Questa dichiarazione è fuori da ogni mio personale dubbio la summa, meglio la sintesi della legge divina.
Sono d'accordo, Antonino. Lo dice Yeshùa stesso.
Conoscere e scrivere il corretto nome di Gesù. Sapere in quale giorno sia morto oppure quando cade la corretta data della cena del Signore, ha poca valenza se tutto questo deturpa il reale senso del suo messaggio...
Non si tratta di deturpare un messaggio. Lo studio biblico non è una semplice lettura edificante, ma consiste nella comprensione profonda di tutti gli aspetti, compresi quelli più "tecnici". Stabilire l'esatta data della morte di Yeshùa e la verità biblica riguardo agli eventi, non ha lo scopo o l'effetto indesiderato di deturpare il messaggio spirituale di Yeshùa, che resta scolpito a caratteri cubitali, anzi di comprenderne più a fondo la validità. Stessa cosa vale per il nome di Yeshùa, che contiene un significato non separabile dal suo messaggio. Idem per il famoso nome di Dio, che Lui ci spiega dicendo "Io Sono colui che È, sarò Colui che Sarò". Ciò ci fa capire che se vogliamo rapportarci a Dio e imparare da Lui, dobbiamo "essere in Lui", non al di fuori o al di sopra di Lui. Significa obbedire, ascoltarLo (approfondirò questo più avanti). È forse inutile sapere che Yeshùa significa "Dio è salvezza"? È forse inutile sapere che la morte di Yeshùa, avvenuta in un tempo e in un momento precisi, mentre il korban Pesach veniva scannato, racchiude in sé un significato che va oltre e che il momento della risurrezione adempie un segno importante (il segno di Giona)? Lo studio approfondito di ogni particolare, dunque, ci porta non lontani dal suo messaggio, ma dentro di esso.
Non credo che il Signore volesse ristabilire un corretto sistema religioso regolato da precetti, festività e culti... Questa è la volontà umana che tenta goffamente di interconnettersi con la divinità e nasconde infido e celato da vittimismo, una massiccia dose di orgoglio per quello che è ed ha raggiunto.
Fu Yeshùa stesso a comandare: “fate questo in memoria di me” (Lc 22:19). La cena è un segno, più che un semplice rituale, che rende presente e vivo ciò che avvenne due millenni orsono e ha costituito un passaggio importante per l'umanità. Ricordare il suo sacrificio, avvenuto una volta e per sempre, lo rende attuale e presente e manifesta tutto il suo potere vivificante nel cuore di chi lo vive ancora oggi. Yeshùa volle che il suo sacrificio fosse commemorato e rivissuto attraverso la cena del Signore, e ciò che lui comanda è legge, per il credente, non vuoto obbligo rituale.
Sul vittimismo e l'orgoglio, temo che siano tue impressioni, idee che ti sei fatto forse per giustificare una tua mancanza. Il vittimista è proprio colui che scarica le responsabilità delle sue mancanze su qualcuno o qualcosa di esterno. Te lo dico senza giudizio. Il fatto che tu non veda l'importanza e la forza insite nell'atto di obbedienza, non ti autorizza a screditarne la validità e a giudicare chi ne fa uno stile di vita. Il credente non obbedisce per sentirsi migliore degli altri; se fa questo, non ha compreso affatto il valore dell'obbedienza. Obbedire significa
affidarsi a Dio, metterlo al primo posto, umiliare se stessi di fronte alla Sua Maestà, non innalzare se stessi come fece Adamo:
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma Dio, non considerò l'essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente [come fece Adamo],
ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome” (Flp 2:5-9). Questi versetti di Paolo vanno a braccetto con le parole di Yeshùa, che tu citi: “Poiché chiunque si innalza sarà abbassato e chi si abbassa sarà innalzato” (Lc 14:11). L'umiltà nei confronti di Dio deve valere anche nei confronti del prossimo e soprattutto del fratello:
“Poi cominciarono a discutere su chi di loro fosse il più grande. Ma Gesù, conosciuto il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo pose accanto e disse loro: «Chi riceve questo bambino nel nome mio, riceve me; e chi riceve me, riceve Colui che mi ha mandato. Perché chi è il più piccolo tra di voi, quello è grande»” (Lc 9:46-48).
Dunque, sono perfettamente d'accordo con te nel sostenere che l'umiltà è una virtù fondamentale e alla base dell'insegnamento di Yeshùa. Questo insegna la Scrittura, a partire da Genesi, e Yeshùa rivelò nella pratica l'importanza di questo insegnamento. Ma l'umiltà è dovuta innanzitutto a Dio, poi al prossimo:
“«Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti». (Mt 22:36-40). Se non ci abbassiamo prima davanti a Dio, non potremo abbassarci davanti al prossimo, perché il comandamento “ama il tuo prossimo come te stesso” prevede innanzitutto l'amare se stessi, o non saremo in grado di amare il prossimo; ma non è facile comprendere pienamente cosa significhi amare se stessi. Amare se stessi significa rinunciare ad essere "come Dio", ad innalzarci davanti a Lui, a sostituirci a Lui. Significa rinunciare a pensare che siamo i soli artefici del nostro mondo e del nostro destino, che siamo forti e possiamo fare a meno della parola di Dio, che contiene il Suo insegnamento. Se facciamo questo, non amiamo noi stessi, come fece il re di Tiro:
“«Figlio d'uomo, di' al principe di Tiro: Così parla il Signore, Dio: "Il tuo cuore si è insuperbito, e tu dici: 'Io sono un dio!' [...] Poiché tu hai scambiato il tuo cuore per quello di Dio [...] Il tuo cuore si è insuperbito per la tua bellezza; tu hai corrotto la tua saggezza a causa del tuo splendore; io ti getto a terra"” — Ez 28:2,6,17
C'è una cosa importante da capire bene. La
parola di Dio, nelle Scritture Greche, è il Tanàch, ossia la Scrittura che gli ebrei, Yeshùa compreso, consideravano ispirata. Essa è anche tutto ciò che, per ispirazione, procede da Dio e viene trasmesso dal profeta ispirato. Yeshùa chiarisce perfettamente questo in Gv 10:35 (cfr. anche Lc 3:2). Dunque, quando gli agografi nominano la parola di Dio, si riferiscono a ciò che fu già trasmesso per mezzo dei profeti e degli scrittori sacri oppure a ciò che Dio trasmette tramite Yeshùa, che costituisce "parola incarnata"; Yeshùa non sostituisce la sua parola a quella già trasmessa tramite i profeti prima di lui, perché la sua parola, che è parola di Dio, proviene dallo stesso Dio che ispirò gli agiografi del Tanàch, la cui validità e inderogabilità Yeshùa riconosce apertamente: “la Scrittura non può essere annullata” (Gv 10:35).
Dunque, i moltissimi insegnamenti che la parola di Dio contiene — anche sotto forma di precetti che sembrano inutili al fine dell'edificazione e invece contengono profondi significati simbolici immutabili — servono per imparare a vivere secondo ciò che Dio vuole e non secondo ciò che
noi vogliamo, ossia servono a renderci umili davanti a Lui. È un grave errore, dunque, selezionare ciò che è buono per noi e scartare o accantonare ciò che riteniamo non ci sia utile, perché così facendo stabiliamo
noi ciò che è valido, dunque ci mettiamo al di sopra di Dio, invece di porci con l'obbiettivo di comprendere a fondo ciò che non traspare in superficie ad una lettura leggera. La parola di Dio, ossia tutta la Scrittura, è una cosa molto seria.
“«Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani». Ma egli rispose: «Sta scritto: "Non di pane soltanto vivrà l'uomo, ma
di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio"»” (Mt 4:3,4, cfr. Dt 8:3); “nessuna parola di Dio rimarrà inefficace” (Lc 1:37); “«Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio
e la mettono in pratica».” (Lc 8:21); “«Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!»” (Lc 11:28); “Prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Ef 6:17); “Sfòrzati di presentare te stesso davanti a Dio
come un uomo approvato, un operaio che non abbia di che vergognarsi,
che tagli rettamente la parola della verità.” (2Tim 2:15); “Infatti la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l'anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore.” (Eb 4:12).