Circa quella che tu proponi come regola ermeneutica/esegetica N.1 (Nella Bibbia non ci sono tutte le informazioni necessarie per la sua corretta interpretazione, occorre preliminarmente accordarsi su punti fondamentali, usando criteri esterni alla Bibbia stessa, per poter raggiungere risultati condivisi), mi pare contenga una premessa la cui conseguenza porta a una necessità che per forza di cose diventa regola. Mi pare anche che siamo all’impostazione preliminare, senza essere ancora entrati nel merito. Va benissimo. Stiamo procedendo in modo molto logico, un passo alla volta.
Siccome è del tutto condivisibile, perché imprescindibile, che “occorre preliminarmente accordarsi su punti fondamentali”, ti pregherei di esporre tali punti fondamentali, in modo da porre – dopo averli esaminati e accolti - un altro punto fermo per poi procedere.
Riguardo all’uso degli schemi matematici nella Bibbia, credo sia opportuno parlarne quando toccheremo questo argomento. Penso che i numeri abbiamo un loro ruolo delle regole ermeneutiche: si pensi, solo per fare un esempio, al simbolismo del numero 7, che è indubbiamente una chiave di lettura. Ci arriveremo, ma ora mi pare prematuro.
Credo anche che non vadano esagerate le possibilità di lettura di un testo supposto come criptato attraverso il valore numerico delle lettere. A volte nella Bibbia troviamo testi così. Ma occorre essere prudenti. Ad esempio, si prenda la genealogia di Yeshùa presentata in Mt 1:1-11.
La genealogia mattaica è alquanto artificiale, poiché giunge fino ad Abraamo mediante una serie di tre gruppi di quattordici elementi ciascuno, per poi concludere trionfalmente con le parole: “Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni” (1:17). Di solito le “generazioni” di una persona parlano nella Bibbia della sua discendenza. Qui, al contrario, le generazioni non riguardano la posterità di Yeshùa ma piuttosto la sua ascendenza o i suoi antenati. Non si parla di gente venuta da Yeshùa, ma di persone che hanno condotto a Yeshùa. Egli è quindi il coronamento, il fine cui tende tutta la storia biblica del popolo ebraico.
Perché tre serie di quattordici nomi? Secondo alcuni, forse perché il numero 3 in cui si divide la genealogia (3 x 14) vuole indicare che è Dio a preparare la venuta di Yeshùa, essendo il tre un numero divino. Il sette (14 ne è multiplo) indica la totalità: con il messia si è terminato il periodo della preparazione ed è venuto il tempo del nuovo popolo di Dio. Secondo altri, il numero 14 richiama Davide: le lettere del nome דוד (Davìd) danno come somma 14. Anche se questa ipotesi non è sicura (Davìd può anche essere scritto דויד, Dvyd, che darebbe 24), va notato che Mt più di altri esalta l’appellativo “figlio di Davide”. Così le folle in 12:23;21:9,15; la cananea in 15:22; e nei passi paralleli tale epitèto manca. I farisei, alla domanda: “Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?”, essi rispondono: “Di Davide” (Mt 22:42). Anche Giovanni riporta che il messia non doveva venire dalla Galilea, ma da Betlemme e “dalla discendenza di Davide” (Gv 7:41,42). Matteo vorrebbe sottolineare questo fatto sin dall’inizio, proprio con la sua genealogia che inizia con: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo” (1:1). Il richiamo ad Abraamo significa che le benedizioni promesse al patriarca stanno ora avverandosi tramite questo discendente di Davide.
Chi pretende di leggere la Scrittura come se contenesse un secondo testo criptato, esagera. L’ebraico, essendo solo consonantico, si presta a questi giochi, ma non è affatto detto che dietro ci sia la volontà dell’agiografo.
Si può fare una prova con qualsiasi testo in cui indubbiamente non si sono messaggi cifrati. Si prenda una pagina dei Promessi Sposi o della Divina Commedia o perfino di un numero di Topolino. Si trascurino le vocali e si prendano solo le consonanti (italiane, ovviamente); poi, attraverso il loro valore numerico, si trasformino in altre serie di consonanti; a quel punto si aggiungano vocali a piacere. Se ne ricaveranno presunti messaggi nascosti!
Quanto al numero dei libri sacri, tutti concordiamo che quelli ebraici sono 39. Ma sono 39 davvero? Gli ebrei univano alcuni di questi libri e quindi ne avevano solo 22 o 24, ma il materiale era sempre quello. Non bisogna dimenticare che si trattava di rotoli, non di pagine rilegate come nei libri moderni. Comunque, ciò attiene al testo e alla sua trasmissione.
Lasciando da parte la questione del cosiddetto secondo canone per attenerci al canone delle Scritture Ebraiche accolto dagli ebrei (e condiviso da cattolici e protestanti) ed evitando di dare i numeri

