Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Il messia non è mai chiamato "figlio di Dio", questa espressione non è ebraica.
Proprio quello che intendevo.
Besàseà, ti risulta che nel Tanakh, nella tradizione dei maestri o in qualsiasi scritto appartenente alla millenaria cultura ebraica esista il concetto di "doversi guadagnare" il fatto di essere figli di Dio?

Ti ripropongo una questione che ha posto bgaluppi:
Se siamo già Suoi figli, inutile farsi tanti scrupoli sull'obbedienza
Se haShem ci considera tutti ugualmente suoi figli, anche coloro che non rispettano i comandamenti, significa che Egli non smette mai di considerarci suoi figli, a prescindere da chi siamo o cosa facciamo? Oppure per potersi definire figli di Dio, nel senso di appartenere a Lui, occorre "guadagnarselo" in qualche modo?
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Si, Besasea, avevo tralasciato l'ultima parte, perché non mi interessava al fine del discorso. Ma non c'è problema, perché anche le Scritture Greche contemplano il rapporto padre-figlio che implica certamente correzione (Eb 12:4-8).
l'epressione "figli di Dio" non è ebraica
Dt 14:1:
בנים אתם ליהוה
voi siete figli del Signore vostro Dio (banim Yahweh elohkem)

Vedi anche Os 1:10, in cui gli israeliti sono chiamati "figli del Dio vivente" (בני אל־ח bene elhay).

L'espressione non sarà ebraica ma è certamente biblica. Cosa intendi per "ebraico" e "non ebraico"? Perché io mi baso innanzitutto sulla Scrittura.

Ma se Yeshùa parla di figli di Dio, nel suo insegnamento, in relazione a chi "opera per la pace", non va bene. E sono sicuro che non va bene neppure se Paolo afferma che tutti coloro che agiscono in base allo spirito di Dio sono figli di Dio. E non va bene neppure affermare che i figli di Dio sono gli eredi della risurrezione, perché certamente la risurrezione non è quella descritta nei Vangeli (e chi lo sa con certezza? Esiste un uomo in grado di alzare la mano in assemblea e spiegarci il pensiero e il disegno di Dio per quanto riguarda la risurrezione?). Le applicazioni del rapporto di figliolanza possono essere fatte per ragioni teologiche, per far comprendere un certo insegnamento o concetto. Dio intronizza Davide e lo chiama Suo figlio; stessa cosa per Salomone, che è figlio (eppure ambedue peccano grandemente). Chi appartiene ad Israele è considerato figlio, ma molti vengono lasciati morire per i loro gravi peccati...

Dami, anche le SG affermano che gli eletti (che sono figli di Dio) sono preconosciuti e preordinati da Dio. Dunque nessun premio: “Il Signore conosce quelli che sono suoi” (2Tim 2:19). Ma per esserlo, è necessario obbedire ai comandamenti. Pensi che chi appartiene al popolo di Dio (che include ebrei e non ebrei) possa fare a meno di obbedire a Dio ed essere chiamato "figlio del Dio altissimo"? La fede è dono di Dio, ma la fede senza opere non serve a nulla (Gc 2:17,18). Questo è il senso del "guadagno", che tu travisi. Ma non è un guadagno per interesse, in attesa di un premio; è piú un dovere, che in realtà diventa un piacere.
Armageddon
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Armageddon »

Il Signore conosce quelli che sono suoi” (2Tim 2:19). Ma per esserlo, è necessario obbedire ai comandamenti.
Ritengo molto articolata e complessa questa affermazione..che cosa significa che Dio conosce?Che li chiama a se?

Saluti
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Armagheddon, si, li chiama a Sé e chi è chiamato risponde alla chiamata, se in lui ci sono attitudini che lo spingono verso la fede in Dio. Ma “molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” (Mt 22:14). Gli eletti saranni chiamati "santi", e "figli di Dio".

“Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno. 29 Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli; 30 e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.” — Rm 8:28-30
Armageddon
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Armageddon »

:YMPEACE:
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Vorrei porre una domanda a Besasea.

Il re, secondo l'ebraismo, può essere considerato "figlio di Dio" (prescelto per un incarico), in base a questi versetti?:

אֲנִי֙ אֶהְיֶה־לֹּ֣ו לְאָ֔ב וְה֖וּא יִהְיֶה־לִּ֣י לְבֵ֑ן
Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio (2Sam 7:14)

וְהוּא֙ יִהְיֶה־לִּ֣י לְבֵ֔ן וַאֲנִי־לֹ֖ו לְאָ֑ב
egli mi sarà figlio, e io gli sarò padre (1Cr 22:10)

כִּי־בָחַ֨רְתִּי בֹ֥ו לִי֙ לְבֵ֔ן וַאֲנִ֖י אֶֽהְיֶה־לֹּ֥ו לְאָֽב
poiché io l'ho scelto come figlio, e io gli sarò padre (1Cr 28:6)

בְּנִ֥י אַ֑תָּה אֲ֝נִ֗י הַיֹּ֥ום יְלִדְתִּֽיךָ
Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato (Sl 2:7)

Tu dici: “Il messia non è mai chiamato "figlio di Dio", questa espressione non è ebraica.”

Il messia non è forse il re? Dunque, come può il messia non essere "figlio di Dio", se risulta apparente dalla Scrittura che il re è in rapporto di figliolanza relazionale (non generativa) con Dio, in quanto è da Lui scelto e intronizzato?

Chiedo questo perché spesso c'è molta confusione sul modo in cui Yeshùa è considerato figlio di Dio. Questo appellativo non denota affatto la sua divinità, ma piuttosto la sua regalità. Yeshùa non considerava se stesso Dio, ma il re di Israele, il messia, essendo "inviato" con un incarico (apòstolos):

“Pilato lo interrogò, dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?» E Gesù gli rispose: «Tu lo dici».” — Lc 23:3

E fu condannato per essersi proclamato "re dei Giudei" (in realtà, lui non lo disse mai, mai si autoproclamò messia):

“Vi era anche questa iscrizione sopra il suo capo: QUESTO È IL RE DEI GIUDEI.” (Lc 23:38); “Natanaele gli rispose: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele».” (Gv 1:49).

Dunque, se il re ha un rapporto di figliolanza relazionale con Dio, come espresso dai versetti citati sopra, e se il messia è il re di Israele, come può il messia non avere un rapporto di figliolanza relazionale con Dio?

Yeshùa non considerava se stesso un uomo-dio, secondo il costume pagano, ma il messia re, dunque il "figlio di Dio", come furono "figli di Dio" Davide e Salomone, sempre secondo un rapporto di relazione non generativo.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Besasea, ho postato appena dopo di te. Mi interessa piuttosto la tua opinione sul mio ultimo post (http://www.biblistica.eu/phpbb/viewtopi ... 347#p48344).

La Scrittura chiama o non chiama il re "figlio" di Dio? A me pare di si. E il messia non è forse il re? Questo è innegabile. Dunque, perché mai il messia non dovrebbe chiamare Dio "Padre" e il Padre chiamarlo "Suo figlio"?

Abbiamo già parlato del "simile a figlio d'uomo" che viene sulle nuvole di Daniele. Rashi lo identifica nettamente con il messia re, non con Israele. Diversi rabbini mi hanno confermato questo (tu ne avevi discusso anche con Gianni). Dunque, l'interpretazione che dai è controversa e non ampiamente condivisa tra gli studiosi ebrei. Ma certamente possibile. La tradizione parla anche del messia che viene "in groppa d'asino" (in umiltà) se Israel non è degno, e "sulle nuvole" (in gloria) se Israel è degno (Shanhedrin 98a). Dunque non vedo un uso improprio dell'associazione che Yeshùa fa di se stesso col passaggio di Daniele.

Vedi discussione qui:

http://www.biblistica.eu/phpbb/viewtopi ... =30#p44953" onclick="window.open(this.href);return false;

Una cosa importante da tenere sempre presente. I Vangeli non sono trattati ebraici destinati a saggi ebrei, ma scarni resoconti scritti in greco koinè da agiografi non madrelingua (e non certamente dotti, a parte Luca, che comunque era medico e non un maestro di Israele) che dovevano raggiungere lettori nel mondo romano. Gran parte dei destinatari erano pagani e non comprendevano certo il linguaggio ebraico colto. Stessa cosa per quanto riguarda le lettere. Il testo che meglio esprime concetti ebraici, ma pur sempre espressi in greco (un greco piú "colto" di quello degli altri scrittori, ma pur sempre greco, non ebraico), è la Lettera agli Ebrei (che comunque non è una lettera e non era destinata agli ebrei). Dunque, certo che le Scritture Greche non sono testi ebraici: infatti, sono testi greci; ma scritti da ebrei — non certamente dotti maestri di Israele — in una lingua non loro e destinati ad un gruppo di lettori eterogenei, per lo piú provenienti dal mondo pagano.
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Gianni
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Gianni »

Se posso dire qualcosa ... (allegato).
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Besasea, ma non mi hai veramente risposto. Capisco che il re non venga mai chiamato letteralmente "figlio di Dio" (come i bene haelohim), che in greco si dice huiòs tu theú (figlio del Dio), ma il re è chiamato figlio da Dio stesso. Cosa dicono quei versetti da me citati? Dio lo chiama figlio, non discepolo/allievo. Ciò che è scritto è scritto, altrimenti sembra di fare il gioco delle tre carte.

אֲנִי֙ אֶהְיֶה־לֹּ֣ו לְאָ֔ב וְה֖וּא יִהְיֶה־לִּ֣י לְבֵ֑ן
וְהוּא֙ יִהְיֶה־לִּ֣י לְבֵ֔ן וַאֲנִי־לֹ֖ו לְאָ֑ב
etc.

“Per la Bibbia ebraica è soprattutto il re ad essere "figlio di Dio" e in ciò gli antichi ebrei andavano perfettamente d'accordo con l'uso linguistico del Medio Oriente antico. In una diversa accezione è il popolo d'Israele nel suo complesso a essere chiamato "figlio di Dio". Flavio Giuseppe, che scriveva all'incirca ai tempi dei vangeli canonici, usava l'espressione in senso affatto umano. Anche gli antichi greci usavano il termine per un eroe, o per un uomo che avesse poteri straordinari o per chi detenesse il potere politico. Filosofi come Pitagora e Platone, per esempio, potevano essere chiamati "figlio di Dio". (Mauro Pesce)

Nel mondo antico, il re o l'imperatore erano considerati "figli di Dio" o loro stessi "dio in terra". Ciò attribuiva al re potere e autorità divini. Significava che il re era investito del suo ruolo dalla divinità e non se lo prendeva lui da solo. Questo concetto è espresso da Paolo, in riferimento ai re della terra: “Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono, sono stabilite da Dio.” (Rm‬ ‭13:1). ‬Nella Bibbia, il concetto è lo stesso: il re è investito da Dio, dunque è "figlio" di Dio. Per questo, secondo l'uso linguistico del tempo, il re intronizzato è chiamato "figlio". La differenza sta nel fatto che gli altri popoli (penso agli egizi) presentavano il re come un discendente naturale della divinità, mentre presso gli ebrei si trattava di un uomo prescelto che diventava figuratamente "figlio" di Dio nel momento della sua intronizzazione, acquisendo un rapporto relazionale con Dio, tanto che Davide Lo chiama “Padre” (Sl 89:26) e Dio lo costituisce Suo primogenito (v.27). Dico cose sbagliate?
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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Domanda per Antonio: Gesù fu un peccatore?
Mi vuoi far entrare in una disquisizione sulla fede? ;)
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