Luigi, si, il messia è salvezza. Ma ci sono molte imprecisioni nelle cose che dici, dettate proprio da una comprensione incompleta della Scrittura e da una conoscenza filtrata dal credo e dall'interpretazione religiosa. Non lo dico con giudizio, è solo una constatazione.
Intanto il
logos non è il messia, ma piuttosto la
saggezza e la
sapienza di Dio che Yeshùa "incarna" (non in senso letterale al modo pagano, ma traslato, come Dante incarna la poesia). Poi lo studio non sostituisce la fede, ma la raffina e la sostiene: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia” (2Tim 3:16). Yeshùa afferma che l'errore deriva da scarsa conoscenza delle Scritture: “Voi errate, perché non conoscete le Scritture, né la potenza di Dio” (Mt 22:29).
Parli di invocare Yeshùa, dunque di fede, ma dovresti chiederti cosa significhi profondamente fare ciò. Perché è ovvio che non basta dire "io credo in Cristo" per essere salvati, non basta essere convinti che lui sia il messia; altrimenti i salvati sarebbero tantissimi (i miliardi di cristiani che dicono di credere), mentre Yeshùa sostiene che pochi saranno gli eletti (molti i chiamati, pochi gli eletti, Mt 22:14): “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma
chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7:21), e fare la volontà di Dio può significare una cosa sola: obbedire alla Sua legge. Molti lo dicono di credere in Cristo, ma poi tradiscono queste parole con i fatti, perché non comprendono il significato delle parole di Yeshùa e non conoscono la Scrittura. Infatti, Yeshùa stesso afferma: “se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti [che sono nella Torah]” (Mt 19:17); poi dice anche: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14:6), ossia “per mezzo della fede in me”. Sembra esserci una contraddizione, qui: vita eterna tramite
l'osservanza dei comandamenti o vita eterna tramite
la fede in Cristo? Non c'è contraddizione, perché la fede è obbedienza; e c'è una sola legge a cui obbedire, la stessa a cui obbedì Yeshùa, al modo ebraico (non cristiano). Allora, visto che non ci sono dubbi sul fatto che osservando i comandamenti si ottenga la salvezza (e tralasciamo qui il significato profondo del termine ebraico "salvezza"), bisogna capire cosa significhi "credere" e "avere fede" in Cristo.
Ce lo dice Yeshùa: “Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore;
come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore.” (Gv 15:10). Yeshùa fu amato (e salvato) da Dio per la sua obbedienza; la stessa cosa devono fare i credenti: obbedire. A cosa? Ai comandamenti di Yeshùa, i quali sono i comandamenti di Dio, che lui osservò.
Il credente deve osservare quei comandamenti come Yeshùa li osservò; Yeshùa non avrebbe certo potuto sostituire i comandamenti di Dio con dei nuovi, infatti afferma di aver obbedito ai comandamenti di Dio: “chiunque avrà fatto
la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre” (Mt 12:50). Dunque, avere fede in Yeshùa non è una semplice dichiarazione con le labbra, ma
un'attualizzazione dei suoi insegnamenti, che sono gli stessi insegnamenti della Torah, del "Padre suo": “Questa è la vita eterna: che
conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.”.
Conoscere Dio significa fare la Sua volontà in modo cosciente, ossia mettere in pratica i comandamenti; conoscere Cristo significa mettere in pratica i suoi insegnamenti, che ricalcano i comandamenti di Dio (che altro?): “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e
le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia” (Mt 7:24); “Tu li scongiuravi per farli tornare alla tua legge; ma essi si inorgoglivano e non ubbidivano ai tuoi comandamenti, peccavano contro
le tue prescrizioni che fanno vivere chi le mette in pratica” (Ne 9:29).
Credere in Cristo significa
fare ciò che lui ha insegnato a fare; infatti, come si potrebbe dire di credere in lui senza fare ciò che ha insegnato? “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo? Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: «Andate in pace, scaldatevi e saziatevi», ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve? Così è della fede; se non ha opere, è per se stessa morta. Anzi uno piuttosto dirà: «Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede». Tu credi che c'è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano. Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?” (Gc 2:14-20). E ciò che Yeshùa ha insegnato, le opere che ha ordinato di mettere in pratica, sono i comandamenti della Torah, e niente altro. Come vedi, non basta ascoltare il sermone di un sacerdote che ripete a pappagallo parole dai Vangeli tipo “venite a me”, “credete in me”, senza spiegare cosa significhi “credere”; bisogna capire in cosa consista esattamente “andare a lui”. Per fare qualcosa, bisogna capire come farla, altrimenti non la si può fare.
Quindi, è davvero necessario andare a fondo per comprendere gli insegnamenti di Yeshùa, perché non basta "credere", ma per poter dire di credere bisogna prima "fare". Si tratta di capire a fondo gli insegnamenti di Yeshùa, alla luce della fonte da cui lui li ha tratti: la Torah. Tutto ciò che lui insegna è tratto dalla Torah; ciò che lui ha fatto, che altri non hanno saputo fare, è obbedire alla legge di Dio in modo pieno. Per questo dice di non essere venuto per abolire la legge, ma per "renderla piena", ossia per metterla in pratica in modo perfetto. Ma sempre di obbedienza alla legge si tratta, e per obbedire a quella legge, bisogna
conoscerla, come lui la conosceva (era chiamato Maestro dai farisei, che lo consideravano loro pari).
Allora, quando Yeshùa dice che per avere la vita eterna è necessario obbedire ai comandamenti (non solo i dieci, ma "i comandamenti", che nella Bibbia sono ben più di dieci), bisogna prima comprendere bene il significato profondo di quei comandamenti e anche il modo in cui Yeshùa li mise in pratica. “Ama il Signore Dio tuo”: come si ama Dio, se è inconoscibile? Che vuol dire per l'ebreo Yeshùa “amare Dio”? “Onora il padre e la madre”: in che modo gli ebrei e Yeshùa intendono questo comandamento? “Ama il prossimo tuo come te stesso”: come si ama se stessi? E il prossimo? E chi è “il prossimo”, biblicamente parlando? Non una persona qualsiasi. Solo comprendendo queste cose a fondo — ed è necessario immergersi nel pensiero ebraico di Yeshùa, fondato sulla Scrittura e sulla tradizione — e mettendole in pratica in modo perfetto come fece Yeshùa, si può dire di “credere” in lui. E allora, lui diventa “via, verità e vita”. Altrimenti, saremo come quegli ipocriti che - pur invocando il suo nome - furono scacciati dalla sua presenza in questa bella parabola
«31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. 32 E tutte le genti saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; 33 e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli della sua destra: "Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; 36 fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi". 37 Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? 39 Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" 40 E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me". 41 Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! 42 Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; 43 fui straniero e non m'accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste". 44 Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: "Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?" 45 Allora risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto non l'avete fatto a uno di questi minimi, non l'avete fatto neppure a me". 46 Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna». — Mt 25:31-46
Ecco perché serve studiare. Altrimenti, potremmo anche gettare la Bibbia nel fuoco e farne a meno, e semplicemente “andare a lui”, senza capire cosa vuol dire e come farlo veramente. Yeshùa, invece, quando insegnava, la Bibbia la citava spesso. Perché tutto parte da lì. Senza Bibbia, niente comandamenti, niente messia, niente salvezza. Senza comprensione della Bibbia, difficilmente si comprenderà appieno chi è il messia e cosa vuole da noi (i cattolici pregano la madonna e i santi al posto di Dio, perché non comprendono la Bibbia e non sanno che vuol dire "madonna", né chi siano i veri santi, né conoscono il secondo comandamento, che è stato eliminato dal catechismo, come quello del sabato). La fede è obbedienza, e l'obbedienza prevede conoscenza profonda della legge a cui si deve obbedire, non semplice espressione di frasi fatte.
PS. Penso a quanti poveretti vivono una vita misera con un coniuge che non amano semplicemente perché credono che Yeshùa proibisca il divorzio, quando di fatto Yeshùa non lo proibisce affatto, lo proibisce la "chiesa"...