Il credente ed il peccato reiterato

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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Caro Marco M., dal punto di vista psicologico ha già risposto tu stesso: è un po' ossessivo. Posso aggiungere che la paura/timore è un meccanismo difensivo della mente che ci permette di fiutare un pericolo. I pericoli possono però essere anche immaginari, magari prodotti da uno stato ansioso. Un conto è la paura che ci coglie avvicinandoci ad un burrone, ben altro è quella che ci coglie immaginando che lungo la strada ci sia un burrone. In questo caso si tratta sempre di un meccanismo difensivo, ma basato su premesse non reali; può diventare un’ossessione. Così, il meccanismo che dovrebbe difenderci diventa una trappola. La migliore terapia rimane sempre la realtà.

Siccome la tua sensazione un po’ ossessiva trae spunto dalla tua comprensione biblica, è questa che devi rivedere. Ti sarà di consolazione sapere che la tua preoccupazione è stata da sempre quella del popolo di Dio dell’antichità.
Nel Tanàch, la parte ebraica della Bibbia, la retribuzione per il male commesso fu inizialmente intesa in senso collettivo, poi in senso più individuale (pur rimanendo sempre nella sfera terrestre).
• SENSO COLLETTIVO (INIZIALE)
“Punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. - Es 20:5,6.
“Al tempo di Davide ci fu una carestia per tre anni continui”. Dio è interpellato. Il “debito di sangue che pende su Saul e sulla sua casa, perché egli fece perire i Gabaoniti” va pagato. - 2Sam 21:1-5.
• SENSO INDIVIDUALE (POSTUMO)
“Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato”. – Dt 24:16.
“Non appena il potere reale fu assicurato nelle sue mani, egli fece morire quei suoi servitori che avevano ucciso il re suo padre; ma non fece morire i figli degli uccisori, secondo quanto è scritto nel libro della legge di Mosè, dove il Signore ha dato questo comandamento: «Non si metteranno a morte i padri per colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per colpa dei padri; ma ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato»”. - 2Re 14:5,6.
“Perché dite nel paese d'Israele questo proverbio: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?»”, “Chi pecca morirà”. - Ez 18:2,4.
“In quei giorni non si dirà più: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati»”. – Ger 31:29.

La retribuzione per il bene ed il male era sempre vista come attuata sulla terra. Solo a partire dalla prima metà del 2° secolo E. V. iniziò a manifestarsi la credenza di sanzioni spirituali ed eterne. Ma – lo si noti bene -, siamo nel secondo secolo dell’Era Volgare. Tutta la Bibbia era già stata scritta, Yeshùa aveva compiuto il suo ministero ed era stato resuscitato, tutti gli apostoli erano già morti. Vuol dire questo che quelle credenze in un aldilà erano sbagliate? Non esattamente. Studiando i Salmi si nota che delle intuizioni c’erano già state. Paolo parla chiaramente di un aldilà. Yeshùa stesso lo aveva prefigurato. Ma dal secondo secolo il sano insegnamento biblico fu inquinato da idee prese dal paganesimo, e s’inquinò sempre più fino all’attuale degenerazione cattolica che cataloga l’aldilà in infermo, purgatorio e paradiso.
Il progresso (quello biblico, intendo) fu dovuto a persone (come Daniele) che, sotto la guida dell’ispirazione divina, seppero vedere una realtà più profonda di quella materiale e semplicemente terrestre. Giobbe – ad esempio - va collocato in un’epoca in cui la retribuzione individuale terrestre sembrava cozzare con l’esperienza quotidiana. Si nota in Gb l’esaltazione della retribuzione individuale, che è successiva al concetto di retribuzione corporativa come era solo in epoca esilica.
I peccatori spesso prosperano e i giusti hanno spesso una vita grama. Questa è la realtà ancora oggi. Il che dimostra che Dio non punisce i peccatori oggi e su questa terra. Diversamente non si avrebbero dei peccatori che se la godono e a cui tutto va bene.

Bisogna infine distinguere tra punizione e conseguenze del peccato. Ti faccio un esempio pratico. Un credente sposato commette adulterio. Poi si pente profondamente, sinceramente, e chiede perdono. Da Dio è perdonato, ma il coniuge potrebbe non perdonarlo ed esigere il divorzio oppure potrebbe aver contratto una gravissima malattia sessuale oppure potrebbe aver messo incinta la sua amante. Queste sono conseguenze del suo peccato, conseguenze che il perdono divino non elimina. Come ha seminato, così mieterà. Il senso di colpa può però fargli pensare che sia punito da Dio. Così non è. Se Dio ha perdonato, non è punizione, ma solo conseguenza del male che ha fatto.
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Gianni come sempre grazie per la risposta, utilissima come al solito. Il tema della retribuzione (termine molto più elegante di punizione) per i peccati, invece, appare abbastanza complesso. Mentre mi chiaro cosa accadrà in futuro ai peccatori, meno chiara mi risulta la comprensione della retribuzione "terrena" che tu escludi del tutto. Le conseguenze del peccato, anch'esse sono chiare e facilmente comprensibili. Proverò appena possibile ad approfondire, per esternarti le mie perplessità.
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Bene, Marco. Attendo le tue riflessioni. :-)
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Israel75
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Israel75 »

L'errore stà nell'aspettarsi che DIO ci risolva i problemi. Le nostre responsabilità che li hanno causati rimangono. Anche se per DIO siamo salvi e perdonati. :-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Credo che tu abbia centrato in pieno la questione, Israel.
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

"Rispetta tuo padre e tua madre, come io, il Signore, tuo Dio, ti ho comandato, perché tu possa vivere a lungo ed essere felice nella terra che io, il Signore, tuo Dio, ti do." Es 5:16

La benedizione prevista è il prolungamento dei giorni e la felicità su questa terra.
La maledizione prevista indirettamente è il mancato prolungamento dei giorni e l'infelicità.
Forse sbaglio, a mio parere il quinto comandamento contiene una retribuzione terrena che cambia a seconda se si pecca oppure no.

Poi, logicamente, dato che non conosco l ebraico, se la traduzione è sbagliata oppure il senso è un altro, il discorso è tutto da rifare. ;)
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MarcoM
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da MarcoM »

Non penso, poi, che ad un credente peccatore vengano ascoltate le preghiere :-\ [-X
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Il quinto Comandamento non si limita a richiedere di onorare i genitori, ma riserva una ricompensa: “Rispetta tuo padre e tua madre, come io, il Signore, tuo Dio, ti ho comandato, perché tu possa vivere a lungo ed essere felice” (Dt 5:16, TILC). Questa benedizione compare spesso nella Bibbia. La troviamo anche nello shemà Ysraèl: “Ascolta, Israele [שְׁמַע יִשְׂרָאֵל (shemà Ysraèl)]: Il Signore, il nostro Dio, è l'unico Signore. Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, te li metterai sulla fronte in mezzo agli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città . . . Il Signore ci ordinò di mettere in pratica tutte queste leggi e di temere il Signore, il nostro Dio, affinché venisse a noi del bene sempre ed egli ci conservasse in vita, come ha fatto finora”. – Dt 6:4-9,24.
La filosofia epicurea (4° secolo a. E. V.), volendo garantire la tranquillità di spirito, insisteva sul piacere quale criterio del bene. Gli epicurei avrebbero quindi applaudito alla prospettiva biblica di una vita trascorsa nella pace e nell’abbondanza. Tuttavia, la realtà ci disillude: i giusti non prosperano. Sebbene il salmista durante la sua vita non vide una persona giusta totalmente abbandonata o affamata (Sl 37:25), l’Ecclesiaste era consapevole che “c'è un tale giusto che perisce per la sua giustizia, e c'è un tale empio che prolunga la sua vita con la sua malvagità” (7:15) e che “tutto succede ugualmente a tutti; la medesima sorte attende il giusto e l'empio” (9:2). Così avviene. Ora, in questa vita. Ma l’Ecclesiaste avverte: “Dio giudicherà il giusto e l'empio poiché c'è un tempo per il giudizio di qualsiasi azione e, nel luogo fissato, sarà giudicata ogni opera” (3:17). La prospettiva biblica non è quella del “mangiamo e beviamo, perché domani morremo!” (Is 22:13), motto di coloro che Dio stava per punire per la loro disubbidienza e che Paolo ricorda in 1Cor 15:32. Vedendo come vanno le cose, le persone potrebbero essere portate più verso l’empietà che la giustizia: i furbi e i disonesti sembrano vincere e passarsela bene. Ma questa visione delle cose è molto miope, ha un orizzonte ristretto: si ferma a guardare a questa vita. “Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo. Dio infatti farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò che è occulto, sia bene, sia male”. – Ec 12:15,16.

Sebbene le migliorate condizioni di vita fanno sì che la vita umana si stia allungando e sebbene la scienza stia sconfiggendo molte malattie, l’elisir di lunga vita non è stato ancora inventato. Eppure esso è indicato nella Bibbia. Al tale che gli aveva domandato: “Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?”, Yeshùa rispose: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. – Mt 19:16,17.
Nella Bibbia l’essere umano non è mai presentato come un quid separato e a sé stante: in lui vivono le generazioni passate di cui porta il retaggio e, potenzialmente, quelle future. I genitori sono l’anello di congiunzione. Nelle società del mondo antico l’individuo era un nulla, la famiglia valeva poco, lo stato era tutto. Dando la sua Toràh a Israele, Dio aveva un triplice scopo: comunicare il vero culto, fondare una nazione santa e fondare la famiglia. La grandezza di un popolo e di una nazione dipende dalla solidità della famiglia. Tra le cause della caduta dell’Impero Romano ci fu l’irrigidimento della società che costrinse ogni persona a svolgere la sua professione a vita e obbligò i padri a tramandare la loro professione ai figli (nasceva la servitù della gleba). La solidità spirituale trae la sua forza dal focolare domestico, ecco perché Dio raccomandò di tenere i suoi Comandamenti nel cuore, di imprimerli nella mente dei figli, di parlarne a casa quando si stava a tavola, quando si andava a letto e quando ci si alzava (Dt 6:6,7). Nel Decalogo ci sono ben tre Comandamenti che si riferiscono alla famiglia. Il quinto, che stiamo considerando, mette sullo stesso piano la fedeltà a Dio e il rispetto per i genitori. Il settimo proclama l’inviolabilità del matrimonio e protegge contro le sciagurate conseguenze delle morbose passioni. Il decimo arriva perfino a proibire i desideri colpevoli verso il coniuge altrui. Oltre a questi Comandamenti, nella Toràh si trova tutta una serie di prescrizioni tese a mantenere la famiglia nella sua purezza, nel suo onore, nella sua stabilità.
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Gianni
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Gianni »

Le preghiere di un credente peccatore non vengono ascoltate? Dipende. Ci sono preghiere opportune, ce ne sono di inopportune e ce ne sono altre che non vengono neppure ascoltate. La questione della preghiera, Marco M., è alquanto complessa e meriterebbe tutta una trattazione a parte.
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Giorgia
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Re: Il credente ed il peccato reiterato

Messaggio da Giorgia »

Aggiungo una riflessione. Quella che noi chiamiamo benedizione o maledizione nella Bibbia, non sono altro che quello che noi facciamo a noi stessi.
Mi spiego meglio:
Mettiamo che ho un figlio, e domani uccido una persone (ossia trasgredisco un comandamento). Mio figlio vivrà di conseguenza il mio errore. Non finirà lui in carcere, ma verrà considerato "il figlio dell'assassina", oltre a non poter vivere con me.

Con il nostro modo di ragionare, questa può benissimo essere considerata una maledizione.

Situazione opposta. Come esempio uso quello che ho vissuto io. Mio padre era un credente sincero, che ha sempre fatto del suo meglio, sia nel lavoro che nella vita privata. Tutt'oggi, quando parlo con qualcuno che lui conosceva, mi capita spesso che qualcuno mi dica: "che bella persona che era tuo papà, mi ha aiutato tanto!"
E anche se oggi lui non c'è più, il bene che ha fatto è ancora vivo, e mi procura felicità e orgoglio di essere sua figlia. Non solo, è grazie a queste cose che mi viene voglia di "essere come lui".

Quello che mio padre ha fatto durante la sua vita, è una benedizione anche sulla mia vita.

Per quanto sia cosciente che i 10 comandamenti siano legge, non posso fare a meno di vederli come consigli di vita. Come quando la mamma ti dice: "non giocare col fuoco, che rischi di bruciarti!" Se non l'ascolto e mi brucio, io sento male. E non serve che la mamma mi punisca, per sentire il dolore. Anzi, probabilmente la mamma mi curerà la bruciatura. Ma per quanto possa fare, io il bruciore lo sento lo stesso.

Quando pensiamo agli sbagli reiterati Marco, dobbiamo anche considerare una cosa: conoscere non vuol dire capire.
Un bambino da quando nasce sente parlare mamma e papà. Ma un neonato sa parlare? No.
Comincerà a vocalizzare qualcosa verso i 7-8 mesi. Ma è ben lungi dal parlare correttamente. Stessa cosa vale per il camminare. Lui lo vede che mamma e papà quando camminano, mettono un piede davanti all'altro. Lo sa "teoricamente" come si fa. Però quando ci prova, cade! E non cade una volta. Me cade mille! E anche dopo aver imparato a mettere un piede davanti all'altro, il suo equilibrio sarà precario per almeno un anno e mezzo. Basterà un sassolino in mezzo alla strada per farlo ruzzolare.

Perché dovrebbe essere diverso per il credente? Il credente legge nella Bibbia cosa è giusto e cosa non lo è. Poi però deve mettere in pratica. E la pratica è tutt'altra roba rispetto alla teoria. Per diventare bravi in qualsiasi cosa, bisogna allenarsi. E bisogna anche comprendere che durante l'allenamento si fanno errori. Hai mai visto gli allenamenti di alcuni sportivi? Sai che in molti sport, una delle prime cose che insegnano è come cadere senza farsi male? E guarda che cosa curiosa, Dio con noi fa lo stesso. Ci insegna che il pentimento e la richiesta di perdono porta con sé nuova forza per riprovare.

Perché ci insegna il pentimento, se pensa che un bravo credente non debba sbagliare?

Per come la vedo io, gli errori fanno parte del pacchetto. La differenza tra un credente e chi non crede è solo una. Il credente vede il suo errore, e se ne pente, si alza e ci riprova. Il non credente, nemmeno lo vede quell'errore!

Probabilmente l'ho già scritto, ma lo ripeto (abbiate pazienza!)
Poco dopo il mio battesimo mi scoraggiai. Pensavo che dopo il battesimo sarebbe stato più facile comportarmi bene. E invece, più andavo avanti e più vedevo difetti in me. Avevo l'impressione di peggiorare invece che migliorare. Ne parlai con mia sorella, e lei mi disse una cosa che mi fece comprendere. Mi disse: "Non stai peggiorando. I difetti che ti vedi oggi, li avevi anche ieri. Solo che non li vedevi. Quindi in realtà stai migliorando, perché ora che li vedi, puoi lavorarci per migliorarti. Chi non li vede, invece, non ha questa possibilità".

Mi fermo qui, perché sono arrivata un po' lunga, come sempre ;) :d
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