
Il deserto ci affascina, eppure il deserto è una sfida. Lì siamo piccoli e insignificanti, lì siamo solo bisognosi. Il deserto è una condizione. Siamo nel deserto quando siamo soli, preda della nostra stessa angoscia, sprovvisti della capacità di sopravvivere; senza orientamento, perché quando nel deserto si va cercando una via d’uscita, si gira solo intorno. Nel deserto non c’è possibilità di nascondersi agli altri e neppure a se stessi. Lì emergono tutte le nostre paure che si fanno inquietudine insostenibile. In quella condizione solamente la preghiera dà sicurezza. Ecco che allora il deserto diventa luogo della scelta. Nella lotta interiore tra la persona autonoma e indipendente che pensa di avere già tutto in sé e la persona bisognosa di fronte alla realtà che lo schiaccia, si può soccombere oppure arrendersi a Dio, riconoscendo che solo lui può soddisfare i nostri veri bisogni. La preghiera diventa allora fede e il deserto rifiorisce.
Il deserto, a ben vedere, è una necessità. È un’esperienza che la persona che vuole essere sincera con se stessa deve fare. Perché il deserto è luogo di verità. Il deserto è una tappa dello spirito. Quando tutto diventa confuso dentro di noi, si prova perfino nostalgia del deserto, di un luogo dove finalmente far riposare la mente. Nel deserto si può andare allora volontariamente per desiderio di solitudine, di silenzio, di essenzialità. Così il deserto diventa un momento più vero, più profondo e significativo. Diventa tempo di ricerca di un significato interiore. Il deserto è un bisogno per indagare le nostre necessità ed essere poi liberi.
Solo nel deserto possiamo essere purificati. Il compito del deserto è proprio questo. Lì tutto è nitido e il firmamento appare com’è, senza l’offuscamento delle luci artificiali degli abbagli umani. Abbiamo bisogno di scoprire la limpidezza. Ci vuole il deserto per ritrovare la verità su noi stessi, la nostra solitudine e scoprire poi con sorpresa che non siano soli. Il deserto è proprio questa condizione di assoluta necessità che anela alla liberazione. È ora di pensare al nostro deserto, di decidere come ritagliarci il nostro luogo spirituale per pregare in solitudine e nel silenzio, per purificarci. È ora di fare deserto. Quando tutte le voci e i rumori tacciono, come nel deserto, si crea lo spazio per l’ascolto. Possiamo allora udire la voce di Dio che ci parla con le parole della Sacra Scrittura. Il deserto si fa allora luogo della parola di Dio.
Il deserto conduce alla solitudine, esige lo starsene da soli. Esige il silenzio che ci guida alla soglia di noi stessi. Il deserto ci obbliga al dialogo interiore con noi stessi, lasciando affiorare il nostro vero io. È in questa solitudine alla presenza di Dio che possiamo udire le sue parole. “La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. – Os 2:14.
Fare silenzio è scendere nel più profondo del nostro animo, stare in solitudine e attenti solo al richiamo di Dio, è fare deserto. È il nostro deserto. Il deserto è una tappa, non la meta. Non si rimane sempre nel deserto. Yeshùa ci rimase quaranta giorni, poi - fortificato - fu pronto per la sua missione. Il deserto è luogo di decisione. Si va nel deserto perché poi si vuole continuare a vivere in modo più vero e più giusto.
Nel deserto ci sono anche le oasi. Dovremmo costruirci le nostre oasi di preghiera per entrarvi regolarmente a ristorarci e a godere della presenza di Dio.
Il deserto continua quotidianamente nella preghiera personale e nei momenti in cui cerchiamo di ritrovare in noi stessi, la presenza di Dio e la sua voce. Se si impara a gustare questi momenti meravigliosi, ogni volta unici, ecco che il deserto diventa richiamo nostalgico. Il deserto ci chiama continuamente.