Yeshùa ed il divorzio
Re: Yeshùa ed il divorzio
Ah, grazie Luca, finalmente qualcuno mi risponde!
Tutto inizia con una domanda dei farisei, maestri della legge e della tradizione, che Yeshùa stesso descrive come coloro che, assieme agli scribi, “siedono sulla cattedra di Mosè” (Mt 23:2), e per cui nutriva rispetto. Mr 10:2 recita:
“Dei farisei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito a un marito mandare via la moglie?»”.
Domanda assai banale, al punto da sembrare provocatoria, se fatta dai farisei a qualcuno che era riconosciuto come maestro (Mr 12:32; Lc 10:25; 20:39). Infatti, Yeshùa certamente sapeva che, secondo la Torah, fosse perfettamente lecito per un marito mandare via la moglie, in base a Dt 24:1, che tu citi. La Torah, secondo la tradizione, ordina all’uomo di ripudiare la moglie, qualora scoprisse in lei “qualcosa di indecente”:
“Riguardo a questo tipo di moglie, è una mitzva della legge della Torah divorziare da lei, come è affermato: "Perché ha trovato in lei qualcosa di sconveniente, e lui le scrive un libretto di ripudio e glielo dà in mano e la manda fuori di casa sua ... E lei va e diventa la moglie di un altro [aḥer]" (Deuteronomio 24:1-2). Il versetto ha chiamato il secondo marito aḥer, l'altro, per affermare che quest'uomo non è uguale al primo marito. Sono moralmente distinti, poiché quel primo marito ha cacciato una donna malvagia dalla sua casa e questo secondo uomo ha introdotto una donna malvagia nella sua casa.” (Gittin 90b).
Dunque, sembra assai strano che i farisei chiedessero a Yeshùa se fosse lecito per un uomo ripudiare la moglie. Siccome Yeshùa non aveva autorità per cambiare la legge di Dio, e lui stesso afferma che la Torah è valida finché passino il cielo e la terra, avrebbe potuto e dovuto rispondere semplicemente: “si”. Mt 19:3 però ci offre un dettaglio in più:
“Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?»”.
Innanzitutto, è importante puntualizzare che l’intenzione dei farisei era quella di “metterlo alla prova” (πειράζω, peiràzo, in ambedue i Vangeli), come tu stesso fai notare, ma non credo per coglierlo in fallo, poiché la risposta a quella domanda era alquanto facile, sarebbe bastato citare Dt 24:1; piuttosto, e probabilmente, i farisei volevano capire a che scuola di pensiero facesse riferimento in tema di divorzio (Shammai o Hillel).
Dunque, la replica di Yeshùa è da considerarsi la risposta ad una provocazione; egli non si fa trascinare in una diatriba dottrinale sul tema del divorzio (tema già assai dibattuto, a quei tempi, come testimonia la tradizione), ma lo affronta partendo proprio dalla Torah:
“Egli rispose loro: «Che cosa vi ha comandato Mosè?»” (Mr 10:3). Ecco che invece di citare Dt 24:1, chiede ai farisei di citarlo, e i farisei gli rispondono: “Essi dissero: «Mosè permise di scrivere un atto di ripudio e di mandarla via [ἀπολῦσαι]»” (Mr 10:4).
I farisei, però, desiderando conoscere il suo parere, gli rispondono a metà, poiché, pur essendo vero che Mosè comandò di scrivere un libretto di ripudio nel caso il marito decidesse di divorziare dalla moglie (e ciò non valeva da parte della donna), si astengono dal citare la motivazione che legittimava il marito al ripudio, come è scritto: “perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo” (Dt 24:1, NR). Il versetto mattaico parallelo, come abbiamo visto, riporta la domanda dei farisei in modo più preciso: “È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?” (Mt 19:3). I farisei, dunque, stanno chiedendo indirettamente a Yeshùa quale fosse secondo lui il motivo che consentiva ad un uomo di ripudiare la moglie. Si trattava di una domanda molto “tecnica”, che un maestro può rivolgere ad un altro maestro.
Sei d'accordo fin qui?
Tutto inizia con una domanda dei farisei, maestri della legge e della tradizione, che Yeshùa stesso descrive come coloro che, assieme agli scribi, “siedono sulla cattedra di Mosè” (Mt 23:2), e per cui nutriva rispetto. Mr 10:2 recita:
“Dei farisei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito a un marito mandare via la moglie?»”.
Domanda assai banale, al punto da sembrare provocatoria, se fatta dai farisei a qualcuno che era riconosciuto come maestro (Mr 12:32; Lc 10:25; 20:39). Infatti, Yeshùa certamente sapeva che, secondo la Torah, fosse perfettamente lecito per un marito mandare via la moglie, in base a Dt 24:1, che tu citi. La Torah, secondo la tradizione, ordina all’uomo di ripudiare la moglie, qualora scoprisse in lei “qualcosa di indecente”:
“Riguardo a questo tipo di moglie, è una mitzva della legge della Torah divorziare da lei, come è affermato: "Perché ha trovato in lei qualcosa di sconveniente, e lui le scrive un libretto di ripudio e glielo dà in mano e la manda fuori di casa sua ... E lei va e diventa la moglie di un altro [aḥer]" (Deuteronomio 24:1-2). Il versetto ha chiamato il secondo marito aḥer, l'altro, per affermare che quest'uomo non è uguale al primo marito. Sono moralmente distinti, poiché quel primo marito ha cacciato una donna malvagia dalla sua casa e questo secondo uomo ha introdotto una donna malvagia nella sua casa.” (Gittin 90b).
Dunque, sembra assai strano che i farisei chiedessero a Yeshùa se fosse lecito per un uomo ripudiare la moglie. Siccome Yeshùa non aveva autorità per cambiare la legge di Dio, e lui stesso afferma che la Torah è valida finché passino il cielo e la terra, avrebbe potuto e dovuto rispondere semplicemente: “si”. Mt 19:3 però ci offre un dettaglio in più:
“Dei farisei gli si avvicinarono per metterlo alla prova, dicendo: «È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?»”.
Innanzitutto, è importante puntualizzare che l’intenzione dei farisei era quella di “metterlo alla prova” (πειράζω, peiràzo, in ambedue i Vangeli), come tu stesso fai notare, ma non credo per coglierlo in fallo, poiché la risposta a quella domanda era alquanto facile, sarebbe bastato citare Dt 24:1; piuttosto, e probabilmente, i farisei volevano capire a che scuola di pensiero facesse riferimento in tema di divorzio (Shammai o Hillel).
Dunque, la replica di Yeshùa è da considerarsi la risposta ad una provocazione; egli non si fa trascinare in una diatriba dottrinale sul tema del divorzio (tema già assai dibattuto, a quei tempi, come testimonia la tradizione), ma lo affronta partendo proprio dalla Torah:
“Egli rispose loro: «Che cosa vi ha comandato Mosè?»” (Mr 10:3). Ecco che invece di citare Dt 24:1, chiede ai farisei di citarlo, e i farisei gli rispondono: “Essi dissero: «Mosè permise di scrivere un atto di ripudio e di mandarla via [ἀπολῦσαι]»” (Mr 10:4).
I farisei, però, desiderando conoscere il suo parere, gli rispondono a metà, poiché, pur essendo vero che Mosè comandò di scrivere un libretto di ripudio nel caso il marito decidesse di divorziare dalla moglie (e ciò non valeva da parte della donna), si astengono dal citare la motivazione che legittimava il marito al ripudio, come è scritto: “perché ha scoperto qualcosa di indecente a suo riguardo” (Dt 24:1, NR). Il versetto mattaico parallelo, come abbiamo visto, riporta la domanda dei farisei in modo più preciso: “È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?” (Mt 19:3). I farisei, dunque, stanno chiedendo indirettamente a Yeshùa quale fosse secondo lui il motivo che consentiva ad un uomo di ripudiare la moglie. Si trattava di una domanda molto “tecnica”, che un maestro può rivolgere ad un altro maestro.
Sei d'accordo fin qui?
-
- Messaggi: 211
- Iscritto il: domenica 16 ottobre 2016, 14:41
Re: Yeshùa ed il divorzio
Tu dici:
poiché la risposta a quella domanda era alquanto facile, sarebbe bastato citare Dt 24:1; piuttosto, e probabilmente, i farisei volevano capire a che scuola di pensiero facesse riferimento in tema di divorzio (Shammai o Hillel).
Quindi secondo te tutto si basa su queste due scuole di pensiero contrastanti all’epoca di Yeshua ??
Incollo da Wikipedia
Divorzio. La Casa di Shammai sosteneva che un uomo può divorziare la propria moglie solo a causa di una trasgressione grave, ma la Casa di Hillel permetteva il divorzio anche per colpe banali, come bruciare un pasto.[7]
Tutto parte da qui?..
Comunque si sono d’accordo possiamo andare avanti
poiché la risposta a quella domanda era alquanto facile, sarebbe bastato citare Dt 24:1; piuttosto, e probabilmente, i farisei volevano capire a che scuola di pensiero facesse riferimento in tema di divorzio (Shammai o Hillel).
Quindi secondo te tutto si basa su queste due scuole di pensiero contrastanti all’epoca di Yeshua ??
Incollo da Wikipedia
Divorzio. La Casa di Shammai sosteneva che un uomo può divorziare la propria moglie solo a causa di una trasgressione grave, ma la Casa di Hillel permetteva il divorzio anche per colpe banali, come bruciare un pasto.[7]
Tutto parte da qui?..
Comunque si sono d’accordo possiamo andare avanti
Re: Yeshùa ed il divorzio
Dico che per rispondere a “È lecito a un marito mandare via la moglie?” basta citare Dt 24:1. Invece, per rispondere alla domanda “È lecito mandare via la propria moglie per un motivo qualsiasi?”, non basta citare Dt 24:1, poiché è necessario stabilire in cosa consista il “motivo qualsiasi” e poiché Dt 24:1 non chiarisce a cosa si riferiscano le parole “perché ha scoperto qualcosa di indecente”. La questione era molto dibattuta:
“Beit Shammai dice: Un uomo non può divorziare da sua moglie a meno che non scopra che è coinvolta in una questione di rapporti sessuali proibiti [devar erva], cioè ha commesso adulterio o è sospettata di farlo, come è affermato: "Perché ha trovato in lei una cosa sconveniente [ervat davar] e le scrive un libretto di ripudio" (Deuteronomio 24:1).”; “Beit Hillel dice: Può divorziare da lei anche a causa di un problema minore, ad esempio, perché ha bruciato o salato troppo il suo piatto, come è affermato: "Perché ha trovato qualche cosa sconveniente in lei", nel senso che ha trovato qualsiasi tipo di carenza in lei.”; “Rabbi Akiva dice: Può divorziare da lei anche se trova un'altra donna che è più bella di lei e desidera sposarla, come è affermato in quel versetto: "E avviene, se non trova favore nei suoi occhi" (Deuteronomio 24:1).” (Gittin 90a).
Da ciò ne risulta che ai farisei interessava capire come la pensasse Yeshùa in tema di divorzio, dando per scontato che sapesse benissimo cosa ordina Dt 24:1.
“Beit Shammai dice: Un uomo non può divorziare da sua moglie a meno che non scopra che è coinvolta in una questione di rapporti sessuali proibiti [devar erva], cioè ha commesso adulterio o è sospettata di farlo, come è affermato: "Perché ha trovato in lei una cosa sconveniente [ervat davar] e le scrive un libretto di ripudio" (Deuteronomio 24:1).”; “Beit Hillel dice: Può divorziare da lei anche a causa di un problema minore, ad esempio, perché ha bruciato o salato troppo il suo piatto, come è affermato: "Perché ha trovato qualche cosa sconveniente in lei", nel senso che ha trovato qualsiasi tipo di carenza in lei.”; “Rabbi Akiva dice: Può divorziare da lei anche se trova un'altra donna che è più bella di lei e desidera sposarla, come è affermato in quel versetto: "E avviene, se non trova favore nei suoi occhi" (Deuteronomio 24:1).” (Gittin 90a).
Da ciò ne risulta che ai farisei interessava capire come la pensasse Yeshùa in tema di divorzio, dando per scontato che sapesse benissimo cosa ordina Dt 24:1.
-
- Messaggi: 211
- Iscritto il: domenica 16 ottobre 2016, 14:41
Re: Yeshùa ed il divorzio
Ti chiedo dunque io, noi come li identifichiamo i farisei “interlocutori”??
A che pensiero appartenevano?
Ovviamente non abbiamo una risposta, ma dal momento che Yeshua era molto più allineato al pensiero Shammai, per quanto in maniera meno profonda, può essere che gli interlocutori fossero del pensiero opposto?
Anche perché i vangeli non narrano i vari movimenti, anzi non vorrei sbagliare ma vengono menzionati solo gli zeloti...
A che pensiero appartenevano?
Ovviamente non abbiamo una risposta, ma dal momento che Yeshua era molto più allineato al pensiero Shammai, per quanto in maniera meno profonda, può essere che gli interlocutori fossero del pensiero opposto?
Anche perché i vangeli non narrano i vari movimenti, anzi non vorrei sbagliare ma vengono menzionati solo gli zeloti...
Re: Yeshùa ed il divorzio
Questo non lo possiamo sapere, poiché ambedue Hillel e Shammai erano Tannaim e membri del Sinedrio. Ciò che la Scrittura vuol mettere in evidenza è piuttosto il pensiero di Yeshùa e il modo in cui lui si differenzia dai farisei. E la sua risposta è stupefacente, perché Yeshùa non si ferma ai cavilli delle scuole di pensiero - pur mostrando di essere vicino a Shammai in questo caso - e non invalida il ripudio di Mosè, come vedremo, ma proibisce un nuovo matrimonio in caso di divorzio per motivazione valida (e non proibisce un nuovo matrimonio in caso di divorzio per valida motivazione). Così facendo, conferma la Torah e ne rivela l'insegnamento profondo, distinguendo il divorzio legale dalla rottura del vincolo sacro stabilito davanti a Dio. Ma arriviamoci per gradi.
-
- Messaggi: 211
- Iscritto il: domenica 16 ottobre 2016, 14:41
Re: Yeshùa ed il divorzio
La precedente versione TNM traduceva...
Dt24Nel caso che un uomo prenda una donna e in effetti ne faccia il suo possesso come moglie, deve quindi accadere che se essa non trova favore ai suoi occhi perché egli ha trovato qualcosa di indecente da parte di lei(aLett. “la nudità di una cosa”.), deve anche scriverle un certificato di divorzio e metterglielo in mano e congedarla dalla sua casa
La nuova invece
24 “Se un uomo sposa una donna ma poi non la vuole più perché trova in lei qualcosa di sconveniente, deve scriverle un certificato di divorzio, darglielo e mandarla via.
Mi pare che siano passati dalla scuola Shammai al scuola Hillel.
Secondo me traduce più correttamente la vecchia versione te che dici?
Dt24Nel caso che un uomo prenda una donna e in effetti ne faccia il suo possesso come moglie, deve quindi accadere che se essa non trova favore ai suoi occhi perché egli ha trovato qualcosa di indecente da parte di lei(aLett. “la nudità di una cosa”.), deve anche scriverle un certificato di divorzio e metterglielo in mano e congedarla dalla sua casa
La nuova invece
24 “Se un uomo sposa una donna ma poi non la vuole più perché trova in lei qualcosa di sconveniente, deve scriverle un certificato di divorzio, darglielo e mandarla via.
Mi pare che siano passati dalla scuola Shammai al scuola Hillel.
Secondo me traduce più correttamente la vecchia versione te che dici?
-
- Messaggi: 211
- Iscritto il: domenica 16 ottobre 2016, 14:41
Re: Yeshùa ed il divorzio
Una torre di guardia riporta questa frase..
Quando sorgevano seri problemi all’interno del matrimonio, spesso gli anziani davano aiuto. Casi di infedeltà, gelosia e sospetti di tradimento venivano trattati in modo appropriato. Il divorzio era consentito, ma regolamentato. Un uomo poteva divorziare dalla moglie se lei aveva fatto “qualcosa di indecente” (Deut. 24:1). Non viene precisato cosa fosse considerato “indecente”, ma è ragionevole concludere che non si trattasse semplicemente di questioni di poca importanza (Lev. 19:18).
E hanno pure revisionato la vecchia traduzione!
Quando sorgevano seri problemi all’interno del matrimonio, spesso gli anziani davano aiuto. Casi di infedeltà, gelosia e sospetti di tradimento venivano trattati in modo appropriato. Il divorzio era consentito, ma regolamentato. Un uomo poteva divorziare dalla moglie se lei aveva fatto “qualcosa di indecente” (Deut. 24:1). Non viene precisato cosa fosse considerato “indecente”, ma è ragionevole concludere che non si trattasse semplicemente di questioni di poca importanza (Lev. 19:18).
E hanno pure revisionato la vecchia traduzione!
-
- Messaggi: 211
- Iscritto il: domenica 16 ottobre 2016, 14:41
Re: Yeshùa ed il divorzio
Anche se agli israeliti era consentito di divorziare per vari motivi, Geova Dio provvide a regolare il divorzio nella Legge che diede a Israele per mezzo di Mosè. In Deuteronomio 24:1 si legge: “Nel caso che un uomo prenda una donna e in effetti ne faccia il suo possesso come moglie, deve quindi accadere che se essa non trova favore ai suoi occhi perché egli ha trovato qualcosa di indecente da parte di lei, deve anche scriverle un certificato di divorzio e metterglielo in mano e congedarla dalla sua casa”. Che cosa fosse quel “qualcosa di indecente” (lett. “la nudità di una cosa”) non è precisato. Tuttavia, che non si trattasse di adulterio è indicato dal fatto che la legge data da Dio a Israele decretava che i colpevoli di adulterio fossero messi a morte, e non che semplicemente divorziassero. (De 22:22-24) Senza dubbio l’‘indecenza’ che dava al marito ebreo motivo di divorziare dalla moglie riguardava in origine questioni gravi, forse una grave mancanza di rispetto per il marito da parte della moglie o disonore recato alla famiglia. Dal momento che la Legge precisava “devi amare il tuo prossimo come te stesso”, non è ragionevole presumere che colpe di minore importanza potessero essere usate impunemente come scuse per divorziare dalla moglie. — Le 19:18.
Sotto la Legge il marito poteva divorziare dalla moglie per qualcosa “di indecente” da parte di lei. Questo naturalmente non includeva l’adulterio, che comportava la pena di morte. Poteva trattarsi di grave mancanza di rispetto per il marito o per la casa di suo padre, o di qualcosa che avrebbe recato disonore alla famiglia. Il marito doveva darle un certificato scritto di divorzio, il che significa che agli occhi della comunità egli doveva avere buoni motivi per divorziare. Poiché il certificato era un documento legale, era richiesta la consultazione degli anziani o delle autorità cittadine. La donna allora poteva risposarsi, e il certificato la proteggeva da eventuali future accuse di adulterio.
Un marito poteva divorziare da sua moglie se trovava in lei qualcosa di indecente. Questo probabilmente includeva cose come mostrargli grave mancanza di rispetto, oppure disonorare la sua famiglia o quella di suo padre. Ma la moglie era protetta poiché egli doveva scriverle un certificato di divorzio. In tal caso era libera di sposare un altro uomo. (De 24:1, 2)
Da Perspicacia delle scritture
Sotto la Legge il marito poteva divorziare dalla moglie per qualcosa “di indecente” da parte di lei. Questo naturalmente non includeva l’adulterio, che comportava la pena di morte. Poteva trattarsi di grave mancanza di rispetto per il marito o per la casa di suo padre, o di qualcosa che avrebbe recato disonore alla famiglia. Il marito doveva darle un certificato scritto di divorzio, il che significa che agli occhi della comunità egli doveva avere buoni motivi per divorziare. Poiché il certificato era un documento legale, era richiesta la consultazione degli anziani o delle autorità cittadine. La donna allora poteva risposarsi, e il certificato la proteggeva da eventuali future accuse di adulterio.
Un marito poteva divorziare da sua moglie se trovava in lei qualcosa di indecente. Questo probabilmente includeva cose come mostrargli grave mancanza di rispetto, oppure disonorare la sua famiglia o quella di suo padre. Ma la moglie era protetta poiché egli doveva scriverle un certificato di divorzio. In tal caso era libera di sposare un altro uomo. (De 24:1, 2)
Da Perspicacia delle scritture
Re: Yeshùa ed il divorzio
Ti rispondo in merito alle due traduzioni di Dt 24:1. La seconda è più scorrevole, la prima mi sembra alquanto macchinosa. Inoltre dà l'idea che nel matrimonio la donna sia “un possesso” dell'uomo, ma il testo non dice proprio questo. Su Chabad traducono così:
“Quando un uomo prende una moglie ed è intimo con lei, e succede che non trova favore nei suoi occhi perché scopre in lei una cosa sconveniente [morale], e scrive per lei una proposta di divorzio e la mette nella sua mano, e la manda via da casa sua”.
Infatti, il verbo בָּעַל (baal), pur indicando generalmente il possedimento e l'avere potere su qualcosa o qualcuno, in questo contesto significa “sposare”, ossia “possedere sessualmente”. Infatti, l'atto sessuale sanciva il matrimonio tra due fidanzati. La TNM lo traduce sempre in questo senso in altri casi:
“Se un uomo viene scoperto mentre ha rapporti sessuali con una donna sposata, entrambi devono morire” - Dt 22:22 TNM
“Una notte Dio apparve in sogno ad Abimèlec e gli disse: “Di sicuro morirai a causa della donna che hai preso, perché è sposata e appartiene a un altro uomo” - Gn 20:3 TNM
“"Esulta, donna sterile che non ha partorito!
Rallegrati e grida di gioia, tu che non hai mai avuto le doglie,
perché i figli della donna abbandonata sono più numerosi
dei figli di quella che ha un marito",dice Geova.” - Is 54:1 TNM
Quello che i TdG secondo me non comprendono, come molti altri, è che Yeshùa differenzia il divorzio legale dall'unione spirituale dei due stabilita da Dio. Non poteva invalidare il ripudio di Mosè, e infatti non lo fa. L'uomo poteva mandar via la moglie, e la moglie poteva “liberarsi” dal marito. Da parte dell’ebraismo, il diritto di ripudiare il marito fu negato alla donna fino all'undicesimo secolo (ne può essere individuato un germe nel libro di Esodo, 21:11), ma fu esercitato in alcuni casi (cfr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 15:11, 18:7), riconosciuti però come violazioni della legge e mai divenuti precedenti. Tuttavia, con l’avvento dell’epoca mishnica e talmudica (I-VII sec.), la donna aveva la possibilità di richiedere il divorzio in base a specifiche situazioni e mancanze da parte del marito (trattati Ketubot, Eduyot, Nedarim). Non avrebbe potuto ripudiarlo formalmente (cosa che oggi l’ebraismo consente), ma avrebbe potuto chiedere lo scioglimento del matrimonio, e dunque ottenere il ripudio dal marito su imposizione del tribunale (cfr. Jewish Encyclopedia, voce “Divorce”).
Ciò è assolutamente sensato, anche ai nostri giorni, sia nel caso di credenti, di non credenti che di coppie miste, perché una persona che si trova ad essere infelice a motivo del comportamento sbagliato o inaccettabile del partner - anche in assenza del tradimento - fino ad arrivare a perdere l’amore nei suoi confronti o addirittura a detestarlo (accade spesso ai nostri giorni) ha il diritto e anche il dovere di scegliere di separarsi definitivamente da lui o lei e continuare a vivere la sua vita nel rispetto di se stessa, perseguendo la felicità. Perdonare è una virtù e un dovere del credente, ma sottoporre se stessi ad una condizione indesiderabile e frustrante è un peccato, poiché Yeshùa, sulla base di Lv 19:18, insegna ad amare il prossimo come se stessi; ma innanzitutto è necessario amare se stessi. Oltretutto, perdonare il coniuge infedele o libertino o violento o indifferente non significa dover necessariamente restare legati a lui o a lei se ciò ci rende infelici, soprattutto se lui o lei non riesce a cambiare. Se poi non vuole cambiare, sarebbe sciocco pretendere che lo facesse.
Infatti, Yeshùa non proibisce il divorzio legale, ma semmai il nuovo matrimonio in caso di divorzio senza giusta causa (fornicazione); dunque, si può divorziare legalmente senza giusta causa (infatti non dice che il divorzio è proibito), ma il vincolo sacro resta, dunque non è possibile un nuovo matrimonio. In presenza di giusta causa, invece, entrambi sono liberi di risposarsi, poiché il vincolo sacro è rotto dalla “fornicazione” (pornèia, che non è solo l'adulterio). Alla fine, insegna a non commettere fornicazione (“l'uomo non separi...”), che è l'atto che rompe un vincolo stabilito da Dio e a non risposarsi in caso di divorzio senza giusta causa (fornicazione).
“Quando un uomo prende una moglie ed è intimo con lei, e succede che non trova favore nei suoi occhi perché scopre in lei una cosa sconveniente [morale], e scrive per lei una proposta di divorzio e la mette nella sua mano, e la manda via da casa sua”.
Infatti, il verbo בָּעַל (baal), pur indicando generalmente il possedimento e l'avere potere su qualcosa o qualcuno, in questo contesto significa “sposare”, ossia “possedere sessualmente”. Infatti, l'atto sessuale sanciva il matrimonio tra due fidanzati. La TNM lo traduce sempre in questo senso in altri casi:
“Se un uomo viene scoperto mentre ha rapporti sessuali con una donna sposata, entrambi devono morire” - Dt 22:22 TNM
“Una notte Dio apparve in sogno ad Abimèlec e gli disse: “Di sicuro morirai a causa della donna che hai preso, perché è sposata e appartiene a un altro uomo” - Gn 20:3 TNM
“"Esulta, donna sterile che non ha partorito!
Rallegrati e grida di gioia, tu che non hai mai avuto le doglie,
perché i figli della donna abbandonata sono più numerosi
dei figli di quella che ha un marito",dice Geova.” - Is 54:1 TNM
Quello che i TdG secondo me non comprendono, come molti altri, è che Yeshùa differenzia il divorzio legale dall'unione spirituale dei due stabilita da Dio. Non poteva invalidare il ripudio di Mosè, e infatti non lo fa. L'uomo poteva mandar via la moglie, e la moglie poteva “liberarsi” dal marito. Da parte dell’ebraismo, il diritto di ripudiare il marito fu negato alla donna fino all'undicesimo secolo (ne può essere individuato un germe nel libro di Esodo, 21:11), ma fu esercitato in alcuni casi (cfr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 15:11, 18:7), riconosciuti però come violazioni della legge e mai divenuti precedenti. Tuttavia, con l’avvento dell’epoca mishnica e talmudica (I-VII sec.), la donna aveva la possibilità di richiedere il divorzio in base a specifiche situazioni e mancanze da parte del marito (trattati Ketubot, Eduyot, Nedarim). Non avrebbe potuto ripudiarlo formalmente (cosa che oggi l’ebraismo consente), ma avrebbe potuto chiedere lo scioglimento del matrimonio, e dunque ottenere il ripudio dal marito su imposizione del tribunale (cfr. Jewish Encyclopedia, voce “Divorce”).
Ciò è assolutamente sensato, anche ai nostri giorni, sia nel caso di credenti, di non credenti che di coppie miste, perché una persona che si trova ad essere infelice a motivo del comportamento sbagliato o inaccettabile del partner - anche in assenza del tradimento - fino ad arrivare a perdere l’amore nei suoi confronti o addirittura a detestarlo (accade spesso ai nostri giorni) ha il diritto e anche il dovere di scegliere di separarsi definitivamente da lui o lei e continuare a vivere la sua vita nel rispetto di se stessa, perseguendo la felicità. Perdonare è una virtù e un dovere del credente, ma sottoporre se stessi ad una condizione indesiderabile e frustrante è un peccato, poiché Yeshùa, sulla base di Lv 19:18, insegna ad amare il prossimo come se stessi; ma innanzitutto è necessario amare se stessi. Oltretutto, perdonare il coniuge infedele o libertino o violento o indifferente non significa dover necessariamente restare legati a lui o a lei se ciò ci rende infelici, soprattutto se lui o lei non riesce a cambiare. Se poi non vuole cambiare, sarebbe sciocco pretendere che lo facesse.
Infatti, Yeshùa non proibisce il divorzio legale, ma semmai il nuovo matrimonio in caso di divorzio senza giusta causa (fornicazione); dunque, si può divorziare legalmente senza giusta causa (infatti non dice che il divorzio è proibito), ma il vincolo sacro resta, dunque non è possibile un nuovo matrimonio. In presenza di giusta causa, invece, entrambi sono liberi di risposarsi, poiché il vincolo sacro è rotto dalla “fornicazione” (pornèia, che non è solo l'adulterio). Alla fine, insegna a non commettere fornicazione (“l'uomo non separi...”), che è l'atto che rompe un vincolo stabilito da Dio e a non risposarsi in caso di divorzio senza giusta causa (fornicazione).
Re: Yeshùa ed il divorzio
Per quanto riguarda il testo che proponi, mi pare facciano molte supposizioni sui costumi degli israeliti in tema di divorzio, non suffragate da citazioni della tradizione. Inoltre, il sospetto di adulterio era causa di divorzio, e ovviamente l'adulterio, ma occorrevano due o tre testimoni per condannare, non è che uccidevano donne adultere come mosche. I TdG dicono:
“Sotto la Legge il marito poteva divorziare dalla moglie per qualcosa “di indecente” da parte di lei. Questo naturalmente non includeva l’adulterio, che comportava la pena di morte.”
Rileggiamo il pensiero della scuola di Shammai:
“Beit Shammai dice: Un uomo non può divorziare da sua moglie a meno che non scopra che è coinvolta in una questione di rapporti sessuali proibiti [devar erva], cioè ha commesso adulterio o è sospettata di farlo, come è affermato: "Perché ha trovato in lei una cosa sconveniente [ervat davar] e le scrive un libretto di ripudio"(Deuteronomio 24:1).” (Gittin 90a).
La tradizione smentisce in pieno le parole della Watchtower. Inoltre non dice che se la moglie aveva commesso adulterio veniva lapidata, ma che il marito la poteva mandar via. Dunque la cosa non è affatto semplice come la fanno sembrare i TdG. Davide avrebbe dovuto essere messo a morte insieme a Betsabea, in base a Lv 20:10. Mi pare che la Watchtower giunga a conclusioni alquanto affrettate...
“Sotto la Legge il marito poteva divorziare dalla moglie per qualcosa “di indecente” da parte di lei. Questo naturalmente non includeva l’adulterio, che comportava la pena di morte.”
Rileggiamo il pensiero della scuola di Shammai:
“Beit Shammai dice: Un uomo non può divorziare da sua moglie a meno che non scopra che è coinvolta in una questione di rapporti sessuali proibiti [devar erva], cioè ha commesso adulterio o è sospettata di farlo, come è affermato: "Perché ha trovato in lei una cosa sconveniente [ervat davar] e le scrive un libretto di ripudio"(Deuteronomio 24:1).” (Gittin 90a).
La tradizione smentisce in pieno le parole della Watchtower. Inoltre non dice che se la moglie aveva commesso adulterio veniva lapidata, ma che il marito la poteva mandar via. Dunque la cosa non è affatto semplice come la fanno sembrare i TdG. Davide avrebbe dovuto essere messo a morte insieme a Betsabea, in base a Lv 20:10. Mi pare che la Watchtower giunga a conclusioni alquanto affrettate...