Il credente ed il peccato reiterato

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MarcoM
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Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Salve a tutti,
è qualche anno che sono iscritto al forum, ho inviato alcuni messaggi, qualche volta vi leggo e sicuramente la gran parte di voi non mi conosce; volevo sapere che rapporto avete con il peccato reiterato alla luce di ciò che scritto nella Bibbia.
Mi spiego meglio:
nelle Sacre Scritture è evidente che viene indicata una lunga serie di peccati, che sicuramente qualcuno di voi avrà commesso; la Bibbia, infatti, ci insegna che nel mondo nessun uomo è giusto e che tutti hanno peccato.
Molti avranno chiesto perdono a Dio e certamente l'avranno ottenuto, fin qui nulla di strano; ma vi sarà capitato di commettere più volte sempre un determinato peccato che vi trova particolarmente deboli a resistere, anche se perfettamente consapevoli che trattasi di comportamento vietato chiaramente dalla Bibbia.
Un credente recidivo, studioso delle Sacre Scritture, consapevole, quindi, diciamo al 100% del divieto di commettere determinati peccati, che più volte viene vinto dalla tentazione, più volte (forse) viene perdonato, che può fare per progredire nel suo cammino e per non sprofondare al punto di partenza, se non peggio?
Mi viene in mente la lettera di Paolo ai romani cap 7:

"...la Legge mi ha fatto conoscere che cos'è il peccato. Per esempio, io ho saputo che era possibile desiderare cose cattive, perché la Legge ha detto: non desiderarle. Il peccato allora, da quel comandamento, ha preso l'occasione per far nascere in me ogni specie di desideri. Invece, dove non c'è la Legge, il peccato è senza vita; e io prima vivevo senza la Legge, ma quando venne il comandamento, allora il peccato prese vita, e io morii. Così il comandamento che doveva condurmi alla vita, nel mio caso mi ha condotto alla morte. Il peccato infatti ha colto l'occasione offerta dal comandamento, mi ha sedotto e mi ha fatto morire per mezzo dello stesso comandamento.
Di per sé, la Legge è santa e il comandamento è santo, giusto e buono. Quel che è buono sarebbe dunque diventato per me causa di morte? No! È il peccato che causa la morte: si è manifestato per quel che realmente è, si è mostrato in tutta la sua violenza per mezzo di una cosa buona, servendosi cioè del comandamento.

Noi certo sappiamo che la Legge è spirituale. Ma io sono un essere debole, schiavo del peccato. Difatti non riesco nemmeno a capire quel che faccio: non faccio quel che voglio, ma quel che odio. Però se faccio quel che non voglio, riconosco che la Legge è buona. Allora non sono più io che agisco, è invece il peccato che abita in me. So infatti che in me, in quanto uomo peccatore, non abita il bene. In me c'è il desiderio del bene, ma non c'è la capacità di compierlo.Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Ora, se faccio quel che non voglio, non sono più io ad agire, ma il peccato che è in me.
Io scopro allora questa contraddizione: ogni volta che voglio fare il bene, trovo in me soltanto la capacità di fare il male. Nel mio intimo io sono d'accordo con la legge di Dio, ma vedo in me un'altra Legge: quella che contrasta fortemente la Legge che la mia mente approva, e che mi rende schiavo della legge del peccato che abita in me. Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà? Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore."


Ecco spesso ci si ritrova in questa condizione, si prova a migliorare, capita, poi, di cadere nuovamente e sentirsi indegni di avere un rapporto con Dio e di pensare che non ci sarà salvezza. Cosa dicono le Scritture al riguardo?
Leggo che lo stesso apostolo indica la soluzione: il perdono per mezzo del sacrificio di nostro Signore Yeshùa, cioè chiedere perdono a Dio in nome di nostro Signore Yeshùa.
Voi che avete appreso?
Il credente recidivo anche se pentito, a mio avviso, si trova in una condizione peggiore di chi nulla conosce delle Sacre Scritture.
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bgaluppi
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da bgaluppi »

Caro Marco, ciò che dici è verissimo: il credente che persiste nel peccato volontario è maggiormente colpevole di colui che non ha mai conosciuto la verità. Ciò è ben espresso in 2Pt 2:20,21: 

“Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, si lasciano di nuovo avviluppare in quelle e vincere, la loro condizione ultima diventa peggiore della prima. Perché sarebbe stato meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato dato loro.”

Anche Yeshúa esprime questo concetto, in termini piú concreti, in Lc 11:24-26:

“«Quando lo spirito immondo esce da un uomo, si aggira per luoghi aridi, cercando riposo; e, non trovandone, dice: "Ritornerò nella mia casa, dalla quale sono uscito"; e, quando ci arriva, la trova spazzata e adorna. Allora va e prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui, ed entrano ad abitarla; e l'ultima condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima».”

Ultimamente, ho dovuto guardarmi spesso in faccia e scoprire tutte le mie ipocrisie; allora, visto che siamo sulla stessa barca, condividerò con te alcune mie considerazioni in merito al peccato e a come combatterlo. 

Il credente sincero è sottoposto a forti sensi di colpa, che si presentano puntuali ad ogni caduta. Il senso di colpa, poi, tende ad allontanarci da Dio, in quanto ci fa sentire indegni. In questi casi, credo sia importante ricordare che nessuno di noi è giusto, ma ognuno di noi che crede in Yeshúa e si sforza di obbedire ai suoi insegnamenti è giustificato, ossia "reso privo di colpa" attraverso di lui. “Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione.” (Rm 5:10,11). E in Gal 3:24 leggiamo: “la legge è stata come un precettore per condurci a Cristo, affinché noi fossimo giustificati per fede.”

Quando il credente pecca coscientemente, tende a nascondersi da Dio, ossia a non pregare; attraverso la preghiera, infatti, non è Dio a manifestarsi a noi, ma siamo noi che ci presentiamo "nudi" al suo cospetto, che ci facciamo conoscere da lui. Adamo, dopo aver disobbedito, si nasconde da Dio (Gn 3:10) perché si sente nudo... Allo stesso modo, il credente peccatore tende a nascondersi. Ma è proprio in questi momenti che dobbiamo pregare, ancor piú intensamente, manifestando cosí la nostra fede e riproponendoci di non commettere piú lo stesso peccato. Pregare in un momento in cui ci sentiamo indegni è dimostrazione di fede e ci porta ad una consapevolezza sempre piú profonda di noi stessi.

E la fede è manifestata dalle opere: “perché non quelli che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che l'osservano saranno giustificati.” (Rm 2:13). Giacomo spiega in modo assai chiaro questo importante concetto: “Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede” (Gc 2:18). Dobbiamo mostrare a Dio la nostra fede mettendo in pratica l'insegnamento della Scrittura attraverso l'emulazione del Cristo. Queste parole di Giacomo si riallacciano a quelle di Yeshúa: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.” (Mt 7:21).

Adesso, però, è importante entrare nel vivo del discorso e comprendere come possiamo mettere in pratica gli insegnamenti di Yeshúa e i comandamenti, ossia come possiamo vincere il peccato. Affronteró questo tema nel prossimo messaggio, se non ti dispiace, perché è piuttosto complesso e mi richiederà un attimo di tempo. :YMHUG:
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Innanzitutto grazie Antonio per la risposta, sei sempre molto utile con i tuoi approfondimenti. Sono contento che questo forum abbia dato occasione a persone come te di contribuire alla crescita spirituale di chi sinceramente voglia progredire nella fede. Sono contento anche per Gianni, in quanto le sue idee ed il suo lavoro non sono andati sprecati, e mi riferisco al quel periodo in cui Gianni aveva pensato di chiudere il forum. Vedi Gianni bastano persone come Antonio per vedere ripagati tutti i tuoi sforzi. :-)

Tornando al tema del post, ed andando a leggere la Scrittura da te citata di 2Pt 2:20-21, leggo al versetto 22 che coloro i quali hanno conosciuto la verità ma ricadono nelle corruzioni vengono paragonati a: "il cane che torna al suo vomito ed al maiale lavato che torna a rotolarsi nel fango", la qual cosa impressiona, infatti il giudizio è molto severo.

Ho capito che i primi passi da fare sono la preghiera anche controvoglia ed il mettere in pratica i comandamenti di Dio, senza lasciarsi scoraggiare dalle ricadute. Ottimi consigli.

A questo punto non è sbagliato chiedersi se c'è punizione per il credente che ricade nello stesso peccato per il quale ha chiesto più volte perdono a Dio oppure se il credente peccatore recidivo, ma sinceramente pentito, non riceve punizione.

Resto poi in attesa, senza fretta, dell'approfondimento che farai su come vincere il peccato, altro argomento che penso riguardi tutti.
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Caro Marco M., la lotta contro il peccato ci impegna tutti quotidianamente, e stai certo che durerà vita natural durante, per tutta la nostra vita terrena.
Da quanto hai scritto mostri di aver compreso bene i meccanismi del peccato e la lotta interiore che si svolge dentro ciascuno di noi (cfr. Rm 7). Per vincere non ci sono ricette magiche. È una lotta che dobbiamo sostenere e con cui siamo raffinati.
In più, le conseguenze del peccato che si manifestano sotto forma di sensi di colpa sono diabolicamente subdole. Il maligno vuol farci credere che siamo indegni, che non ce la faremo, che probabilmente siamo irrecuperabili, che forse abbiamo perfino commesso il peccato imperdonabile. Vuole portarci alla resa totale.

Paolo dice in Rm 5:20: “Dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata”. Poi pone una domanda retorica: “Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi?” (Rm 6:1). E risponde lui stesso: “No di certo!” (v. 2). Ora, è interessante notare che la grazia di Dio sovrabbonda dove c’è peccato. Paolo è consapevole che può essere frainteso, e infatti pone subito quella domanda con l’ovvia risposta. Ma il punto è un altro e più sottile. Mettiamola così: quanti peccatori incalliti hai visto che si preoccupano dei sensi di colpa? Pensa a tutti i farabutti che ci stanno attorno: sono cialtroni che se la godono e, più trasgrediscono, più se la godono. Voglio dire che il senso di colpa che ci accompagna quando pecchiamo è per certi servi salutare; anziché essere segno che siamo da buttar via, come vorrebbe il maligno, è indice che una coscienza ancora l’abbiamo. E c’è di più. Se Dio non si occupa dei peccatori incalliti, tanto che non hanno più coscienza, il fatto di provare sensi di colpa è sintomo che la grazia di Dio è ancora all’opera, pronta a sovrabbondare. Ed è qui che siamo sul filo del rasoio: “Che diremo dunque? Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo!”.

Per vincere non ci sono ricette magiche. È una lotta che dobbiamo sostenere. La costante preghiera è di immenso aiuto: “Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; lo spirito è pronto, ma la carne è debole” (Mt 26:41). Se si cade, occorre rialzarsi subito. Spesso si prega dopo, ma è prima e perfino durante che occorre pregare. Occorre essere continuamente consapevoli della divina Presenza e ‘rimanere costanti, come se vedessimo colui che è invisibile’. - Eb 11:27.
Antonio LT
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Antonio LT »

Antonio,Gianni in questo argomento ascoltarvi è come musica :-)
Aspetto Antonio che ha da dire sul come vincere il peccato! :YMHUG:
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bgaluppi
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da bgaluppi »

Riprendo dalle parole di Gianni, che dice che la lotta contro il peccato "è una lotta che dobbiamo sostenere" e che "durerà vita natural durante, per tutta la nostra vita terrena". Infatti, Paolo stesso mostra — con le parole che tu, Marco, hai citato — di essere sottoposto alla tentazione e di cadere: “Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio... Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato”. Anche colui che i cristiani chiamano "San Paolo", e che molti probabilmente credono essere stato un uomo perfetto, sbagliava e doveva confrontarsi ogni giorno con la tentazione e il peccato, pur avendo lo spirito di Dio che abitava in lui; figuriamoci noi. Gianni offre un altro prezioso consiglio quando dice: "Se si cade, occorre rialzarsi subito"; ciò significa che quando ci sentiamo nella condizione peggiore, occorre trovare l'impulso a reagire e mettere in atto il giusto comportamento, come spiega Dio stesso a Caino:

“Il Signore disse a Caino: «Perché sei irritato? e perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!»” — Gn 4:6,7

Questo "agire" di cui parla il testo è l'azione che mettiamo in atto nel momento in cui pecchiamo o siamo angustiati dal senso di colpa: chi agisce bene è colui che domina se stesso e prende coscienza del suo cattivo agire, mettendo in atto una reazione contraria, conforme all'insegnamento di Dio. Faccio un esempio. Io litigo con un mio caro amico, un fratello, lo mando a quel paese e vado a casa tutto arrabbiato; la sera, provando senso di colpa, mediterò profondamente su ciò che ho fatto e riconoscerò il mio errore, mi raccoglierò in preghiera e il giorno dopo andrò dal mio amico a chiedergli di perdonarmi, a prescindere se avevo ragione io oppure lui, come insegna la Scrittura. Facendo cosí, avrò agito bene e mi rialzerò, piú forte di prima e con la pace nel cuore. Se, invece, non medito sulle mie azioni e il giorno dopo continuo ad essere arrabbiato con lui, non lo saluto o, peggio, metto in atto comportamenti deliberati per danneggiarlo, screditarlo, sbeffeggiarlo etc., avrò agito male; in questo caso, il peccato sarà lí, dietro l'angolo, pronto a saltarmi addosso in nuove forme. E sarà peggio. Basta un errore lasciato irrisolto per attirare su di noi nuovi errori. Il peccato alimenta se stesso.

Ora, per proseguire il mio discorso, mi piacerebbe utilizzare la Prima Lettera di Giovanni, un passo alla volta:

“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo [Dio], e la sua parola non è in noi.” — 1Gv 1:8-10

Innanzitutto è necessario essere coscienti del fatto che ognuno di noi pecca come ogni altro uomo. Non fare ciò significa essere abbastanza stupidi da mentire a noi stessi, oltre che sbugiardare Dio. Come ha evidenziato Gianni, chi non riconosce la sua condizione di peccatore è un superbo, privo di intelligenza, e non soffre di alcun senso di colpa, anzi si crogiola nella sua trasgressione. Chi è saggio, invece, è colui che riconosce i propri peccati in umiltà, che si rende conto di sbagliare: “Se correggi un ignorante, ti disprezzerà; se rimproveri un malvagio, ti insulterà. Non far rimproveri a un arrogante se non vuoi farti odiare. Se fai rimproveri a un saggio, ti sarà riconoscente” (Pr 9:7,8). 

“Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.” — 1Gv 2:15-17

Giovanni ci spiega la differenza tra colui che si crogiola nella propria condizione e colui che la odia e ne soffre: il primo appartiene al mondo, e svanirà con esso; il secondo appartiene a Dio, e vivrà con Lui. Ancora una volta torniamo al senso di colpa, che è proprio di colui che odia la propria condizione; il senso di colpa ci rivela ciò in cui sbagliamo e ci consente di capire cos'è che dobbiamo fare. Ma bisogna stare attenti a non assecondare il senso di colpa, traendone giustificazione. Infatti, Giovanni prosegue dicendo:

“Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio.” — 1Gv 3:9

Ciò significa che colui che appartiene a Dio smette di peccare? Non credo. Giovanni non dice che chi appartiene a Dio non pecca in assoluto, ma che "non può persistere nel peccare". Secondo me significa che chi appartiene a Dio veramente non può continuare a commettere lo stesso peccato e se ne libera. Un uomo che segue Dio e mente a sua moglie, non può continuare a mentire e sentirà il bisogno di confessare, ad esempio. Tuttavia, non sembra possibile smettere di peccare in senso assoluto, poiché il peccato è insito nella nostra condizione umana. Del resto, basta davvero poco per commettere una violazione: un giudizio leggero sul prossimo espresso in un momento di frustrazione. Superato un ostacolo, dunque, se ne presenta un'altro. Ma questo continuo bisogno di svincolarci dal peccare ci consente di continuare nella lotta, fino alla fine, fino alla morte, ed è questo che conta: “chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (Mt 24:13). Pur restando peccatore fino alla morte, chi persevera nella lotta e cammina andando sempre avanti e diritto, sarà giustificato. E chi ci giustifica dal peccato? Il Cristo, come affermano concordemente Paolo e Giovanni: “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 7:24,25); “Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.” (1Gv 2:1)

Alla prossima puntata, che credo dedicherò alla preghiera; ma mi piacerebbe affrontare la discussione anche da un punto di vista personale, oltre che biblico.
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Grazie Antonio e Gianni, memorizzerò le vostre risposte.
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Caro Marco M., aggiungo altre considerazioni che spero possano esserti utili.

Yeshùa puntò alla perfezione. Egli seppe penetrare e scandagliare il momento interiore in cui sorge un pensiero cattivo che, se agevolato, porta ad una cattiva azione e quindi al peccato. La sua acutissima analisi, che è anche psicologica, ci mostra che il seme malvagio di un cattivo pensiero mette radici nella mente, cresce e poi fruttifica nel peccato.
Vediamolo meglio con le parole stesse di Yeshùa: “Voi avete udito che fu detto: «Non commettere adulterio». Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5:27,28). Qui c’è tutto il procedimento mentale che porta al peccato: un cattivo pensiero fermenta e porta ad un’azione malvagia. Avviene come spiegato dall’ebreo Giacomo, fratello carnale di Yeshùa: “Ognuno è tentato dal proprio desiderio cattivo, che prima lo attira e poi lo prende in trappola. Questo desiderio fa nascere il peccato” (Gc 1:14,15, TILC), “il desiderio, quando è divenuto fertile, partorisce il peccato” (v. 15, TNM). Analizzando psicologicamente il processo mentale, riscontriamo che tutto inizia con un pensiero. La mente si posa su qualche oggetto o idea (usando uno dei cinque sensi o la fantasia) e inizia ad elaborare un pensiero. Se questo pensiero è cattivo, il momento cruciale e più pericoloso è quello iniziale, quando il pensiero sta per prendere forma. Se inizia a prendere forma, inizia anche il desiderio, e il “desiderio cattivo ... prima lo attira e poi lo prende in trappola”. “I perfidi restano presi nella loro malizia” (Pr 11:6). “Chi scava una fossa vi cadrà lui stesso dentro; e chi apre un varco in un muro di pietra, un serpente lo morderà”. - Ec 10:8, TNM.
Per stroncare il cattivo pensiero sul nascere, Yeshùa prescrive un’azione drastica, espressa nel linguaggio molto concreto degli ebrei: “Se dunque il tuo occhio destro ti fa cadere in peccato, cavalo e gettalo via da te ... E se la tua mano destra ti fa cadere in peccato, tagliala e gettala via da te” (Mt 5:29,30). Espresso nel nostro linguaggio occidentale e astratto: ‘Se il tuo sguardo ti induce a peccare, distoglilo subito e con ferma decisione; se sei tentato di mettere mano a qualcosa in modo peccaminoso, ritrai immediatamente la mano’.
Questa salvaguardia della nostra mente era già stata raccomandata dal Creatore della nostra mente nel suo decimo Comandamento: “Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo”. - Es 20:17.
È proprio con le parole di Es 20:17 che si chiude il Decalogo. “Non concupire ... non desiderare”. Già all’inizio di Israele, che era composta da schiavi fuggiaschi e da nomadi primitivi, gli ebrei avevano un’altissima norma morale, acutamente psicologica. Yeshùa la riprende e da questa riparte nel suo insegnamento.
Il saggio biblico aveva già detto: “Più di ogni altra cosa che si deve custodire, salvaguarda il tuo cuore, poiché da esso procedono le fonti della vita” (Pr 4:23, TNM). Nel linguaggio antropologico della Bibbia il cuore corrisponde alla nostra mente, per cui, detto in linguaggio occidentale: “Vigila sui tuoi pensieri: la tua vita dipende da come pensi”. - TILC.
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Tornando al peccato reiterato, mi sembra fondamentale la Scrittura da te citata Antonio:
Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccare perché è nato da Dio.” — 1Gv 3:9

Mi sembra chiaro il messaggio: chi persiste nello stesso peccato non è un figlio di Dio. E' questo il punto che volevo chiarire.
Siamo d'accordo che i peccati ci accompagneranno per tutta la vita e che nessun uomo è giusto sulla terra, ma il credente che persevera nello stesso peccato non può considerarsi, forse, un figlio di Dio.

Probabilmente bisogna fare un distinguo tra il peccato commesso coscientemente e volontariamente, quello commesso comunque dopo un tentativo forte e sincero di resistere, e quello commesso inconsciamente.

Facciamo degli esempi personali come dici tu Antonio, dato che siamo tutti diversi e ciò che può essere facile per me, può essere complicato per te, e viceversa.
Mi capita ogni mattina, nel tentativo di imitazione di Yeshùa, di ripropormi di cogliere il bene delle persone, anche se poco, invece di rimarcarne il male. Puntualmente, purtroppo, inconsciamente non rispetto tale proposito.

Ben più difficile è per me, che non sono sposato, resistere alla tentazione sessuale, ad esempio, che penso sia una delle armi più potenti in mano del maligno. Possono passare mesi che ci riesco, per poi cadere più volte nel giro di pochi giorni.

Nel primo esempio di peccato, ho meno sensi di colpa, forse perché compiuto inconsciamente, capita delle volte, infatti, di parlar male di qualcuno senza rendersene immediatamente conto.
Nel secondo esempio di peccato, invece, provo dei fortissimi sensi di colpa e il più delle volte penso di essere indegno di avere un rapporto con Dio.

Oggi, caro Antonio, converrai con me che è diventato complicato per un uomo resistere alla tentazione sessuale, dovunque ti giri, in tv, sulla rete, per strada, ci sono immagini più o meno esplicite che ti portano il pensiero lì; poi logicamente dipende da tanti fattori: età, ambiente, ecc.
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bgaluppi
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da bgaluppi »

Marco, credo che un ottimo modo per arginare il peccato sessuale, come qualsiasi altro peccato, sia mettere in pratica la tecnica di Yeshúa, che Gianni ha ben delineato. Il peccato nasce prima a livello psicologico, tramite un pensiero. Facciamo un esempio.

Un uomo e una donna sono colleghi di lavoro, quindi si vedono ogni giorno. Tra i due c'è un certo "feeling", ma uno dei due, o ambedue, sono sposati, e ambedue ne sono consapevoli. Nonostante ciò, l'attrazione fisica è piú forte della ragione, e allora iniziano sguardi intensi, ammiccamenti, e la frequentazione diventa piú assidua; i due inizieranno a parlare piú frequentemente, cercando di compiacere l'altro in ogni modo, finché, ad un certo punto, si arriva al contatto fisico (una carezza, un abbraccio, un bacio sulla guancia etc.). A questo punto, il desiderio diventa concupiscenza, e la concupiscenza, molto probabilmente, porterà alla realizzazione dell'atto peccaminoso: i due finiranno per uscire una sera e si ritroveranno nello stesso letto.

Come impedire il realizzarsi di tutto ciò? Innanzitutto occorre partire da una buona coscienza, ossia avere in testa ben chiaro che, Bibbia o no, l'adulterio è sbagliato. Credo che ogni uomo, prima di commettere questo peccato, sia consapevole della sua ingiustizia; dopo averlo commesso, tenderà a giustificarlo. Presupponendo che almeno uno dei due abbia chiaro che il suo desiderio è moralmente sconveniente, dovrà interrompere la prima fase, quella degli sguardi, stroncandola sul nascere; ogni volta che sente il desiderio di guardare l'altro, dovrebbe distrarsi in qualche modo, magari concentrandosi su ciò che sta facendo o che deve fare. L'altra persona, vedendo che la controparte non è interessata, a sua volta perderà interesse. Questo è il modo migliore per impedire che un piccolo sguardo, dettato dal desiderio, si trasformi in una relazione illegittima, con tutte le conseguenze del caso.

Tutto ciò, naturalmente, vale per l'uomo che possiede giusti princípi morali o per il credente che cerca di camminare verso la perfezione.

C'è poi un altro peccato sessuale, piú subdolo, che è la masturbazione, ad esempio. È subdola perché la controparte non è reale, e quindi sembra meno grave dal punto di vista della colpa. Anche in questo caso, vale la tecnica di prima; nel momento in cui il pensiero nasce in testa, occorre subito rimpiazzarlo con qualcosa e riuscire a distrarre la mente. Capiterà di caderci di nuovo, ma insistendo nell'applicazione della tecnica che Yeshúa insegna, il pensiero si presenterà sempre piú di rado, fino a scomparire.

Perseveranza e non farsi uccidere dal senso di colpa.
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