Salvatore, ti faccio una sintesi della mia risposta.
In merito al primo punto: Yeshùa condannava
quella generazione, in modo specifico i farisei e certe loro riforme (takanot), non
tutta la tradizione. Sono molti i versetti in cui critica “questa generazione”. Da un punto di vista prettamente ebraico, oltretutto, Yeshùa non ha insegnato nulla che non abbiano insegnato i maestri di Israele. Potrei citarti molti insegnamenti della tradizione che ricalcano quelli di Yeshùa. Dunque, non si può fare di tutta l'erba un fascio, il tema è complesso.
In merito al secondo punto, tu dici che nel codice penale “Non è scritto che è vietato cagionare la morte, ma il cagionarla è indicato come un fatto da cui scaturisce la conseguenza della punizione”; mi sembra difficile affermare che il nostro codice penale non dichiari illecito uccidere (dipendi da cosa uccidi); la punizione sussiste proprio per l'illecità dell'omicidio, volontario o involontario. La Torah dice “non uccidere”, dunque “se” uno uccide commette un atto illecito; ma dove mai la Torah dice “non divorziare”? Semmai,
regolamenta il divorzio, dunque non lo approva ma lo tollera, e lo stesso fa Yeshùa; il divorzio legale non è illecito in senso assoluto come lo è l'adulterio o l'omicidio, è illecito se non sussistono motivazioni che lo giustifichino; ciò che è illecito è risposarsi se il divorzio è avvenuto senza giusta causa, che è la fornicazione (e la fornicazione riguarda un ampio spettro di situazioni); per cui, quel “qualcosa di sconveniente” di cui parla Dt 24:1 è la fornicazione. Citi Es 22:16 e dici che “La seduzione della fanciulla non è un fatto lecito, ma viene contemplato come fatto da cui scaturiscono delle conseguenze”; ma quando mai sedurre e coricarsi con “una fanciulla non ancora fidanzata” è illecito? Se non è fidanzata, vuol dire che è libera. Quel versetto insegna semplicemente che chi si corica con una fanciulla saltando il kiddushin (fidanzamento) deve pagare la dote secondo le leggi della ketubah e sposarla necessariamente; questo per evitare che gli uomini se ne andassero in giro a coricarsi con le fanciulle senza poi assumersi responsabilità nei loro confronti. È un precetto in protezione della donna innanzitutto.
In merito al terzo punto, dici: “Chi stabilisce che la bibbia è scritta con una prospettiva di genere in virtù di una società maschilista?”. La storia. Le società
erano maschiliste, e Dio parlò per mezzo della bocca di uomini che appartenevano a quelle società. Se Dio comanda di votare intere città allo sterminio, non lo fa perché così è giusto che sia in assoluto, ma perché nelle società teocratiche di allora tale pratica era di uso comune per dimostrare la superiorità di un dio su un altro e non c'era altro modo di risolvere certe questioni. Dio parla agli uomini per mezzo di uomini in periodi storici precisi. Yeshùa parla per conto di Dio e predica pace, non guerra di conquista o di liberazione. Ma il Dio che parla attraverso di lui è lo stesso, sono gli uomini e le società che cambiano. Yeshùa non avrebbe potuto dire a Mosè che sterminare donne e bambini era sbagliato; Mosè agiva per conto di Dio, e ciò che lui decideva rappresentava la decisione di Dio in
quel tempo e in
quel momento. La Torah porta l'uomo verso un miglioramento progressivo, per cui la donna dei tempi mosaici non veniva più trattata come un oggetto, ma godeva di diritti e protezione legale, e poteva anche andarsene se quei diritti non le erano garantiti:
“Se prende un'altra moglie, non toglierà alla prima né il vitto, né il vestire, né la coabitazione. Se non le fa queste tre cose, lei se ne andrà senza pagare nessun prezzo.” - Es 21:10,11
Con Yeshùa, poi, l'adultera colta in flagrante non viene lapidata, ma perdonata, con l'invito a non peccare più. Eppure la Torah comanda di lapidarla. Poi dici che per te “le Scritture sono sacre e ispirate da Dio, così come sono. Sono perfette, immutabili, giuste ed eterne.”. Dunque, se coglierai tua moglie o la moglie di tuo fratello o di un tuo amico in flagrante adulterio, tu la lapiderai o ti senti di affermare che sarebbe giusto farlo? Yeshùa ha insegnato altrimenti. Ha forse insegnato qualcosa in contraddizione con la Torah? Sembrerebbe di si, secondo il tuo ragionamento.
In merito al quarto punto, citi Rm 7:2,3. Ma ti chiedo innanzitutto: di che “legge” sta parlando Paolo? Della Torah o di un'altra legge? Perché nòmos non fa sempre riferimento alla Torah, e se parla della Torah, allora dovresti citarmi il versetto che conferma le parole di Paolo. Al v.1 è specificato che Paolo parla “a persone che hanno conoscenza della legge”. I Romani a cui parla erano forse tutti ebrei maestri della Torah?

La Torah regolamenta il caso di una donna ripudiata e stabilisce che qualora si sposi con un altro che poi la ripudia a sua volta, non può tornare dal primo marito; ma allora la ripudiata poteva sposare un secondo o anche un terzo uomo o no? Se il nuovo matrimonio in quel caso fosse vietato, stai ben certo che la Torah lo specificherebbe, come specifica il divieto di adulterio. Dunque qual è la verità? Poi, nota che Paolo dice che “la donna
sposata è legata per legge al
marito mentre egli vive”, non che una donna divorziata è legata all'ex marito mentre egli vive; il termine ὕπανδρος significa “soggetta ad un uomo”, ossia “coniugata legalmente”. Per questo dice che la donna è legata per legge a quel marito, perché è a lui soggetta dal matrimonio legale. Se il matrimonio è sciolto, come può essere ancora soggetta a colui che legalmente non detiene più diritti su di lei? Paolo fa l'esempio del decesso del marito in paragone al decesso del credente rispetto alla legge (e tralasciamo ora il tema della “legge”), per cui una donna sposata non può “andare da un altro uomo” (cioè tradire il marito, non “sposare altro uomo”, v.3) se è sposata, o commetterà adulterio, ma se il marito muore lo può fare; allo stesso modo, “anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla legge, per appartenere ad un altro” (v.4). Qui non c'entra nulla il divorzio, Paolo prende come esempio di “liberazione” la morte del coniuge. Il divorzio non reggerebbe il paragone con la liberazione attuata da Yeshùa.
Rileggiamo:
“Chiunque manda via la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei. Similmente, se la moglie manda via il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mr 10:11-12, ND)
Obbiettivamente, il problema non è divorziare, ma divorziare e risposarsi. L'adulterio non sussiste se uno non si risposa, dunque ciò che Yeshùa mette in evidenza è il nuovo matrimonio in seguito a divorzio senza giusta causa, come chiarito da Matteo. Dire che qui Yeshùa affermi che il divorzio è sbagliato non è possibile; lo è se non c'è giusta causa, e ancor più è sbagliato risposarsi dopo aver divorziato senza giusta causa, che è la fornicazione. Non è possibile neppure dire che la moglie non poteva mandar via il marito, perché Yeshùa lo dice chiaramente. Poteva sciogliersi da lui, andar via, come scritto in Es 21:10-11.