Re: Il credente ed il peccato reiterato
Inviato: mercoledì 27 luglio 2016, 6:30
Caro Marco M., dal punto di vista psicologico ha già risposto tu stesso: è un po' ossessivo. Posso aggiungere che la paura/timore è un meccanismo difensivo della mente che ci permette di fiutare un pericolo. I pericoli possono però essere anche immaginari, magari prodotti da uno stato ansioso. Un conto è la paura che ci coglie avvicinandoci ad un burrone, ben altro è quella che ci coglie immaginando che lungo la strada ci sia un burrone. In questo caso si tratta sempre di un meccanismo difensivo, ma basato su premesse non reali; può diventare un’ossessione. Così, il meccanismo che dovrebbe difenderci diventa una trappola. La migliore terapia rimane sempre la realtà.
Siccome la tua sensazione un po’ ossessiva trae spunto dalla tua comprensione biblica, è questa che devi rivedere. Ti sarà di consolazione sapere che la tua preoccupazione è stata da sempre quella del popolo di Dio dell’antichità.
Nel Tanàch, la parte ebraica della Bibbia, la retribuzione per il male commesso fu inizialmente intesa in senso collettivo, poi in senso più individuale (pur rimanendo sempre nella sfera terrestre).
• SENSO COLLETTIVO (INIZIALE)
“Punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. - Es 20:5,6.
“Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni continui”. Dio è interpellato. Il “debito di sangue che pende su Saul e sulla sua casa, perché egli fece perire i Gabaoniti” va pagato. - 2Sam 21:1-5.
• SENSO INDIVIDUALE (POSTUMO)
“Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato”. – Dt 24:16.
“Non appena il potere reale fu assicurato nelle sue mani, egli fece morire quei suoi servitori che avevano ucciso il re suo padre; ma non fece morire i figli degli uccisori, secondo quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, dove il Signore ha dato questo comandamento: «Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ma ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato»”. - 2Re 14:5,6.
“Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?»”, “Chi pecca morirà”. - Ez 18:2,4.
“In quei giorni non si dirà più: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati»”. – Ger 31:29.
La retribuzione per il bene ed il male era sempre vista come attuata sulla terra. Solo a partire dalla prima metà del 2° secolo E. V. iniziò a manifestarsi la credenza di sanzioni spirituali ed eterne. Ma – lo si noti bene -, siamo nel secondo secolo dell’Era Volgare. Tutta la Bibbia era già stata scritta, Yeshùa aveva compiuto il suo ministero ed era stato resuscitato, tutti gli apostoli erano già morti. Vuol dire questo che quelle credenze in un aldilà erano sbagliate? Non esattamente. Studiando i Salmi si nota che delle intuizioni c’erano già state. Paolo parla chiaramente di un aldilà. Yeshùa stesso lo aveva prefigurato. Ma dal secondo secolo il sano insegnamento biblico fu inquinato da idee prese dal paganesimo, e s’inquinò sempre più fino all’attuale degenerazione cattolica che cataloga l’aldilà in infermo, purgatorio e paradiso.
Il progresso (quello biblico, intendo) fu dovuto a persone (come Daniele) che, sotto la guida dell’ispirazione divina, seppero vedere una realtà più profonda di quella materiale e semplicemente terrestre. Giobbe – ad esempio - va collocato in un’epoca in cui la retribuzione individuale terrestre sembrava cozzare con l’esperienza quotidiana. Si nota in Gb l’esaltazione della retribuzione individuale, che è successiva al concetto di retribuzione corporativa come era solo in epoca esilica.
I peccatori spesso prosperano e i giusti hanno spesso una vita grama. Questa è la realtà ancora oggi. Il che dimostra che Dio non punisce i peccatori oggi e su questa terra. Diversamente non si avrebbero dei peccatori che se la godono e a cui tutto va bene.
Bisogna infine distinguere tra punizione e conseguenze del peccato. Ti faccio un esempio pratico. Un credente sposato commette adulterio. Poi si pente profondamente, sinceramente, e chiede perdono. Da Dio è perdonato, ma il coniuge potrebbe non perdonarlo ed esigere il divorzio oppure potrebbe aver contratto una gravissima malattia sessuale oppure potrebbe aver messo incinta la sua amante. Queste sono conseguenze del suo peccato, conseguenze che il perdono divino non elimina. Come ha seminato, così mieterà. Il senso di colpa può però fargli pensare che sia punito da Dio. Così non è. Se Dio ha perdonato, non è punizione, ma solo conseguenza del male che ha fatto.
Siccome la tua sensazione un po’ ossessiva trae spunto dalla tua comprensione biblica, è questa che devi rivedere. Ti sarà di consolazione sapere che la tua preoccupazione è stata da sempre quella del popolo di Dio dell’antichità.
Nel Tanàch, la parte ebraica della Bibbia, la retribuzione per il male commesso fu inizialmente intesa in senso collettivo, poi in senso più individuale (pur rimanendo sempre nella sfera terrestre).
• SENSO COLLETTIVO (INIZIALE)
“Punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. - Es 20:5,6.
“Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni continui”. Dio è interpellato. Il “debito di sangue che pende su Saul e sulla sua casa, perché egli fece perire i Gabaoniti” va pagato. - 2Sam 21:1-5.
• SENSO INDIVIDUALE (POSTUMO)
“Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato”. – Dt 24:16.
“Non appena il potere reale fu assicurato nelle sue mani, egli fece morire quei suoi servitori che avevano ucciso il re suo padre; ma non fece morire i figli degli uccisori, secondo quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, dove il Signore ha dato questo comandamento: «Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ma ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato»”. - 2Re 14:5,6.
“Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?»”, “Chi pecca morirà”. - Ez 18:2,4.
“In quei giorni non si dirà più: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati»”. – Ger 31:29.
La retribuzione per il bene ed il male era sempre vista come attuata sulla terra. Solo a partire dalla prima metà del 2° secolo E. V. iniziò a manifestarsi la credenza di sanzioni spirituali ed eterne. Ma – lo si noti bene -, siamo nel secondo secolo dell’Era Volgare. Tutta la Bibbia era già stata scritta, Yeshùa aveva compiuto il suo ministero ed era stato resuscitato, tutti gli apostoli erano già morti. Vuol dire questo che quelle credenze in un aldilà erano sbagliate? Non esattamente. Studiando i Salmi si nota che delle intuizioni c’erano già state. Paolo parla chiaramente di un aldilà. Yeshùa stesso lo aveva prefigurato. Ma dal secondo secolo il sano insegnamento biblico fu inquinato da idee prese dal paganesimo, e s’inquinò sempre più fino all’attuale degenerazione cattolica che cataloga l’aldilà in infermo, purgatorio e paradiso.
Il progresso (quello biblico, intendo) fu dovuto a persone (come Daniele) che, sotto la guida dell’ispirazione divina, seppero vedere una realtà più profonda di quella materiale e semplicemente terrestre. Giobbe – ad esempio - va collocato in un’epoca in cui la retribuzione individuale terrestre sembrava cozzare con l’esperienza quotidiana. Si nota in Gb l’esaltazione della retribuzione individuale, che è successiva al concetto di retribuzione corporativa come era solo in epoca esilica.
I peccatori spesso prosperano e i giusti hanno spesso una vita grama. Questa è la realtà ancora oggi. Il che dimostra che Dio non punisce i peccatori oggi e su questa terra. Diversamente non si avrebbero dei peccatori che se la godono e a cui tutto va bene.
Bisogna infine distinguere tra punizione e conseguenze del peccato. Ti faccio un esempio pratico. Un credente sposato commette adulterio. Poi si pente profondamente, sinceramente, e chiede perdono. Da Dio è perdonato, ma il coniuge potrebbe non perdonarlo ed esigere il divorzio oppure potrebbe aver contratto una gravissima malattia sessuale oppure potrebbe aver messo incinta la sua amante. Queste sono conseguenze del suo peccato, conseguenze che il perdono divino non elimina. Come ha seminato, così mieterà. Il senso di colpa può però fargli pensare che sia punito da Dio. Così non è. Se Dio ha perdonato, non è punizione, ma solo conseguenza del male che ha fatto.