale e si riferisce anche al singolo uomo giusto:

בְּ֭נִי תֹּורָתִ֣י אַל־תִּשְׁכָּ֑ח וּ֝מִצְוֹתַ֗י יִצֹּ֥ר לִבֶּֽךָ
Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento, e il tuo cuore custodisca i miei comandamenti (Pr 3:1)

“Figlio, bada alle circostanze e guàrdati dal male così non ti vergognerai di te stesso” (Siracide 4:20)
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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Ma in che senso Israele è figlio di Dio? Nello stesso senso con cui il messia è figlio di Dio
Forse non mi spiego bene.
Nelle SE non c'è il discorso di doversi guadagnare l'essere figli di Dio. Come ho già sottolineato due volte, nelle SG l'essere figli di Dio è subordinato ad un comportamento da tenere (o non tenere), come se fosse una specie di premio. Nell SE indica appartenenza, relazione, ma a totale discrezione di Dio che sceglie. Nelle SE non esiste che qualcuno debba fare qualcosa per diventare figlio di Dio.
Israele è "per forza" figlio di Dio...altrimenti che popolo eletto sarebbe?

Inoltre, non riesco a spiegarmi su un altro punto. Antonio, tu continui a portare esempio in cui compaiono i termini padre e figlio ma mai dove compare esattamente "figli di Dio". E' su questo punto che insisto. Non è la stessa cosa. Non vorrai dirmi che "Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d'Egitto " ha lo stesso peso di "..essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio". Noti la differenza? Nel caso delle SE Dio sceglie Israele come suo figlio, punto e basta. Nessuno ha dovuto rispettare alcun requisito che non fosse la sola appartenenza a quel popolo (anzi, a dire il vero gli ebrei spesso e volentieri ne hanno fatte di tutti i colori per non meritarsi quell'appellativo), mentre nel secondo caso (e negli altri delle SG) si parla di figli di Dio come di una "classe", un popolo "parallelo" al popolo che comprende solo coloro che rispettano certi requisiti...è un discorso selettivo, di stampo elitario, mentre nelle SE è inclusivo, esteso a tutti a prescindere e privo di pre-condizioni da rispettare.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Nelle SE non c'è il discorso di doversi guadagnare l'essere figli di Dio
Ricorda che Dio fece perire gli israeliti che commisero idolatria nel deserto. E chiunque non mette in pratica i Suoi comandamenti non entrerà nel Suo riposo:

“6 Venite, adoriamo e inchiniamoci,
inginocchiamoci davanti al SIGNORE, che ci ha fatti.
7 Poich'egli è il nostro Dio,
e noi siamo il popolo di cui ha cura,
e il gregge che la sua mano conduce.
8 Oggi, se udite la sua voce,
non indurite il vostro cuore come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
9 quando i vostri padri mi tentarono,
mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere.
10 Quarant'anni ebbi in disgusto quella generazione,
e dissi: «È un popolo dal cuore traviato;
essi non conoscono le mie vie».
11 Perciò giurai nella mia ira:
«Non entreranno nel mio riposo!»” – Sl 95:6-11

Dunque, certamente è necessario guadagnarsi di essere Suoi figli, perché non si può pensare di esserlo senza mettere in pratica i Suoi comandamenti. Se non ci fosse bisogno di mettere in pratica i comandamenti, per relazionarsi a Lui (essere "figli"), non ci sarebbe bisogno di alcun comandamento. In Chabad.org leggo:

“D-o non ha bisogno di noi; Lui ci vuole. Non ci ha dato i Suoi comandamenti perché ha bisogno che vengano messi in pratica, ma perché Lui vuole che noi ci relazioniamo a Lui. Se fossimo stati creati perché D-o aveva bisogno che noi facessimo qualcosa, allora noi saremmo secondari a quella missione -- una volta che la missione fosse stata compiuta non ci sarebbe piú bisogno di noi. Ma D-o non ha bisogno di nulla. Lui ha scelto di portarci all'esistenza in virtù di un atto di puro amore.”

Rapporto relazionale, che ci consente di essere Suoi figli. Il concetto che siamo "tutti" figli di Dio è troppo generico. È questo il senso che essere "figli di Dio" esprime nelle SG. Attraverso l'obbedienza - che non è mera ripetizione quotidiana di gesti, riti e parole - si stabilisce questo rapporto relazionale che ci consente di chiamare Dio "Padre" e di essere chiamati da Lui "figli". Sarebbe troppo comodo ignorare i comandamenti e pensare di essere Suoi figli comunque.
nelle SG l'essere figli di Dio è subordinato ad un comportamento da tenere (o non tenere), come se fosse una specie di premio
Questo lo dicono spesso quelli che rifiutano le SG, tanto per sollevare polverone. Il concetto di premio è puramente simbolico, infatti è esattamente il contrario. Non si può obbedire a Dio per convenienza; però, se si sceglie di non farlo, non si può neppure pretendere che Dio ci consideri Suoi figli. Altrimenti, di nuovo, che bisogno ci sarebbe dei coandamenti? Se siamo già Suoi figli, inutile farsi tanti scrupoli sull'obbedienza; un padre che ama i suoi figli li ama incondizionatamente. Ma Dio è giusto e santo, e ci ordina di essere giusti e santi, perché solo cosí possiamo relazionarci a Lui, essere "Suoi figli". Questo è il senso dell'essere figli di Dio.
Israele è "per forza" figlio di Dio...altrimenti che popolo eletto sarebbe?
Non si è figli di Dio per diritto di nascita, altrimenti Dio farebbe favoritismi e non sarebbe giusto: “perché davanti a Dio non c'è favoritismo” (Rm 2:11), “Ora, il timor del Signore sia in voi; agite con prudenza, poiché presso il Signore, nostro Dio, non c'è perversità, né favoritismi, né si prendono regali” (2Cr 19:7). Chi appartiene ad Israele deve comunque obbedire ai comandamenti, o non sarà considerato piú parte del Suo popolo. Pensare di essere "figlio di Dio" solo perché si è nati da madre ebrea e si è circoncisi è ingenuo e non è biblico. Infatti, Dio fece perire quelli che disobbedirono nel deserto. E la Bibbia dice chiaramente che chi non obbedisce sarà tagliato fuori. Dio chiama Israele Suo figlio perché lo ha generato Lui, dalla stirpe di un uomo giusto che Si scelse; chiama Davide Suo figlio nel momento in cui lo intronizza (stessa cosa per Salomone); chiama Yeshùa Suo figlio nel momento in cui lo consacra, lo "unge" e lo intronizza; chiama "figlio" ogni uomo che obbedisce alla legge del Suo spirito, secondo un rapporto relazionale.

Non devi fissarti sul termine "figli di Dio". Ti ho dimostrato come l'uso di questo epiteto sia vario, a seconda del messaggio che il testo intende comunicare. In generale, direi che coloro che Dio considera figli, sono quelli che obbediscono ai Suoi comandamenti o vengono prescelti.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Rm 9:6-13:

“6 Però non è che la parola di Dio sia caduta a terra; infatti non tutti i discendenti d'Israele sono Israele; 7 né per il fatto di essere stirpe d'Abraamo, sono tutti figli d'Abraamo; anzi: «È in Isacco che ti sarà riconosciuta una discendenza». 8 Cioè, non i figli della carne sono figli di Dio; ma i figli della promessa sono considerati come discendenza. 9 Infatti, questa è la parola della promessa: «In questo tempo verrò, e Sara avrà un figlio». 10 Ma c'è di più! Anche a Rebecca avvenne la medesima cosa quand'ebbe concepito figli da un solo uomo, da Isacco nostro padre; 11 poiché, prima che i gemelli fossero nati e che avessero fatto del bene o del male (affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, 12 che dipende non da opere, ma da colui che chiama), le fu detto: «Il maggiore servirà il minore»; 13 com'è scritto: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù».”
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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

affinché rimanesse fermo il proponimento di Dio, secondo elezione, 12 che dipende non da opere, ma da colui che chiama
Questo non è esattamente quello che dicevo io? Ovvero che l'elezione da parte di Dio non dipende dalle opere?
Il GLNT riporta che ad oggi non esistono prove testuali che dimostrino che nel giudaismo precedente al cristianesimo si sia mai usato per il messia il titolo di "figlio di Dio".
Approfondirò con il midrash, limitatamente alle mie capacità.
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