Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Un discorso è se si affrontano versetti dove i significati possono essere oscuri in virtù dei termini ebraici e delle simbologie che possono presentare, un altro è quando un significato è chiaro e oggettivo.
Chiaro e oggettivo? Dipende. Se besa ti ha detto che in quel caso specifico figlio vuol dire un'altra cosa, forse sa di cosa sta parlando. Ti faccio un esempio: se in Trentino dici a qualcuno che è una fava, al massimo ti guarda stranito ma difficilmente si offende, in quanto per lui che è nato in quella regione, fava indica solamente un legume. Se tu lo dici ad un toscano, devi sperare che abbia molto senso dell'umorismo, altrimenti ti arriva un pugno sul naso...questo perchè dove è nato lui quel termine detto in un certo modo indica un'espressione volgare.
Questo esempio è stupido, ma rende l'idea di come il significato delle parole cambi radicalmente a seconda dell'appartenenza culturale. Figurati in una lingua che è vecchia come la civiltà.
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Ciò che dice Bruno è importante, e quasi sempre sottovalutato. Avevo parlato brevemente del fatto che le Scritture Greche non sono testi ebraici, ma greci, ossia scritti in greco koinè e destinati ad un gruppo di lettori di estrazioni diverse, per lo piú provenienti dal paganesimo, in un mondo dove la lingua internazionale era il greco e in cui dominavano concetti estranei all'ebraismo. Ma il mio ragionamento è stato ignorato, forse perché è scomodo. Si accusano sempre i Vangeli di non essere conformi al linguaggio ebraico dotto... E c'è da stupirsi di questo? Gli autori non erano maestri di Israele, e il loro intento non era certo quello di presentare testi dottrinali.

Per essere davvero chiaro su quanto detto prima. Se il testo dice "il sole rosso" ed esperti della lingua ebraica mi confermano che dice proprio questo, inutile poi che mi si venga a dire "ma in realtà non dice questo". Se tale frase presenta una simbologia particolare, la valutiamo certamente, ma se tale simbologia non c'è, il testo dice ciò che dice, punto e basta. Quante volte la Bibbia dice che il re intronizzato è figlio? Quante volte lo deve dire perché capiamo che il re gode di un rapporto relazionale con Dio simile a quello di un padre con il figlio? E Davide Lo chiama Padre, non Maestro. Tra l'altro, questo concetto è bellissimo, perché, pur essendo simile in virtù del concetto di regalità per diritto divino diffuso in tutte le culture antiche e moderne, si discosta grandemente da quello del re-dio delle culture pagane, in cui il rapporto non è relazionale ma generativo. È davvero così sbagliato, dunque, presentare il messia re come figlio di Dio, esattamente come Davide fu figlio di Dio?

Se la letteratura extra biblica presenta una spiegazione diversa, vediamola questa spiegazione. Quella che mi è stata data fino ad ora è che il re ha con Dio un rapporto di discepolo-maestro, in cui Dio corregge, come un padre corregge il figlio. Ma il testo parla solo di rapporto padre-figlio, e un maestro è diverso da un padre. Il maestro insegna e corregge, il padre va ben oltre la correzione e l'insegnamento. Il padre ama incondizionatamente. Dunque, prendo atto dell'interpretazione ma la rifiuto, in base al fatto che il testo non parla di rapporto maestro-discepolo, ma di padre-figlio. Il cervello ce lo abbiamo per ragionare anche da soli.
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Israel75
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Israel75 »

Grazie Antonio era quello che intendevo. :-)
Shalom
(Giac 4:6) Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura (Is 10:33,Lc 18:14) dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili».
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

:-)
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

“Chi è salito in cielo e ne è disceso?
Chi ha raccolto il vento nel suo pugno?
Chi ha racchiuso le acque nella sua veste?
Chi ha stabilito tutti i confini della terra?
Qual è il suo nome e il nome di suo figlio?
Lo sai tu?” — Pr 30:4

Le traduzioni non sono ispirate, solo il testo come uscito dagli agiografi lo è. Sul termine ben mi hai dato importanti informazioni.

Sukka 52a:
The Sages taught: To Messiah ben David, who is destined to be revealed swiftly in our time, the Holy One, Blessed be He, says: Ask of Me anything and I will give you whatever you wish, as it is stated: “I will tell of the decree; the Lord said unto me: You are My son, this day have I begotten you, ask of Me, and I will give the nations for your inheritance, and the ends of the earth for your possession” (Psalms 2:7–8)
Questo figlio non sarà castigato perché evidentemente non sbaglia. Ora lo so cosa mi dirai: il Sl 2 non fa riferimento al messia. Problema risolto.

Sembra che un passaggio dello Zohar (parte 3, folio 307), dica:
"…it is the Son, of Whom it is written, 'Kiss the Son'; Thou art the Son, the faithful shepherd; of Thee it is said, 'Kiss the Son.' Tho Thou art the Governor of the universe, the Head of Israel, the Lord of the ministering angels, the Son of the Highest, the Son of the Holy and blessed One, yea the very Shechinah."
Dunque il concetto del messia come figlio di Dio non è poi cosí estraneo. Non posso verificare questi passaggi dello Zohar, perché non ne ho una copia e non ne trovo il testo online.

Besasea, la parola di Dio parla ad ogni singolo uomo, non soltanto ad un gruppo di persone; ogni uomo, tramite essa, può rivolgersi a Dio, non soltanto utilizzando un "cervello di gruppo", ma anche il proprio "singolo cervello". Non facevano proprio questo, i saggi, nelle loro discussioni?
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Le traduzioni italiane traducono Sl 2:7 con "generato".

Rashi lo spiega così:

«to be called My son and to be beloved to Me as a son for their sake, as it is stated (II Sam. 7:14) concerning Solomon: “I will be to him a father, and he shall be to Me a son.” We find further concerning David (Ps. 89:27) “He shall call Me, ‘You are my Father, my God, and the Rock of my salvation.’»

Non è quello che dicevo io? Ma vedi che anche lui utilizza il termine "figlio".
Se non sbaglia non può essere figlio perché l'essere figlio la Bibbia lo mette in relazione alla correzione.
Infatti è ovvio che il messia non può essere "figlio" nel senso generazionale, perché è ovvio che Dio non partorisce figli. Infatti il messia "è Dio", non letteralmente ma nel senso che ne rappresenta il potere:

The prophet said to the house of David, For unto us a Child is bom, unto us a Son is given, and He has taken the law upon Himself to keep it. His name is called from eternity, Wonderful, The Mighty God, who liveth to eternity, The Messiah, whose peace shall be great upon us in His days. — Targum Jonathan, Is 9:6

Non intendo prendere letteralmente l'appellativo "figlio di Dio". È ovvio che si tratta di linguaggio descrittivo che indica una condizione di particolare favore da parte di Dio. Sulla rilettura della parola di Dio in chiave cristiana da parte della chiesa sono d'accordo (in molti casi, non in tutti).

Quando Natanaele urla a Yeshùa che lui è il figlio di Dio, specifica anche subito dopo "il re di Israele", come a precisarne la messianicità, non per proclamarne la divinità come intenderebbe un pagano. In questo senso le Scritture Greche chiamano Yeshùa "figlio di Dio", in senso messianico.
trizzi74
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da trizzi74 »

La Bibbia ebraica della Giuntina traduce così il Salmo 2:7: " Il Signore mi ha detto: Tu sei Mio figlio, oggi ti ho generato".

La nota al versetto 7 dice: " Il re è considerato come figlio di Dio, in quanto scelto da Lui, non nel senso materiale secondo le credenze pagane, ma spiritualmente: per questo si insiste sulla parola "oggi", cioè dal momento della elezione a re."
"Le religioni sono sistemi di guarigioni per i mali della psiche, dal che deriva il naturale corollario che chi è spiritualmente sano non ha bisogno di religioni."
Carl Gustav Jung
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Per entrare in tema, in cui ci proponiamo di valutare le Scritture Greche alla luce dell'interpretazione ebraica (anche se Gianni ha proposto un cambio di tema, che condivido), cerchiamo di capire il motivo per cui esse presentano Yeshùa come "figlio di Dio", appellativo che la religione cristiana ha utilizzato per presentare Yeshùa come partecipe della divinità, identificandolo letteralmente addirittura con Dio. Provo a fare delle considerazioni, sperando che siano utili per un confronto serio e rispettoso delle diverse posizioni.

Questa associazione (Yeshùa = figlio di Dio = Dio) non sussiste nel messaggio delle Scritture Greche, altrimenti sarebbero certamente da considerarsi dei testi estranei all'ebraismo e non raffrontaili col Tanach. Yeshùa non viene mai dichiarato Dio o comunque partecipe di essenza divina (semi-dio). Perché, dunque, Yeshùa è presentato come "figlio di Dio"? Che significato propone questo appellativo?

Partiamo tenendo presente dei fatti. Le SG sono scritte a posteriori, ossia in seguito al verificarsi degli eventi relativi la vita e le opere di Yeshùa. La lingua utilizzata è il greco koinè, che significa "lingua comune" o "dialetto comune" (κοινὴ διάλεκτος, koinè diàlektos). Questo dialetto trae origine dal greco parlato ad Atene, l'attico (fratello dello ionico), che divenne la lingua più diffusa nel V e IV sec. a.E.V., ed eventualmente assorbì gli altri dialetti (cfr. Jannaris, Hist. Gk. Gr., 1897, p. 3 f). Il greco koinè, dunque, può essere definito come lingua mondiale, ossia la lingua più parlata nel mondo di allora (fino circa al 330 E.V.). Tale diffusione fu dovuta alle campagne di Alessandro, che unì il mondo greco con quello persiano, dando vita al progetto universalistico che continuò in seguito con l'Impero Romano. Alessandro contribuí a determinare due periodi nello sviluppo della lingua greca: il primo è quello della separazione dei dialetti e il secondo è quello dell'unificazione di essi in una lingua globale, il greco koinè, che utilizzarono gli agiografi delle Scritture Greche. La lingua diffusa da Alessandro nel mondo orientale persistette anche in seguito alla divisione del suo impero, e la sua diffusione fu tale da penetrare ogni parte dell'Impero Romano, persino Roma stessa (l'imperatore Marco Aurelio scrisse in greco le sue Meditazioni). La prima considerazione da fare è che gli eventi e la figura di Yeshùa dovevano essere resi noti nel mondo romano, intriso di paganesimo e concetti estranei all'ebraismo provenienti dalle culture più disparate. Un'impresa assai ardua, dunque, per degli uomini ebrei non particolarmente versati nella dottrina, che dovevano comunicare dei fatti relativi al messia atteso dagli ebrei ad un nucleo di persone che non avevano i mezzi per comprenderli a fondo.

Le Scritture Greche, dunque, sono resoconti e lettere scritti da uomini che non erano maestri di Israele, ed erano destinati ad un pubblico di lettori di estrazione sociale e provenienza culturale diverse. I testi non sono dei trattati paragonabili alla letteratura ebraica colta, dunque non hanno lo scopo di dimostrare dottrinalmente (secondo la tradizione del pensiero ebraico) la messianicità di Yeshùa. Ma certamente, gli autori fanno riferimento al Tanach e si appoggiano su di esso nell'esposizione dei fatti; solo che lo fanno in un modo che fosse comprensibile non solo ai lettori ebrei, ma soprattutto a quelli stranieri.

Il concetto di "figlio di Dio" vuole esprimere innanzitutto la regalità e la messianicità di Yeshùa. I discepoli sono convinti di aver trovato il messia di cui parlano le Scritture, fortemente atteso in quel tempo: “Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe».” (Gv 1:45). Natanaele, in uno slancio di entusiasmo, dichiara: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele.” (Gv 1:49). È importante notare in questo versetto come venga precisato il significato dell'espressione "figlio di Dio", ossia "re di Israele"; Natanaele chiaramente associa il termine "figlio di Dio" al re, nello specifico Davide, dalla cui discendenza sorgerà il messia: “Io annuncerò il decreto: Il Signore mi ha detto: «Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato.»” (Sl 2:7); “Poi un ramo uscirà dal tronco d'Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici.‭‭” (Is‬ ‭11:1‬). Il Salmo 2 parla certamente di Davide, ma annuncia il messia, poiché è scritto “Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra” (v.8). Anche Salomone è chiamato figlio (2Sam 7:12-14; 1Cr 17:13; 22:10; 28:6), ad indicare un raporto relazionale speciale.

Besasea ci ha spiegato il significato di bar, o ben in ebraico, che indica anche il discepolo. Tuttavia, mi permetto di far notare che, nonostante tutti gli uomini siano certamente "figli di Dio", nella Scrittura non tutti sono chiamati "figlio" da parte di Dio, ma solo chi con Lui ha un rapporto relazionale particolare. Il re, dunque, è certamente "figlio", in quanto è scelto da Dio.

Non mi stupisco, dunque, se un uomo, considerato il messia e dunque il re di Israele, possa essere chiamato con l'appellativo "figlio di Dio". Questa era solo una prima considerazione.

Ringrazio anche Trizzi per la citazione.
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Daminagor
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da Daminagor »

Non mi stupisco, dunque, se un uomo, considerato il messia e dunque il re di Israele, possa essere chiamato con l'appellativo "figlio di Dio"
Ma il messia atteso dagli ebrei, secondo la scrittura, non avrebbe dovuto essere sconfitto.
Se si elimina dall'equazione il discorso di Cristo come redentore del peccato originale che è una invenzione teologica inesistente nell'ebraismo, resta il ruolo di un re che non sarebbe dovuto morire....
Se gli autori delle SG erano ebrei (non dotti forse, ma pur sempre ebrei), come mai hanno creduto che Gesù pur venendo ucciso fosse il re predetto di Israele?
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bgaluppi
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Re: Scritture greche alla luce dell'interpretazione ebraica

Messaggio da bgaluppi »

Dipende cosa si intende per sconfitta... “Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Gv 16:33). Secondo le Scritture Greche, ora egli siede alla destra di Dio, cioè riceve da Dio potenza e gloria, dunque è stato intronizzato. Il peccato originale non esiste, poiché ognuno è responsabile dei suoi peccati. Il sacrificio di Yeshùa, in virtù di un atto d'amore incondizionato in cui lui offre se stesso per tutti gli uomini (annullando il sacrificio antico e stabilendo un patto nuovo con un sacrificio offerto una volta per sempre), elimina la condanna che è scaturita dal peccato adamico. Si passa da una condizione ad un'altra, una sorta di arrivo alla condizione d'origine, quella che dio concepisce per i Suoi figli sin da prima della fondazione del mondo. In questo senso egli è il primogenito dei figli di Dio, ossia il primo uomo a raggiungere quella condizione.
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